Magazine Opinioni

Vladislav Surkov, il “Putinismo” e il futuro dell’opposizione in Russia

Creato il 28 gennaio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

vladislav-surkov

di Oleksiy Bondarenko

Il ritorno di Vladislav Surkov nel circolo presidenziale non ha sicuramente avuto l’effetto di sconvolgere le direttrici della politica interna della Federazione Russa, ma potrebbe essere un segnale importante dell’equilibrio di potere all’interno del Cremlino, fattore che influenzerà la politica del Presidente nei confronti della crescente opposizione interna e probabilmente potrà segnare nuovi sviluppi anche in politica.

Chi è Vladislav Yurievich Surkov?

Il ruolo e l’operato di uno dei principali costruttori del sistema politico della Federazione Russa dell’ultimo decennio, sistema definito spesso come “Putinismo”[1], non è sempre sufficientemente approfondito nella letteratura specializzata e in alcune circostanze avvolto quasi dal mistero. Conosciuto spesso come “eminenza grigia” del Cremlino, Vladislav Yurievich Surkov ha avuto un ruolo molto importante durante i primi due mandati di Putin e ha contribuito a costruire il sistema politico-ideologico su cui il Presidente ha basato la sua legittimità.

Il mistero intorno alla figura di Vladislav Surkov è giustificato dal ruolo, spesso in ombra, che ha giocato a partire dagli anni Novanta. Nato nel Settembre del 1964 in un villaggio della Lipetsk Oblast’ [2] (a metà strada tra Mosca e Volgograd, nella parte europea della Russia) da madre russa e padre ceceno, negli anni Ottanta intraprende, senza grande successo, la carriera universitaria presso l’Università Statale di Mosca della Cultura e delle Arti che poi abbandonerà senza riuscire a laurearsi. Durante i turbolenti anni della Perestrojka entra in contatto con quel mondo imprenditoriale che presto arriverà alla ribalta delle cronache del Paese. Per primo inizia a lavorare per Mikhail Khodorkovsky, gestendo i rapporti con i clienti e l’attività pubblicitaria di una delle prime banche private della Federazione Russa, la “Menatep” (Banca che dichiarerà il fallimento nel 2001 con la conseguente perdita dei risparmi di oltre 15.000 clienti). Qualche anno dopo, nel 1997, non si sa bene come, troviamo Vladislav Surkov nell’amministrazione di un’altra banca privata, la “Alfa-Bank”, fondata da un altro oligarca che fece la sua fortuna all’ombra dell’instabilità politica degli anni Novanta, Mikhail Fridman (considerato il 7° uomo più ricco del Paese, che, a differenza di altri rampanti oligarchi del periodo, non entra in contrasto con Putin).

Le notizie che si hanno sull’attività di Vladislav Surkov durante questo periodo sono piuttosto vaghe e spesso poco affidabili. Quello che si può intuire è che sia riuscito a sfruttare abilmente i delicati rapporti tra la classe politica e l’élite economica andata arricchendosi sulle ceneri dell’Unione Sovietica sfruttando i maldestri (e disastrosi) tentativi del Cremlino di attuare drastiche riforme volte a trasformare il sistema sovietico in un’economia di mercato di stampo occidentale (l’ondata delle privatizzazioni e la “terapia d’urto” di Gaidar sono i principali esempi in questo senso) [3]. Nel 1999, infatti, Surkov riesce ad assicurarsi il ruolo di consigliere del Dirigente dell’amministrazione presidenziale della Federazione Russa (probabilmente grazie ai contatti che gli furono garantiti da Boris Berezovky, intimo con l’allora Presidente Boris Eltsin.). Rimarrà all’interno dell’amministrazione presidenziale anche dopo l’ascesa al potere del “uomo nuovo”, Vladimir Putin, diventando uno dei suoi principali consiglieri e artefici della sua politica.

