“L’educazione è il valore meno materiale che esista, ma il più decisivo per l’avvenire di un popolo, in quanto è la sua forza spirituale, e per questo è soggiogata da coloro che pretendono di vendere il Paese… Sì, continuiamo a resistere, perché non possiamo permettere che l’educazione di trasformi in un privilegio” (Ernesto Sábato, Prima della fine)
«Con ogni mezzo necessario…» La scuola come bene comune. Riflessioni a margine del libro di Girolamo De Michele
di Alessandro Cartoni
Difficile trovare una definizione esaustiva ad un libro come quello di Girolamo De Michele, La scuola è di tutti, Minimum fax, 2010, ricco di informazioni e dati non addomesticati, ma anche capace di un’interpretazione globale del mondo e dei tempi che stiamo attraversando.
La cosa più evidente è che, pur costituendo un manuale di difesa e di resistenza all’ordine di cose esistenti, il libro non concede nulla al catastrofismo imperante sulle sorti della scuola italiana. Anzi, nell’interpretazione dell’autore, la scuola appare ancora capace di svolgere un’importante funzione di formazione alla cittadinanza, di integrazione e riscatto sociale se solo la si volesse liberare dall’ordine del discorso della “delegittimazione in atto”.
La scuola ha, dunque, per De Michele, una centralità sociale costitutiva che spetta a tutto il corpo sociale difendere e promuovere nell’orizzonte di un rilancio di quella funzione di civiltà che solo il sapere nelle società moderne è in grado di svolgere.
«L’istruzione è non solo un diritto fondamentale – direi addirittura il diritto fondamentale, perché nella società cognitiva in cui viviamo non la qualità della vita, ma la vita stessa è messa in questione dall’analfabetismo strutturale o di ritorno»
Il ruolo del sapere
Quello che dunque è in ballo nel libro di De Michele, quello che costituisce la posta in gioco politica e democratica è proprio il sapere, il suo stato, la sua consistenza, il corollario dei suoi effetti, la sua possibile obsolescenza, preservazione, diminuzione o riconfigurazione nelle attuali condizioni politico-istituzionali. Intorno alla scuola, dunque, non si gioca una partita tra le altre, ma «la» partita fondamentale: «l’istruzione è un bene comune, come l’acqua e l’ambiente perché bene comune – bene del comune, della comunità dell’umano – è il sapere»
Tuttavia questo “bene” è oggi potenzialmente sempre meno sicuro, sempre meno frutto di un contratto sociale e di un consenso collettivo, quindi sempre “meno comune” e sempre meno pubblico.
L’autore ci spiega come si è arrivati a ciò attraverso una serie di analisi storico-politiche che uniscono in modo originale i dati della sociologia della statistica e dell’economia politica. L’educazione (e i modelli educativi) dunque non sono in crisi in quanto tali, come vorrebbero farci credere, ma sono in crisi in quanto la società che li produce è essa stessa in crisi, una crisi che è di valori, di governance, di credibilità.
«L’istituzione educativa si trova di fronte a un bivio: o imparare a giocare il gioco secondo nuove regole, o ripiegare e arroccarsi, dopo aver bruciato i ponti, nel fortino del proprio sapere tradizionale, rifiutando il contatto col nuovo. Richiudersi dentro la grande Muraglia e aspettare l’arrivo dei cosiddetti Barbari»
La sfida della complessità
In ogni caso di fronte all’evoluzione delle società e dell’economia, di fronte alle trasformazioni tecnologiche che modificano radicalmente i connotati del lavoro e della sua funzione, la scuola, e il suo governo, assumono nella società cognitiva che stiamo attraversando, una funzione strategica. Certo alla scuola non possiamo affidare solo compiti di addestramento, come vorrebbe qualcuno, ma anche compiti di socializzazione e formazione del senso critico e della cittadinanza.
