Giacomo Leopardi sosteneva che il genere umano si fonda sull’impostura sociale e gli faceva eco Arthur Schopenhauer, il quale citando il primo, condivideva lo stesso giudizio con ancora maggiore disillusione. Bernard Mandeville su questo atteggiamento degli uomini votati all’imbroglio e all’intrigo scrisse persino un meraviglioso saggio dichiarando che il male è inestirpabile dal mondo ma che non sempre la malvagità nuoce allo stesso, anzi può essere sua linfa vitale allorché sui vizi individuali crescono le virtù generali. La sua favola, Fable of the Bees, si conclude con la seguente morale: “Occorre che esistano la frode, il lusso e la vanità, se noi vogliamo fruirne i frutti…È così che si scopre vantaggioso il vizio, quando la giustizia lo epura, eliminandone l’eccesso e la feccia. Anzi, il vizio è tanto necessario in uno stato fiorente quanto la fame è necessaria per obbligarci a mangiare. È impossibile che la virtú da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa. Per far rivivere la felice età dell’oro, bisogna assolutamente, oltre all’onestà riprendere la ghianda che serviva di nutrimento ai nostri progenitori”. Quindi il vizio fa bene ma solo quando la giustizia lo setaccia, ovvero quando non si distrae troppo sui reati permettendo che quest’ultimi tramutino in esclusiva sostanza della vita associata. Il vizio è dunque come la libertà che se non imbrigliata in pesi e contrappesi svolta in anarchia e caos, ma, al contrario, se rettamente incanalata e accuratamente ispezionata ordina l’esistenza e la rende più prolifica. Un giorno il defunto Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ad un giornalista che lo incalzava sul malcostume italiano (ma non solo nostro) della raccomandazione rispose fieramente che lui invece non si vergognava affatto di aver aiutato qualcuno ad affermarsi nelle varie professioni, con qualche spintarella. Ma aggiungeva che con ciò si assumeva ugualmente una grande responsabilità poiché da uomo delle istituzioni aveva il dovere di privilegiare solo l’ascesa di chi considerava più bravo anche seguendo le vie brevi. Questo, ad ogni modo, non lo sgravava dall’ obbligo di scegliere con oculatezza perché se il soggetto avvantaggiato dimostrava di essere un inetto ed un imbecille, per la proprietà transitiva, anche il raccomandante avrebbe fatto simile figura. Considerato che non era sua abitudine passare per scemo si era sempre premurato di favorire solo i migliori o quelli che considerava tali. Oggi, invece, pare che queste preoccupazioni non trovino più riscontro e gli scimuniti assurgano a tutti i vertici apicali a prescindere da qualsiasi competenza e attitudine. Applicando la legge di Cossiga ne inferiamo che costoro sono lo specchio esatto della classe dirigente che li promuove. Pertanto ne riscontriamo che la stupidità va dilagando perché il meccanismo del vizio virtuoso si è inceppato. Molti in Basilicata (ma accade un po’ in tutta Italia), dopo alcuni esiti concorsuali, si lamentano di questa pratica, che non fa avanzare quelle qualità individuali di cui abbisogna il progresso della collettività ed il perpetuamento del benessere comunitario. Ciò vuol dire che occorre mettere un freno alle benevolenze concesse perché non si è in grado di opzionare adeguatamente i talenti e le eccellenze. E sicuramente la tessera di partito non è mai garanzia di siffatte caratteristiche distintive. Eventualmente l’iscrizione all’organizzazione deve seguire più che precedere l’investitura in qualsiasi ruolo. Non si tratta di moralismo ma di un’esigenza fisiologica del corpo sociale che per abbuffata di inadeguati comincia ad avere la dissenteria. Insomma, va bene il vizio ma non lo stravizio che aumenta i mal di pancia della gente.
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