Cosi come è piuttosto difficile reperire informazioni sulla sua attività precedente, anche all’interno dell’amministrazione presidenziale Surkov assume un ruolo piuttosto ambiguo, ponendosi a cavallo tra le classiche linee di demarcazione utilizzate solitamente per distinguere le diverse correnti all’interno del Cremlino. Uno dei pochi superstiti dell’amministrazione Eltsin, che non fa parte di quel gruppo che è diventato maggioritario all’interno del Cremlino durante la presidenza di Putin, i cosiddetti siloviki, cioè uomini politici accumunati da un passato all’interno delle strutture militari o dei servizi segreti dell’Unione Sovietica e della Federazione Russa. Nello stesso tempo, pur avendo intrattenuto rapporti e lavorato per i principali oligarchi del Paese (caduti successivamente in disgrazia), non appartiene nemmeno al mondo economico e finanziario, o almeno alla parte di esso che ha scelto la strada della politica all’ombra del Cremlino durante il potere di Putin.

La figura di Surkov è difficile da inquadrare anche da un punto di vista “ideologico”. Secondo le analisi di numerosi studiosi (per citarne qualcuno, Marlene Laruelle , Andrey Okara e Leon Aron), sono tre i principali centri di pensiero politico all’interno della Federazione Russa.  I Liberali, definiti talvolta anche occidentalisti o atlantisti, un gruppo con grande influenza durante gli anni Novanta ora marginalizzato ed estromesso dal governo del Paese; i cosiddetti Rivoluzionari, gruppo di cui fanno parte gli estremi dello spettro politico della Federazione Russa (il Partito Comunista della Federazione Russa, l’Unione Popolare, ma anche tutte le correnti Euroasiatiste e Slavofile);  infine i Conservatori, il cui principale obiettivo politico è quello di preservare lo status quo assicurando stabilità, progresso economico e sociale [4].

Analizzando il principale contributo teorico di Vladislav Surkov, “La nazionalizzazione del futuro” (“Национализация будущего”) – dove delinea la sua visione politica e teorizza il concetto di Sovereign Democracy –, appare evidente come l’elaborazione del concetto socio-politico promosso dall’autore parta da una visione comune ai Rivoluzionari che vedono lo sviluppo e il progresso della società russa come un percorso a sè stante che debba trarre la propria linfa vitale dal passato sovietico assicurandosi un cammino proprio, rifiutando modelli occidentali. Questo punto di partenza sfocia però in un concetto prossimo ai Conservatori, cioè la necessità di uno Stato forte capace di promuovere la continuità del potere e di garantire la stabilità e lo sviluppo economico e sociale.

Nella sua elaborazione concettuale, però, Surkov prende a prestito anche alcuni elementi che sono comuni al terzo filone ideologico. Parla, infatti, della Russia come la più influente “potenza Europea”, assumendo in tal modo la visione europocentrica, tipica del mondo intellettuale liberale, e generalmente rifiutata dai gruppi Rivoluzionari [5].

Alla ricerca di un “regime ideology”?

In un contesto dove l’approvazione per l’economia di mercato, la democrazia e più in generale per il “modello occidentale” iniziò ben presto a vacillare dopo le turbolenze politiche, economiche e sociali dei primi anni Novanta, quello del nazionalismo e del patriottismo è divenuto il nesso chiave tra lo Stato e la Società. Se le prime figure politiche determinate a riempire il “vuoto ideologico” degli anni in questione furono Evgenij Primakov e Aleksandr Lebed tramite i loro costanti riferimenti al patriottismo, fu proprio Vladimir Putin ad elevarlo a dottrina dello Stato e a collante fondamentale tra quest’ultimo e la società nel suo insieme. A partire dai primi anni del nuovo millennio il patriottismo è divenuto, infatti, “l’etichetta di legittimazione sociale, un gesto conformista con il quale il cittadino accetta le regole del gioco, senza modificare però il proprio comportamento”. Questa narrativa patriottica va di pari passo con l’immagine del Presidente, il “primo patriota”, un primus inter pares, capace di promuovere lo sviluppo economico della Federazione e la riconciliazione nazionale, necessaria per tenere insieme un Paese caratterizzato da spinte centrifughe di portata altrimenti insostenibile.[6]