«La scuola è una sorta di para istituto professionale che attraverso un apprendistato cognitivo fornisce non solo il sapere ma anche l’officina in cui applicare le conoscenze e le competenze apprese: non lo strumento a produrre valore, ma il valore stesso (…) Al tempo stesso, la scuola svolge tutta una serie di funzioni che la crisi delle istituzioni disciplinari ha reso indispensabili»
La scuola diventa così centro di socializzazione, sostituisce spesso la famiglia, sostiene psicologicamente i ragazzi, diventa autentico operatore sociale, informa sull’attualità e sui suoi “possibili usi”. E’ in questa direzione che De Michele contraddicendo il ministro Gelmini dichiara senza mezzi termini «che la scuola è un ammortizzatore sociale. Svolge un ruolo di supplenza senza il quale l’intera società crollerebbe. E lo svolge a costo zero»
Le sfide del futuro prossimo venturo si giocheranno a partire dal capitale cognitivo e dall’uso che di questo, attraverso la scuola e il suo governo, potrà fare la società. Perché, ci spiega De Michele, o assisteremo a una riqualificazione della scuola pubblica e del suo potere di attrezzare i cittadini, tutti i cittadini, ad affrontare il mondo che li aspetta, oppure assisteremo a una sua graduale «dismissione» che avrà il compito, tra gli altri, di sfornare «un ceto subordinato inadeguato a un ruolo attivo nel mondo del lavoro e della piena cittadinanza».
Le scelte italiane
E’ del tutto chiaro, dunque, che la direzione in cui si sta muovendo la scuola italiana con l’ultima riforma Gelmini, ma non solo, è questa seconda che privatizza, scompone, frammenta il capitale cognitivo e lo dequalifica da risorsa sociale a merce. Negli scenari che De Michele disegna, attraverso l’analisi del progetto OCSE 2001 «Schooling for tomorrow» si percepisce nettamente il quid della scelta italiana fatta di:
a) estensione del modello del mercato,
b) accrescimento del digital divide (separazione tra chi può e chi non può accedere alle nuove tecnologie),
c) situazione di meltdown (catastrofe) dove alla crisi di identità del corpo decente si collega la perdita di forza delle relazioni contrattuali con conseguente implosione del sistema pubblico di istruzione.
«Sul breve periodo questa crisi rafforza il potere delle autorità politiche nazionali, mentre sul lungo periodo la crisi resta senza soluzioni. Il senso della crisi si acuisce nelle aree più depresse, mentre le comunità locali dotate di migliori sistemi educativi “cercano di proteggersi e di estendere la propria autonomia dall’autorità nazionale”. Si intensifica infine l’interesse privato nel mercato dell’istruzione».
Delegittimazione e autoritarismo pedagogico
Ma come è possibile muoversi “culturalmente” nei confronti dei famigerati scenari che abbiamo appena illustrato? Come è possibile provocare la metabolizzazione sociale e culturale di questa pozione agra che ha per sintesi la sparizione del diritto a un’istruzione qualificata e decente per tutti? L’autore di La scuola è di tutti ce lo spiega con analisi efficaci che chi vive nel mondo della scuola non potrà non confrontare col suo quotidiano esistere e quindi riconoscere come vere. Innanzitutto l’orchestrazione di una campagna di delegittimazione (della scuola, degli insegnanti e della cultura scolastica) attraverso la stampa, non solo di regime, che ha creato ad arte una situazione di emergenza sociale atta a destabilizzare certezze e diritti per applicare soluzioni emergenziali e autoritarie.
Con la complicità di alcuni sedicenti giornalisti la scuola italiana è stata ricoperta, mi si permetta, di dire, di merda, anche creativa (poiché del tutto fantastica e senza riscontri seri con la realtà) allo scopo di preparare il campo alle “riforme epocali”. A titolo di esempio si veda la polemica sul grembiulino, sui bidelli più numerosi dei carabinieri, sul bullismo, sulle assunzioni facili, sui fannulloni etc. Ma si sbaglierebbe, ci indica De Michele, a considerare epifenomeni, o amenità, questi interventi il cui scopo era appunto quello di bombardare il fronte prima dell’attacco, e mai metafora bellica si è dimostrata più efficace.
L’autoritarismo pedagogico, per esempio, come prodotto culturale di questo clima di emergenza educativa e culturale è l’antitodo a qualsiasi modello educativo che abbia nella critica e nella crescita della facoltà del giudizio il suo centro focale. Non altro senso hanno gli slogan culturali dell’epoca Gelmini: da quelli sull’Intelligenza Creativa, sul ritorno all’autorità, sul 5 in condotta, sulla preminenza dei contenuti. Una profonda analogia si scopre alla fine tra il catechismo fascista e quello della nostra scuola riformata: poiché
«Ogni sistema scolastico che non contempli tra le proprie finalità la formazione di menti in grado di esercitare con giudizio la critica dello stato di cose esistenti – di avere il coraggio di sapere – è potenzialmente fascista».
