Una delle domande più frequenti che mi fanno da quando sono tornato dagli States è: «Ma alla fine New York è una città vivibile?”
Otto giorni sono pochi per dare una risposta seria e motivata, ma sono abbastanza per farsi un'idea. E io me la sono fatta.
Partiamo dal presupposto che l'erba del vicino è sempre più verde. Non a caso lo scorso anno perfino la Turchia non mi era sembrata affatto messa peggio rispetto all'Italia. Certo, NY costituisce un discorso a sé. Conosciamo questa città più delle nostre, grazie a film, libri, documentari, telegiornali. Molte di queste informazioni filtrate attraverso i media sono corrette, altre vengono debitamente abbellite per contribuire alla fama di cui gode la Grande Mela.
Per quel che ho visto io NY è una città fatta anche di grande povertà. Ci sono molti homeless. Moltissimi quando cala il buio. Anche a Manhattan, non solo nei quartieri meno borghesi. Gli effetti della crisi economica, per dirla tutta, sono evidenti più lì che non da noi. Questo però dipende da una radicale differenza tra gli statunitensi e gli italiani. Là il cuore di tutto è l'individuo, da noi la famiglia.
Questo può sembrare un punto netto a nostro favore, ma non lo è al 100%. L'individualità americana, specialmente quella newyorchese, porta a un forte senso di meritocrazia. Cosa che da noi è diventata sempre più utopica. Da noi ci sono mamma e papà, ma pure gli zii, i cugini e i nonni. Al limite anche gli ex compagni di scuola. Se qualcosa va male loro ti danno una mano. Se ti serve un lavoro gira e rigira ma qualche spintarella la riesci a rimediare. E se il lavoro non lo trovi al limite ti metti a carico di mammà e con una pensione da 800 euro si campa in tre o quattro finché le cose non migliorano.
A NY mi sembra tutto più complicato, ma al contempo le possibilità abbondano per chi ha il fegato e le capacità per provarci. Mai visti così tanti artisti di strada e negozietti particolari e specializzati in micro-commercio bizzarro, dai fumetti all'oggettistica, dagli alimentari ai memorabilia cinematografici. Roba che da noi vanno scomparendo, specialmente nei grandi centri urbani.
La gente leggeva, ascoltava musica, faceva musica, si raggruppava in spazi pubblici aperti per gustarsi concerti gratuiti di jazz o soul. C'erano appassionati di fotografia ovunque, e non mi riferisco ai turisti, bensì ai semplici cittadini. Questo ho visto nella mia settimana newyorchese, evitando appositamente i locali alla moda e la vita notturna, che non interessavano minimamente ai fini della mia vacanza psicogeografica.
Dunque l'individualità e un marcato senso di rispetto della privacy non impediscono socializzazioni ed espressioni creative. Questo sia a Manhattan che ad Harlem, così come in alcune aree di Brooklyn e a Coney. Non ho visitato il Queens, quindi non saprei dirvi come vanno le cose nel quartiere meno “pop” della Grande Mela.
Singolare poi la presenza di moltissime reti wireless ovunque. Questo nel paese in cui – e purtroppo è vero – si respira un'atmosfera di sospetto e di tensione derivante dalla tragedia dell'11 settembre 2001. Ciò nonostante la Rete è libera e disponibile in tutti i parchi cittadini, in molte aree pubbliche come il Lincoln Center, la Columbia University e Times Square. Nel periodo storico in cui viviamo una città “disconessa” non può dirsi all'altezza dell'economia, dell'informazione e del turismo.
Il confronto con Milano, la città italiana più moderna, è impietoso. Ora Milano mi sembra un grosso paesotto di provincia, poco più, e non certo per le mere proporzioni geografiche.
Dunque NY non è tutta d'oro come appare (anzi), ma è poliedrica, non omologante e ricca di energia tutta da plasmare. I newyorchesi non sono cordialissimi, ma appaiono comunque più dignitosi del milanese medio (salvo clamorose eccezioni). Le minoranze etniche che si sono inserite nel contesto sociale cittadino si sono rivelate – a sorpresa – le più gentili e disponibili nei confronti di noi turisti. Parlo soprattutto dei latinos, sui quali non posso dire che bene. Ma in linea di massima non posso dire di essermi trovato male con nessuno, anche se qualche furbone c'è eccome, quindi occorre sempre stare un po' allerta, specialmente quando si tratta di qualche scambio commerciale.
Tornando alla domanda iniziale non so dirvi se a NY è una città in cui si può vivere bene. Quel che è certo è che sembra messa comunque meglio rispetto alle nostre. Crisi e povertà non mancano, ma per fortuna non manca nemmeno quell'aria propositiva e movimentista che dà la netta sensazione che a un ciclo negativo ne potrà seguire uno positivo.
Sensazione che in Italia oramai latita da almeno trent'anni, e che ci fa sentire ogni giorno un po' più morti.
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