In un contesto in cui il Cremlino decideva di intraprendere la seconda guerra cecena (che divenne il primo atto da Presidente di Putin e che inizialmente suscitò un grande consenso popolare), le parole d’ordine del nuovo Presidente, sotto il mantello del patriottismo, divennero il “potere verticale” (вертикаль власти) e la “dittatura della legge” (диктатура закона), concetti che furono la base della nuova riorganizzazione della struttura federale dello Stato, della riforma del sistema partitico e della lotta contro il potere personale che alcuni oligarchi esercitavano a livello regionale all’interno dell’immenso territorio della Federazione Russa.

Una delle prime azioni intraprese da Putin è stata la riforma del rapporto tra lo Stato e le Regioni, tra Mosca e periferia, volta a smorzare il “federalismo asimmetrico” emerso negli anni Novanta. La prima riforma in tal senso fu la creazione di sette “superdistretti” amministrativi governati da rappresentanti plenipotenziari del Presidente, nominati da esso. Seguì la limitazione dell’autonomia del Consiglio Federale (Camera Alta del Parlamento), i cui rappresentanti divennero nominati dall’amministrazione presidenziale (e non più i governatori delle varie regioni) ed in ultimo, il cambiamento più importante, la nomina dei governatori non più tramite suffragio universale, ma per decisione dell’Assemblea regionale su indicazioni dell’amministrazione presidenziale. [7]

Quest’accentramento del potere tramite un’organizzazione verticale dello Stato ha avuto delle serie ripercussioni anche sulla vita partitica del Paese. La fine del sistema monopartitico sovietico aveva prodotto, quasi per reazione, la nascita di numerose organizzazioni che, a causa dell’alto livello di frammentazione e dell’incapacità dei maggiori partiti di imporsi a livello elettorale e sociale, hanno “ingolfato” il sistema partitico russo per un decennio. La scena politica fu dominata, in effetti da attori esterni al mondo dei partiti, i cosiddetti “autonomi”, capaci di avere grande seguito politico pur senza avere alla spalle un’organizzazione di sostegno ben definita (lo stesso Putin ad esempio iniziò la sua carriera politica al di fuori della “protezione” di un’istituzione partitica organizzata).

Una tendenza del tutto opposta è emersa nel nuovo millennio, coincidendo con l’ascesa ai vertici dello Stato di Putin. A partire dal 2000 vediamo, infatti, una riorganizzazione del sistema partitico che corrisponde con la generale stabilizzazione degli apparati statali e del tessuto sociale operata per mano della nuova dirigenza del Cremlino. Nato come strumento per contrastare la crescente opposizione a Boris Eltsin durante la campagna elettorale del 1999 [8], Unity (successivamente United Russia), aiutato nella sua ascesa politica da alcune riforme come l’innalzamento della soglia di sbarramento e nuove limitazioni alla costituzione e iscrizione ai partiti, divenne ben presto la principale forza del Paese, capace di imporsi sulla scena politica nazionale [9]. Nel 2001 Unity prese il nome di United Russia in seguito all’ingresso al suo interno dei due personaggi che hanno avuto, seppur indirettamente, un ruolo chiave nella sua nascita, Evgenij Primakov e Aleksandr Luzhkov. Il nuovo partito di governo, il principale sostenitore di Putin e braccio politico del Cremlino, divenne ben presto il contenitore di tutti i riferimenti patriottici e del loro carattere condiviso dalla società, riunificandoli in una sola “ideologia politica conservatrice”, volta a preservare lo status quo posizionandosi al centro dello spettro politico, inglobando una buona parte delle correnti estremiste, e facendo proprio il concetto del “nazionalismo espresso sotto l’etichetta del patriottismo”. In tal modo il partito politico creato dal Cremlino riuscì a legittimare se stesso e la figura del Presidente come il “primo tra i patrioti” e come il principale unificatore del tessuto sociale della Russia del nuovo millennio. Appropriandosi e gestendo l’etichetta del patriottismo, United Russia (di conseguenza il Cremlino) è stata in grado di “controllare” e di “decidere” la legittimità politica degli altri partiti. Inoltre, l’iniziale assenza di una vera e propria ideologia di base che contraddistinguesse il carattere di United Russia (dato il carattere malleabile della narrativa patriottica), ha permesso, nei primi anni, di marginalizzare l’opposizione muovendosi con estrema flessibilità lungo tutto lo spettro politico della Federazione Russa. Il partito creato dal Cremlino nel 1999 divenne così ben presto il partito dominante, conquistando la maggioranza assoluta all’interno della Duma e formando una robusta struttura a livello regionale e giovanile (sfruttando la riorganizzazione del rapporto tra Mosca e periferia).