Proiettare la nostalgia nel futuro
Non c’è inoltre chi non abbia percepito il clima di crescente illiberalità, l’aria da caserma con l’imprescindibile corollario della fine di ogni collegialità che impera ormai nelle scuole di ogni ordine e grado. Un serpeggiante regime di sospetto e controllo si afferma negli istituti, avallato dai decreti Brunetta sull’aumento delle sanzioni disciplinari per i dipendenti della pubblica Amministrazione. Il fine è quello di farla finita con la democrazia, la discussione e la collegialità, mali supremi di quei regimi nati dall’Illuminismo in cui sparisce la pretesa totalità organica che incarna la volontà generale. Se in effetti la volontà generale nasce dal conflitto, dalla dialettica delle posizioni e dall’incontro scontro tra interessi diversi, allora è chiaro che tornare al ripristino della situazione quo ante è uno degli scopi della riforma Gelmini. Rimettere in uno sforzo “organico” la ruota del tempo all’indietro;
– oppure, che è lo stesso, proiettare la nostalgia nel futuro – è la dimensione da conquistare per adeguare anche i riottosi alla ristrutturazione in atto. E tuttavia:
«Ogni concezione della scuola che rifiuti di attribuire il diritto di critica, o quantomeno di interpellanza, a tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo è potenzialmente fascista».
Dentro tale progetto non può non esserci spazio per il ritorno al nozionismo come terreno dei contenuti “certi e sicuri” adeguati a un sapere «da spezzettare analiticamente, e riassumere in catechismi». Anche qui il fine è adeguare il modello educativo a un sapere che non forma che non dà gli strumenti per leggere la realtà, ma fornisce solo un pacchetto di nozioni che si pretende adeguato a una società complessa. E tuttavia: «una scuola che rifiuti di insegnare a imparare e ritorni alla centralità dei contenuti, oltre che profondamente arretrata e inadeguata, è potenzialmente fascista».
In conclusione, quello che si cela dietro le riforme, dietro gli appelli alla responsabilità e alla disponibilità al cambiamento è la demolizione sistematica del sistema di istruzione pubblica conquistato in più di mezzo secolo di battaglie, confronti e vita democratica. Solo se i lavoratori della scuola tutti, ci spiega De Michele, saranno in grado di rapportarsi al mondo della precarietà e alla vita degli altri (di tutti gli altri “dominati”) per fermare la gigantesca ristrutturazione sociale in atto, allora questa deriva potrà essere evitata. Ma bisognerà farlo con ogni mezzo necessario.
* * *
L’occhio del lupo
Quella testolina che fa no no no
La mascotte di stanza a viale Trastevere si è presentata a Ballarò, misurandosi con uno degli uomini più lucidi d’Italia, Stefano Rodotà, evitando accuratamente di giocare sul suo terreno, quello della lingua italiana. Siccome “non l’ho letto e non mi piace”, mi sono limitato a sbirciarne qualche frammento in rete – poiché sospetto che la signora fosse (sia) impossibilitata ad articolare testi molto più complessi, credo di poterla recensire lo stesso. E’ presto detto: l’ho trovata perfettamente addestrata, la testolina che faceva no no, il sorriso triste e offeso di fronte alla brutalità del ragionamento, quella roba odiosa che gli italiani non gradiscono.
(michele lupo)
* * *
La settimana scolastica
In primo piano sempre il dibattito sulla valutazione degli insegnanti, proposta bocciata dalle scuole di Torino e Napoli e riproposta alle province di Milano e Cagliari. Tra i tanti interventi sono da segnalare quelli di Pippo Frisone, che ne coglie le somiglianze con il metodo Marchionne alla Fiat; quello di Maurizio Tiriticco, che mette in rilievo la specificità e la complessità dell’insegnamento-apprendimento:
“Una istituzione scolastica autonoma… non è una fabbrica di saponette, dalla quale tutti i prodotti debbono uscire rispondendo all’optimum indicato dallo standard!… “fabbricare” infanti, bambini, preadolescenti, adolescenti, giovanotti e uomini che riescano a FARCELA nella società di oggi più incerta e liquida che mai, è una impresa faticosissima!… Il bambino/uomo non è un prodotto finale, ogni “pezzo” sarà sempre diverso dall’altro!… Se vogliamo “premiare” scuole ed insegnanti, la strada è un’altra! Quella di assumere l’istruzione… come la variabile che in un mondo in trasformazione necessita del massimo degli stanziamenti pubblici“.
