Anche in Vizio di forma, come in The Master, di emozione ce n’è poca. Ci sono sprazzi di divertimento, situazioni comiche che rasentano il paradosso, ma non l’emozione. Il modello a cui guarda, palese sin dai primi minuti, è Il grande Lebowski di Joel Coen. Come nel film del 1998, incappiamo in un turbinio di personaggi che si ammassano l’uno sull’altro, in una girandola di sviluppi narrativi nei quali lo spettatore rischia di perdersi. Vizio di forma rimane (forse volutamente) al livello superficiale del trip da stupefacente, di quella sensazione straniante e priva di riferimenti che è tipico effetto dei fumi dell’alcol. Non c’è spazio per qualcosa di più profondo. Ma rispetto a Il grande Lebowski mancano il lato psichedelico, il graffio dei dialoghi, il grottesco strisciante, la stoffa del cult. Anderson non copia (ci mancherebbe altro!), ma solo si ispira a un film che, come un buco nero, attira inevitabilmente a sé.
Venendo agli attori, non possiamo dire tacere sulla loro bravura. Su tutti Joaquin Phoenix, sulla via dell’attore feticcio andersoniano, sospeso tra il recitare se stesso e il suo personaggio (Doc Sportello). Lo affianca un simpatico Josh Brolin, finto duro e puro “sottomesso” alla moglie, il cui unico tratto distintivo solo le allusioni sessuali a cui continuamente ricorre in ogni gesto e battuta. Brava Katherine Waterston, occhi da cerbiatto, che regala, in desabillè, la sequenza più coinvolgente del film. Marginali le prove degli altri noti (Benicio Del Toro, Owen Wilson, Martin Short) che, un po’ come Phoenix, mettono più in scena se stessi che i loro personaggi.
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