Vladislav Surkov è stato uno dei principali artefici di questa epocale normalizzazione e trasformazione del tessuto politico, partitico e sociale della Federazione Russa. Il suo contributo è stato molto importante per dare una forma e una giustificazione ideologica alla trasformazione strutturale del Cremlino tramite la teorizzazione intellettuale del concetto di Sovereign Democracy (particolare rielaborazione della “sovranità controllata”), il telaio del quale venne attentamente costruito da Vladislav Yurievich Surkov e pienamente accettato dal partito presidenziale.

Sovereign Democracy come ideologia del Presidente e del suo Partito?

Il concetto di Sovereign Democracy sembra una complessa impalcatura ideologica, capace di giustificare fasi di autoritarismo all’interno di un sistema nominalmente democratico e di assicurare la sua stabilità. Proprio lo stesso Surkov, durante un discorso d’avanti ai quadri di United Russia nel 2006, sottolineò l’esigenza di dotarsi di “un’ideologia portante” capace di fungere da collante sociale ed evitare “possibili scissioni” all’interno del partito, dal momento che il semplice richiamo al patriottismo stava perdendo la sua forza d’urto iniziale [10]. Il partito doveva trasformarsi in una forza politica innovativa capace di formulare nuovi riferimenti ideologici per la società russa.

Il primo tentativo verso la formulazione di una vera e propria “ideologia di regime” e una completa riconciliazione sociale dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica è stato rappresentato dall’elaborazione teorica del concetto di Sovereign Democracy. L’idea di fondo appare piuttosto lineare, se l’Unione Sovietica era sovrana ma non democratica e la Russia degli anni Novanta appariva democratica ma non sovrana, l’attuale corso politico doveva avere come principale obiettivo quello di riunificare questi due passati in una sintesi che producesse democrazia, ma senza rinunciare alla propria sovranità e alle peculiarità che hanno contraddistinto la storia russa. La riconciliazione di questi due passati era indispensabile, secondo Surkov, per una più ampia unione di tutta la società intorno allo Stato, al Presidente e al partito presidenziale, l’unica via per garantire stabilità e riconquistare un ruolo importante nel panorama politico internazionale [11]. La Russia, quindi, è uno Stato sovrano che ha il diritto di scegliere il cammino migliore verso il proprio sistema democratico che potrebbe anche differire da quello comunemente accettato in Occidente. Quest’intrinseco rifiuto della pax americana ha come conseguenza anche l’esaltazione dell’unicità della storia e della strada che la Russia contemporanea sta percorrendo.

La riscoperta del passato e dei simboli dell’era sovietica, messi in disparte e rifiutati durante gli anni Novanta, è un’altra caratteristica fondamentale nell’elaborazione concettuale di Surkov. E’ importante sottolineare, però, come la riscoperta del passato non significa la chiusura e il rifiuto asettico di tutto ciò che è esterno ad esso, ma anzi implica la riscoperta della competitività del nuovo modello economico, politico e sociale russo. La legittimazione della leadership interna, quindi, passa anche attraverso la sua capacità di assumere un ruolo di rilievo a livello internazionale, riscoprendo il proprio ruolo di “grande potenza”.