Significativo l’intervento del segretario milanese della Flc-Cgil Attilio Paparazzo. Due le obiezioni principali:
1) il lavoro della scuola è un lavoro collettivo, il governo delle decisioni è collegiale, gli esiti delle “performances” individuali sono in relazione alle condizioni politiche generali, amministrative locali, socio-economiche familiari, di contesto ambientale (la classe, il quartiere), di organizzazione oraria e funzionale degli edifici, di risorse finanziarie assegnate, di stato giuridico del personale investito e, infine, alle condizioni relazionali, motivazionali, cognitive, affettive e comunicative degli allievi;
2) il lavoro della scuola deve essere regolato da un contratto nazionale e da una contrattazione d’istituto, demandata dal contratto nazionale, che entri nel merito dell’organizzazione del lavoro, dei carichi di lavoro, dell’esercizio dei diritti di formazione, informazione, partecipazione, salute, sicurezza, ecc..
Se il progetto di sperimentazione dovesse fallire, il Ministero potrebbe chiedere al Governo di intervenire con un apposito provvedimento di legge. E’ possibile che già entro giugno venga predisposto un decreto da convertire in legge durante i mesi estivi, in modo da minimizzare l’”effetto protesta”. Con l’avvio del nuovo anno scolastico i docenti potrebbero quindi trovarsi di fronte a una novità di non poco conto.
Ma in crisi è tutto il progetto di valutazione nella pubblica amministrazione. Con una lettera al ministro Brunetta Pietro Micheli si è dimesso dalla Civit, la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, incaricata di indirizzare, coordinare e sovrintendere alle valutazioni dei dipendenti pubblici e garantire la trasparenza delle amministrazioni.
Tra i problemi della Commissione: le ingerenze della politica; controllori che sono i primi a dover essere controllati (il presidente Antonio Martone, anche se non indagato, è rimasto coinvolto nell’inchiesta sull’eolico e la nuova P3). Premi, ma senza risorse, azzerate dalla legge di stabilità. Sanzioni, che hanno «finito per deprimere la reputazione e il senso di appartenenza di tanti», come denuncia Micheli.
Ha fatto discutere anche il discorso del Papa: in nome della libertà religiosa Benedetto XVI ha invitato i governi “a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta” e ha affermato che “l’educazione sessuale e civile impartita nelle scuole di alcuni Paesi europei costituisce una minaccia alla libertà religiosa“.
In realtà un insegnamento di educazione sessuale, presente in altri stati europei, non esiste in Italia, la legge che ne prevedeva l’insegnamento è ferma dal 1975 in Parlamento, le scuole fino ad ora finanziavano corsi e lezioni con i propri fondi, ma adesso con i nuovi tagli basta, c’è un vuoto parzialmente colmato a volte dai docenti di Religione o di Scienze. “Invece, secondo una recente indagine della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia, il 64% degli studenti delle scuole superiori vorrebbe un corso di educazione sessuale a scuola, e il 44% sarebbe felice di poter parlare di questi temi a casa” (vedi qui).
Sul tema della laicità della scuola pubblica è da segnalare la lettera che Elena Donazzan, assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro della Regione Veneto, ha scritto a tutti i Dirigenti Scolastici delle scuole primarie: per informare che la Regione, con un’iniziativa promossa dal Presidente Luca Zaia, ha deciso di donare una copia della Sacra Bibbia a tutti gli alunni. Contro “la deriva laicista, spesso ancorata ai dettami del relativismo e del nichilismo“.
