Vizi capitali: accidia

Creato il 26 giugno 2011 da Catone
MARIO DONIZETTI
Tavola Introdotta da terzine della Divina Commedia di Dante Alighieri

ACCIDIA
Se lento amore in lui veder vi tira, o a lui acquistar, questa cornice, dopo giusto penter, ve ne martira. (Purg. XVII, 130-132)
E io ch’avea d’error la testa cinta, dissi: "Maestro, che è quel ch’i’ odo? e che gent’è che par nel duol sì vinta?". Ed elli a me: "Questo misero modo tengon l’anime triste di coloro che visser sanza infamia e sanza lodo". (Inf. III, 31-36)
"non ragioniam di lor, ma guarda e passa". (Inf. III, 51)
Questi sciagurati, che mai non fur vivi, (Inf. III, 64)
Fitti nel limo, dicon: "Tristi fummo nell’aere dolce che dal sol s’allegra, portando dentro accidïoso fummo: or ci attristiam nella belletta negra". (Inf. VII, 121-124)
Tosto fur sovra noi, perché correndo si movea tutta quella turba magna; e due dinanzi gridavan piangendo: "Maria corse con fretta alla montagna... (Purg. XVIII, 97-100)
"Ratto, ratto che ’l tempo non si perda per poco amor" gridavan li altri appresso; "ché studio di ben far grazia rinverda". "O gente in cui fervore agusto adesso ricompie forse negligenza e indugio da voi per tiepidezza in ben far messo, (Purg. XVIII, 103-108)
Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, che restar non potem, però perdona, (Purg. XVIII, 115-116)


Il vero dramma del nostro tempo è l’indifferenza, il tedio, la torva abulìa, l’Accidia di coloro che vivon senza infamia e senza lode, anzi che mai non sono vivi o si insteriliscono come l’albero dipinto da Donizetti sullo sfondo del quadro. Non produce né germogli, né foglie, né frutti. È tralcio improduttivo e bastardo. Non si protende alto nel cielo azzurro, ma - sradicato - si staglia in una atmosfera ingrigita. In primo piano due donne. L’una, seduta e di schiena, potrebbe ricordare la splendida Bagneuse di Ingres se non fosse così rassegnatamente abbandonata e con il capo reclinato, quasi costretto a rivolgersi in basso dalla pesante capiglitura ricadente sul petto in due folte e scure ciocche che si dipartono dalla scriminatura.
La donna distesa è tanto ugualmente infiacchita dalla pigrizia che potrebbe essere la stessa persona raffigurata in altra posa. Il levigato splendore del suo corpo, la bellezza del suo viso, la morbida lucentezza dei suoi lunghi e folti capelli, la rendono ancora più colpevole. È pavida e rinunciataria. Non crede a nulla, non desidera nulla, non vuole fare nulla, né il bene e nemmeno il male, così macchiandosi del Male peggiore, quello della nostra "società frigida", incolore, insapore, indifferente.
Nella sua bellezza pittorica, il quadro riesce a dare il senso di una desolazione in cui tutto è tristissima inerzia e nulla appare desiderabile.


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