Pur riempiendo in parte il vuoto ideologico degli anni Novanta, la Sovereign Democracy allo stato attuale non sembra aver creato un’ideologia coerente e unitaria, capace di indirizzare la strategia di sviluppo sociale a lungo termine. Questo è evidenziato dal fatto che, come concetto, è stato integrato in questi ultimi 10 anni, a seconda delle immediate esigenze politiche del Cremlino, da altri tipi di narrativa. L’idea di “fortezza assediata” e “dell’antiamericanismo”, ad esempio, sono state particolarmente utilizzate da Surkov durante il periodo delle rivoluzioni colorate lungo i confini della Federazione e dei movimenti di protesta all’interno di essa [12]. Cosi come il concetto della “ripresa economica” (economic recovery), utile durante la battaglia contro i grandi oligarchi del Paese, e quello di “grande potenza”, sono stati utilizzati per legittimare il partito al potere e la sua leadership durante l’inasprimento dell’autoritarismo.

Lungi dall’essere diventata, quindi, una coerente e chiara linea ideologica, la Sovereign Democracy è stato piuttosto un contenitore concettuale, sufficientemente flessibile da permettere al Cremlino di rispondere alle sue esigenze politiche immediate e di assicurare un buon livello di stabilità politica ad una Paese che aveva conosciuto un decennio di turbolenze. Tramite questo complesso tipo di legittimazione, United Russia è diventato, nel breve periodo, il cuore del sistema partitico russo, capace di screditare ogni tipo di avversario ideologico e politico, tanto che alcuni studiosi lo definiscono “organizzazione statale-amministrativa pseudo-partitica” [13].

Prendendo a prestito l’idea espressa dal sociologo americano (di origine russa), Vladmir Shlapentokh, nella sua analisi della “fedeltà all’ideologica” dei vari leader dell’Unione Sovietica e della Russia, possiamo affermare che un’impostazione ideologica rigida tende a limitare la flessibilità della classe dirigente, rendendo il potere più instabile e più incline a subire bruschi rovesciamenti causati dal mutamento della situazione internazionale e nazionale[14]. Seguendo questo ragionamento si potrebbe sostenere che la teorizzazione del concetto di Sovereign Democracy e la sua concreta applicazione alla realtà russa, sia stato volto a riunire l’azione politica del Cremlino sotto un unico mantello ideologico, giustificando in tal modo un certo livello  di autoritarismo e di verticismo statale, lasciando però al Presidente un discreto livello di flessibilità e la possibilità di appellarsi in maniera differente ai suoi vaghi concetti adattando il suo atteggiamento politico alle necessità imposte dalle varie situazioni .

Il primo fallimento di Surkov – creazione del sistema bi-partitico

Nonostante i buoni risultati politico-economici raggiunti dal Paese durante il suo lavoro presso l’amministrazione presidenziale, la carriera politica di Vladislav Surkov ha avuto alcune difficoltà negli ultimi anni. Prima il declassamento (nel 2011 abbandona l’amministrazione presidenziale e diventa il vice Primo Ministro di Putin) e poi le dimissioni, a maggio dello scorso anno, sono state motivate ufficialmente dalle accuse di corruzione e da una serie di vicende giudiziarie che gravavano sulle sue spalle. Il consigliere del Presidente fu incaricato, infatti, di gestire il tanto discusso “progetto Skolkovo”, cioè la creazione ex-novo di un grande polo industriale ed economico, destinato a diventare, secondo i progetti del Cremlino, la Silicon Valley russa, capace di aumentare gli investimenti e volto a creare un grande centro innovativo vicino a Mosca. Questo grande progetto è stato sin dall’inizio sotto osservazione da parte delle autorità giudiziarie e ha prodotto una lunga serie di indagini e di sospetti che hanno colpito numerose personalità di spicco [15].