Sul fronte del precariato. Vincere si può: a Nuoro due docenti precari, che per tre anni sono stati licenziati a fine giugno e riassunti a settembre, hanno ottenuto novemila euro a testa per danni dal giudice del lavoro. Motivo di più per presentare ricorso al giudice per non mandare in prescrizione i diritti acquisiti (secondo la direttiva UE 1999/70/CE) e che il cosiddetto collegato lavoro cancellerebbe. Tempo fino al 23 gennaio. Sul tema, vertenza nazionale della FLC e class action del Codacons gratuita per tutti i precari della scuola. Per aderire basta collegarsi al sito e compilare il form. E comunque l’importante prima della scadenza è semplicemente scaricare i due moduli e spedirli (1 e 2).
Intanto si fanno sentire gli effetti dei tagli: viene smantellato il tempo pieno alle scuole medie. Nel caso dei tagli al sostegno, continuano le bocciature del ministro da parte di tribunali.
Notizie di ordinaria amministrazione ci dicono di scuole senza dirigenza: oggi sono oltre 1700 le scuole con un dirigente in “reggenza”, condiviso a metà con altri istituti: oltre il 17% su un totale di 10.000 scuole; a settembre 2011 saranno circa 800 i dirigenti che andranno in pensione e le stime parlano di una cifra simile anche per il settembre 2012. Un atteso concorso per nuovi dirigenti scolastici non viene bandito da quattro anni.
Ci dicono di problemi di bilancio delle università, di problemi dell’edilizia scolastica: aule umide, corridoi ghiacciati, mancanza di lavori di manutenzione; di proteste di genitori per i contributi forzosi chiesti dalle scuole pubbliche per il normale funzionamento…
Eppure una classifica dei centri di ricerca che ospitano i migliori “cervelli” segnala che in Italia la ricerca migliore è quella pubblica. Tra i primi dieci atenei, sette sono atenei pubblici: l’Alma Mater di Bologna apre la graduatoria, seguita dal Cnr e dalla Statale di Milano. Seguono l’università di Padova (quarta), Roma La Sapienza (quinta), Statale di Torino (sesta), l’Istituto nazionale di astrofisica (settimo), mentre l’università di Firenze è nona.
Ma gli atenei italiani detengono un primato poco invidiabile: ospitano il minor numero di studenti stranieri (solo il 3,1% degli iscritti). Mancano politiche di accoglienza: poche residenze universitarie, poche borse di studio, troppo pochi i corsi in lingua inglese, fondamentali per l’internazionalizzazione degli studi.
Manca un ministro informato della validità dei corsi di laurea e dei dati reali riguardanti il mondo del lavoro, in modo da esprimere una politica universitaria adeguata.
I piani del governo sono tutti in direzione della privatizzazione: non solo della gestione delle scuole, ma anche del patrimonio dell’edilizia scolastica: una operazione dalla portata storica dovrebbe consegnare nelle mani di una società privata la proprietà degli edifici, che verrebbero poi affittati agli enti locali. Stesso discorso per le mense e l’aggiornamento dei docenti.
L’altra linea è la regionalizzazione. La bozza Pittoni sul nuovo sistema di reclutamento prevede:
* istituzione di albi professionali regionali ai quali si potrà accedere attraverso un test. Chi vorrà cambiare regione dovrà sostenere nuovamente il test;
* istituzione di un doppio canale per i precari storici iscritti nelle attuali graduatorie. Da questo canale, alle cui modalità di accesso non si fa menzione (immaginiamo saranno mantenuti i punteggi attuali), si pescherà una quota maggioritaria per le prossime assunzioni. Il ministro prevede l’esaurimento entro 7-8 anni;
* blocco della mobilità. Il docente assunto dovrà restare nella stessa scuola per un minimo di 5 anni.
(vedi qui)
C’è da meravigliarsi se secondo i risultati di un nuovo studio di Vittorio Lodolo D’Oria si dichiara logorato dal lavoro il 73% degli insegnanti intervistati?
A difesa di lavoro e scuola pubblica il 28 gennaio sciopero di Fiom, Cobas, Cub.
* * *
Petizione al Presidente della Repubblica: No ai tagli, no ai finanziamenti alle private.
Il decreto Brunetta qui.
Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.
Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.
Guide alla scuola della Gelmini qui.
Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.
Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.
Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.
* * *
Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.
Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.
Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.
Spazi in rete sulla scuola qui.
(Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)