Tavola Introdotta da terzine della Divina Commedia di Dante Alighieri
IRA
L’acqua era buia assai più che persa; e noi, in compagnia dell’onde bige, entrammo giù per una via diversa. In la palude va c’ha nome Stige questo tristo ruscel, quand’è disceso al piè delle maligne piogge grige. Ed io, che di mirar stava inteso, vidi genti fangose in quel pantano, ignude tutte, con sembiante offeso. Questi si percotean non pur con mano, ma con la testa e col petto e coi piedi, troncandosi co’ denti a brano a brano. Lo buon maestro disse: "Figlio, or vedi l’anime di color cui vinse l’ira; (Inf. VII, 103-116)
poi vidi genti accese in foco d’ira (Purg. XV, 106)
Ed ecco a poco a poco un fummo farsi verso di noi come la notte scuro; né da quello era loco da cansarsi: questo ne tolse li occhi e l’aere puro. (Purg. XV, 142-145)
Buio d’inferno e di notte privata d’ogni pianeta, sotto pover cielo, quant’esser può di nuvol tenebrata, non fece al viso mio sì grosso velo come quel fummo ch’ivi ci coperse, né a sentir di così aspro pelo; (Purg. XVI, 1-6)
m’andava io per l’aere amaro e sozzo, (Purg. XVI, 13)
e [qui] d’iracundia van solvendo il nodo. (Purg. XVI, 24)
lume v’è dato a bene e a malizia, e libero voler; che, se fatica nelle prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica. (Purg. XVI, 75-78)
e tosto ch’io al primo grado fui, sent’imi presso quasi un mover d’ala e ventarmi nel viso e dir: "Beati pacifici, che son senz’ira mala!". (Purg. XVII, 66-69)
Dopo Superbia e Invidia, l’Ira, terza ed ultima forma del falso amore, quello diretto contro gli altri. L’ira che acceca. Il volto spigoloso come pietra e tagliente come lama, la mano adunca come artiglio, lo sguardo di fuoco, il naso affilato, l’atteggiamento furente come tempesta. Improvvisa si scatena l’Ira, piomba come uccello rapace non contro una persona, ma una sorta di manichino, volendo il pittore sottolineare quanto l’ira sia un moto "gratuito", se non proprio ingiustificato, certo sproporzionato. Gli irosi si arrabbiano per un nonnulla, si scagliano come fulmini talvolta contro incolpevoli oggetti e persone, più spesso contro il destino.
L’aria blu è offuscata da minacciose nubi nere e sembra percorsa da una flusso di corrente elettrica, da saette che colpiscono alla cieca. La mente ottenebrata non vede "perché non vuol vedere". Avvolta nel "fummo" più nero del "buio d’inferno" e di una "notte privata d’ogni pianeta", infierisce con violenza.
Non ira dunque dovrebbe chiamarsi quella del "Pelide Achille" che "infiniti addusse lutti agli Achei", ma sdegno di fronte alla propria libertà minacciata. E sdegno fu quello di Gesù quando scacciò i mercanti dal Tempio. Lo sdegno - insegna Sant’Agostino - è un’erba che cresce verdeggiante solo fino a quando la giustizia viene ristabilita. Forse uno dei mali del nostro tempo è il suo oscillare dalla abulica indifferenza dell’Accidia, alla cecità dell’Ira, senza la capacità di uno sdegno animato da un profondo senso di giustizia.
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