In verità il (momentaneo) allontanamento di Surkov ha origini più profonde. La crescente opposizione alla decisione di Putin di candidarsi per il suo terzo mandato ha avuto gravi ripercussioni sulla compattezza dell’establishment politico del Cremlino. L’instabilità e le montanti proteste nei confronti dell’attuale Presidente hanno evidenziato i difetti della costruzione concettuale e politica che Surkov ha promosso per un decennio e soprattutto il fallimento del suo progetto più ambizioso, un secondo “partito governativo” come alternativa a United Russia .

Il teorico della Sovereign Democracy fu, infatti, il primo sostenitore della creazione di un grande partito di (pseudo)opposizione che avesse la peculiarità di non mettere in discussione realmente lo status quo. Il progetto volto a ricreare in Russia un sistema “simil bi-partitico” gestito e coordinato dal Cremlino ha un duplice scopo. In primo luogo è una specie di assicurazione contro un ipotetico crollo di consensi del partito governativo (United Russia) (cosa che in effetti si sta lentamente verificando in questi ultimi anni), vuoto che andrebbe riempito da un’altra organizzazione politica creata e dipendente dal potere. In secondo luogo, la formazione di un simile sistema avrebbe come effetto quello di stroncare ogni forma di “vera” opposizione (come ad esempio il Partito Comunista della Federazione Russa), monopolizzando completamente lo spettro politico nelle mani del Cremlino. In questo modo si riescono ad interpretare sotto una giusta ottica le parole di Surkov che definiva nel 2006 la creazione di un nuovo partito, Just Russia, come la nascita di un importante “appoggio sociale” per il Cremlino, la sua “gamba sinistra” (la destra era rappresentata da United Russia) [16]

I risultati elettorali del nuovo partito, nato grazie alla fusione di tre forze politiche (Patria, Partito dei Pensionati e Partito della Vita) e posizionatosi a sinistra dello spettro politico (definendosi come partito social-democratico e socialista), dimostrano però il fallimento del grande progetto di Surkov. Just Russia, infatti, dopo un inizio piuttosto promettente alla elezioni parlamentari del 2007, dove riuscì a conquistare 7,7% dei voti superando la soglia di sbarramento e ottenendo 38 seggi, ha dovuto affrontare numerose battute d’arresto, tanto che in ottobre del 2012 due dei partiti che hanno costituito il nucleo principale di Just Russia abbandonarono l’organizzazione. Oltre alle difficoltà elettorali e quelle interne, il partito d’opposizione non si è dimostrato in grado di svolgere il suo compito principale, limitare l’opposizione al Presidente e convogliare il malcontento di alcune parti sociali, fungendo da parafulmine/catalizzatore del Cremlino e del suo partito principale, United Russia (poco utile a questo scopo finora è stato anche il “People’s Front – for Russia”  creato nel 2011 e sostenuto in prima persona dallo stesso Putin)

Questo fallimento ha avuto importanti ripercussioni all’interno del Cremlino. Pare che il montare delle proteste degli ultimi anni abbia provocato una vera e propria resa dei conti all’interno del circolo governativo, scontro interno che ha visto momentaneamente prevalere la linea più rigida. La risposta più immediata ai malumori popolari degli ultimi due anni è stata, infatti, quella del pugno duro. Personalità come Vyacislav Volodin e Sergei Ivanov che, dal 2011, hanno ufficialmente preso il posto di Vladislav Surkov, rappresentano la corrente conservatrice e hanno avuto un compito importante nella veemente risposta dello Stato al radicamento dei movimenti di protesta intorno a nuovi leader come Alexei Navalny.

Svolta nel rapporto con l’opposizione o un ritorno preannunciato?

Ma la vera notizia è che, forse un po’ inaspettatamente, appena qualche mese dopo le sue dimissioni non solo ritroviamo di nuovo Vladislav Surkov al Cremlino, ma soprattutto lo ritroviamo come consigliere del Presidente (ufficialmente solo per le questione legate alla regione del Caucaso), posizione che aveva perso nel 2011. Se alcuni sostengono che le dimissioni siano state solo un modo per far calmare le acque (e le accuse di corruzione) intorno alla sua figura, questa spiegazione non sembra del tutto esauriente.

Probabilmente anche la parabola di un personaggio influente come Vladislav Surkov potrebbe significare un cambio di rotta e un nuovo riallineamento all’interno dell’élite politica di Mosca. La costante ideologizzazione del dibattito politico e il crescente conservatorismo che gli analisti hanno notato nella vita politica russa degli ultimi due anni non sembrano aver portato risultati soddisfacenti per il Cremlino. La costante pressione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale, se non hanno avuto l’effetto di indebolire considerevolmente il potere di Putin, forse sono state utili per aprire una riflessione all’interno del circolo presidenziale. Surkov in questo caso rappresenta l’ala più liberale, nonché il principale stratega del “putinismo”. Le difficoltà del sistema teorizzato con il concetto di Sovereign Democracy e messo in atto attraverso il partito presidenziale, unite all’apparente fallimento della “linea dura”, hanno reso necessario un ripensamento sulle strategie da attuare. Mantenere la stabilità del Paese, e di conseguenza la leadership dell’élite al potere, in un momento in cui uno dei pilastri su cui Putin ha fondato la propria longevità politica, la crescita economica, sta attraversando delle difficoltà, ha come conseguenza il rafforzamento delle altre colonne portanti del “putinismo”, la stabilità socio-politica della Federazione e un ruolo di primo ordine in politica internazionale.

Se in politica estera l’anno che si è appena chiuso è stato costellato da importanti successi, tanto che a livello internazionale l’influenza di Vladimir Putin sembra aver raggiunto i suoi massimi livelli (non a caso è stato nominato “uomo dell’anno” dall’influente rivista britannica “The Times” per aver riportato nuovamente la Russia ad attore principale sul tavolo delle relazioni internazionale), la nuova sfida che si presenta di fronte al Cremlino sarà combattuta soprattutto sul palcoscenico interno.

Intanto la prima risposta è stata la grazia a Khodorkovsky e ai membri delle Pussy Riot. Solo il tempo ci potrà dire se queste mosse avranno l’effetto di rilassare l’opposizione, mentre l’ombra del terrorismo di matrice islamica si staglia nuovamente all’orizzonte (di nuovo una fortezza assediata?). Ma non si può non notare la corrispondenza del ritorno di Vladislav Surkov con il nuovo corso politico attuato da Putin.  La ricerca di un sentiero ideologico che possa assicurare e stabilizzare la leadership al potere, dato il fallimento della costruzione di un sistema bi-partitico, dovrà passare tramite una particolare forma di conservatorismo pragmatico, capace di usare sia il bastone che la carota. Sicuramente molto della vita politica russa dei prossimi anni sarà deciso dalla continuazione del parallelismo tra la personalizzazione del potere nelle mani del leader (Putin) e il consolidamento del suo principale partito (in tutte le sue forme, che esse siano rappresentate da United Russia o dal People’s Front – for Russia). Se le strade di questi due centri di potere continueranno a coincidere e il Cremlino riuscirà a controllare gran parte dello spettro politico nazionale, potrebbe avere buone possibilità di normalizzare la situazione e mantenere il controllo della vita politica della Federazione per il prossimo decennio.

* Oleksiy Bondarenko è Dottore in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università degli Studi di Bologna (sede di Forlì)

[1] L.Aron, “Putinism”, American Enterprise Institute for Public Policy Research, Spring 2008

[2] anche se alcuni suoi detrattori affermano che sia nato in un villaggio della Cecenia settentrionale.

[3] La cosiddetta terapia d’urto lanciata da Yegor Gaidar (Ministro delle Finanze e dell’Economia e successivamente Primo Ministro) nel Gennaio del 1992 fu un programma economico basato su una rapida transizione dell’ economia russa ai principi del capitalismo (doveva durare solamente un anno). Il ruolo dello Stato nella guida della transizione economica fu rigettato cosi come l’aiuto alle imprese per effettuare la transizione da un economia a controllo statale ad un economia di mercato. Il controllo sui prezzi fu rimosso nello stesso gennaio del 1992 provocando un’inflazione galoppante. Le riforme economiche promosse da Gaidar ebbero conseguenze disastrose sull’economia russa per tutto il periodo degli anni novanta.

[4] A. Okara, “Sovereign Democracy: a new Russian Idea or a PR Project?”, Russia in Global Affairs, vol.5, N°3, July/September 2007

[5] В. Сурков,“Национализация будущего: Параграфы pro суверенную демократию” / V. Surkov, “La nazionalizzazione del futuro: alcuni paragrafi sulla Sovereign Democracy”, Mosca 2006.

[6] M. Laruelle, “Nationalism and State control in Russia”, Revista CIDOB d’afers internacionals, n.º 96, December 2011

[7] M.Laruelle, “In the Name of the Nation: Nationalism and Politics in Contemporary Russia”, Palgrave MacMillan, New York, 2009

[8] Opposizione formatasi all’interno del governo dall’unione di due personalità politiche molto influenti negli anni ’90 come Evgenij Primakov e Luzhkov, con la formazione del blocco elettorale Fatherland – All Russia, che denunciava la corruzione e il mal governo della “famiglia” di Eltsin.

[9] È  interessante notare come nella battaglia per i seggi della Duma nel ’99 Unity si presenta come un partito pro-governativo (il posto da Primo Ministro era appena stato occupato da Vladimir Putin) e nello stesso tempo come oppositore all’amministrazione Eltsin (nonostante fosse nato per volere del circolo presidenziale) data la posizione ormai piuttosto compromessa del Presidente di fronte all’opinione pubblica.

[10] V. Surkov, “Nasha rossiiskaia model’ demokratii nazyvaetsia suverennoi demokratiei”, Sito Ufficiale del Partito politico – United Russia (http://www.er.ru/news.html?id=111148)

[11] В. Сурков,“Национализация будущего: Параграфы pro суверенную демократию” / V. Surkov, “La nazionalizzazione del futuro: alcuni paragrafi sulla Sovereign Democracy”, Mosca 2006

[12] L’idea di una costante minaccia esterna ha caratterizzato gran parte della storia russa e sovietica. La minaccia esterna è stata utilizzata sin dal periodo stalinista con propositi ideologico-propagandistici e pratici. In politica interna l’enfasi di una minaccia esterna soddisfa spesso un triplice scopo. In primo luogo è utile a creare coesione intorno alla leadership e ai valori patriottici promossi da essa. In secondo luogo un  nemico comune distoglie l’attenzione da alcune misure impopolari da parte della classe governante, come ad esempio una crescita dell’autoritarismo statale. Infine, potrebbe rappresentare un ottimo strumento per indebolire l’opposizione più radicale al governo, presentando i gruppi anti-governativi come strumento o addirittura come una “quinta colonna” nelle mani del nemico. In politica estera invece lo strumento della costante minaccia esterna, viene utilizzato per giustificare una politica estera più aggressiva, soprattutto nei confronti della regione geo-strategica più importante

[13] Степан С. Сулакшин, “Эволюция партийной системы”, Центр научной политической мысли и идеологии, 2013 / Stepan S.  Sulakshin, “Evoluzione del sistema partitico”, Centro del pensiero politico e ideologico, 2013

[14] V. Shlapentokh, “Putin as a flexible politician. Does he imitate Stalin?”, Communist and Post-Communist Studies, N° 41, 2008, pp. 205 – 216

[15] Ria Novosti (http://en.ria.ru/russia/20130502/180954363/Kremlin-Ideologue-Defends-Russian-Innovation-Hub-Denies.html)

[16] В.Я. Гельман, “Политические Партии В России: oт Конкуренции – к Иерархии”, Россия сегодня, 2008 / V.Y. Gelman, “Partiti Politici in Russia: dalla Competizione alla Gerarchia”, Russia Oggi, 2008

Photo credit: RIA Novosti / Sergei Guneev

Share on Tumblr

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog