Voci di Donna

Creato il 08 marzo 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Valentina Coluccelli Cari lettori e lettrici, oggi è la festa della donna. Molti dicono che ogni giorno dovrebbe essere la festa della donna, perché un giorno che valore mai potrebbe avere? In ogni tempo e in ogni luogo, la donna ha lottato con i mezzi che le erano propri per ottenere un rispetto e un’eguaglianza che tutt’ora sembrano tardare. Oggi abbiamo deciso di ricordare la forza della donna, il suo percorso, le sue lotte attraverso cinque figure femminili che, ognuna a suo modo, hanno fatto sempre e comunque sentire la sua voce. Buona lettura e ancora BUONA FESTA DELLA DONNA! Elena
SAFFO
di Antonella Albano

«C'è chi dice sia un esercito di cavalieri, c'è chi dice sia un esercito di fanti, c'è chi dice sia una flotta di navi, la cosa più bella sulla nera terra, io invece dico che è ciò che si ama » Saffo Frammento 16 incipit In un mondo maschile, volto a idolatrare la forza e la razionalità, Saffo giunge attraverso i secoli a sottolineare ciò che a lei più premeva: l'affetto, l'amore, le emozioni irreprimibili di un'anima dolce e piena di passioneCome sappiamo il contesto della sua vita fu l'antica Grecia fra il VII e il VI secolo a.C. Di famiglia aristocratica, nacque a Mitilene, città dell'isola di Lesbo. Fu riconosciuta sublime poetessa anche dai suoi contemporanei, fra cui il poeta Lirico Alceo e anche solo per questo merita di essere ricordata come simbolo della donna, in eterno. “Squassa Eros l'animo mio, come il vento sui monti che investe le querce”. Se l'ideale sociale era l'algida autonomia di chi non ha bisogno di nessuno, Saffo dà voce a chi sa di aver bisogno di un altro per essere felice

Dalla sua “riserva indiana”, dal tiaso di cui era sovrana, educava alla bellezza, alla gentilezza e al gusto raffinato donne che, non viste da alcuno, rigidamente separate dal mondo maschile, dedito a guerra, affari e filosofia, avrebbero queste cose conservato fino alla morte, innervandone le loro giornate e i loro rapporti. In questo mondo conchiuso, che la condiscendenza maschile considerava con distacco, le donne sono sopravvissute nei secoli.

Il mito delle amazzoni e la dolcezza del tiaso ci parlano di quello che siamo: guerriere amorose. Gli uomini ne hanno avuto paura o, incuranti, hanno lasciato che ci dedicassimo a cose muliebri, degne, secondo loro, solo di questo.

Ora che il nostro tempo è stato liberato dalle macchine, che ormai compiono il duro lavoro che per secoli ci ha incatenato al nostro posto di numi tutelari della casa, ora che avremmo motivo di non avere paura, poiché la nostra forza non è più un segreto, noi possiamo essere e siamo poetesse innamorate e guerriere cacciatrici: Saffo e Atalanta. E il desiderio e l'amore continuano a essere il nostro segreto. Simile a un dio mi sembra quell'uomo che siede davanti a te, e da vicino ti ascolta mentre tu parli con dolcezza e con incanto sorridi. E questo fa sobbalzare il mio cuore nel petto. Se appena ti vedo, sùbito non posso più parlare: la lingua si spezza: un fuoco leggero sotto la pelle mi corre: nulla vedo con gli occhi e le orecchie mi rombano: un sudore freddo mi pervade: un tremore tutta mi scuote: sono più verde dell'erba; e poco lontana mi sento dall'essere morta. Ma tutto si può sopportare... AGATHA CHRISTIE
di Vittoria Liant Guadagnarsi il titolo di “Regina” di un dato genere letterario, non è cosa che capiti a tutte le scrittrici. Elementi imprescindibili solo la prolificità, il successo di vendite e l’originalità rispetto ad altri dello stesso settore. Si può essere in auge per un determinato lasso di tempo, magari grazie alle testate giornalistiche e al passaparola dei lettori, ma, per godere a pieno titolo della nomina di “Regina”, si deve anche superare la sfida del tempo, ammaliando generazioni di lettori distanti tra loro. Converrete quindi che, Agatha Mary Clarissa Miller calza perfettamente la descrizioneSiete perplessi? Forse il nome nonostante vi suoni familiare non vi sembra così famoso? E se rilanciassi dicendovi che il suo “Nome de Plume” è Agatha Christie? Regina assoluta del giallo, tradotta in almeno 103 lingue diverse con cifre di vendita esorbitanti (solo in inglese sono state vendute più di un miliardo di copie) e Dama dell’Impero BritannicoUn’autrice dal talento straordinario, dotata di una mente ricca e fantasiosa, perfetta per il lavoro che l’avrebbe consegnata alla storia. Un’autrice, sì, ma anche una donna vera, come tante, con sogni, passioni e debolezzeLa Christie non è la classica autrice che sin da piccola si dilettava nella scrittura, no, lei voleva cantare. Così studia lirica a Parigi. Scopre però, di non poter raggiungere livelli eccelsi in questo campo, così da perfezionista qual è, cambia strada. Sarà la guerra ad avviarla sulla giusta corsia, facendola diventare pratica di veleni grazie al suo ruolo di assistente al dispensario dell’ospedale. Un po’ per scherzo, un po’ per scommessa, scoprirà che, a differenza del canto, scrivere le riuscirà piuttosto bene. Ma, come dicevo, la Christie è anche una donna come tante, con un matrimonio che, dopo 12 anni, con una carriera pienamente avviata, naufraga amaramente, lasciandola nello sconforto più totale. Per questo e per la perdita nello stesso anno della madre, qualcosa scatterà in lei, portandola a scappareDa questo episodio nascerà il mistero della sua scomparsaForse trovata pubblicitaria, forse montatura per incolpare di omicidio il marito fedifrago, forse vera e propria amnesiaNon ci sono certezze su cosa sia successo in quei dieci giorni, prima che la ritrovassero a Harrogate, registrata in un albergo con il nome della segretaria del marito (la di lui amante). Questa sua reazione e il fatto che nei tre anni successivi la sua produzione letteraria risulti fiacca, ci fanno sentire questa donna offesa e tradita più vicina e vera Nel 1929 però, come una fenice rinascerà dalle sue ceneri, per inaugurare, non solo un fertile periodo di scrittura, ma anche una nuova tappa della sua vita, con un nuovo amore al suo fianco. Galeotto fu, è proprio il caso di dirlo, un viaggio in treno verso Bagdad, che tra l’altro, dette il “La” per la stesura di “Assassinio sull’Orient Express”, una delle sue opere di maggior successo, trasposta anche cinematograficamente, con un giovane Sean Connery nei panni del Colonnello Arbuthnot e Albert Finney perfettamente calato nel personaggio di Poirot . Parallela alla sua attività di giallista, porterà avanti anche quella di scrittrice di Romance, sotto lo pseudonimo di Mary Westmacott, sicuramente meno apprezzata e prolifica, con solo sei romanzi al suo attivo, che però regalano uno scorcio sulla parte più sensibile e romantica di questa autrice. Non saranno solo i libri a rendere grande il suo nome. In occasione dell’ottantesimo compleanno della Regina Mary, su sua esplicita richiesta, la Christie scriverà un’opera teatrale ispirata la racconto “Tre Piccoli Topolini Ciechi”, portata in scena come “The Mousetrap” (Trappola per Topi) e ripetuta ininterrottamente ogni sera dal 1952Fate i conti e vedrete che il 2012 sarà il sessantesimo anno di produzioneUn successo incredibile e senza precedenti, che non può che andare a rafforzare il suo titolo di “Regina”. Dei suoi personaggi, Il buffo e sagace Belga Hercule Poirot e la fragile e acuta Miss Marple, sono da sempre i più amati. Investigatori vecchia scuola, dove osservazione e deduzione sono l’elemento portante. Ma non sono solo i titoli con questi due celebri investigatori a essere tra i più amati e venduti. Illustre è l’esempio di “Dieci Piccoli Indiani”, dove tutti indagano su tutti e il lettore, in prima persona deve trarre le sue conclusioni. Esempio di stile, questo libro rimarrà annoverato come uno dei migliori gialli di sempre, affiancato dal già citato “Assassinio sull’Orient Express” e dal sorprendente “L’Assassinio di Roger Akroyd”. 

Prima di morire nel 1976, la Christie consegnerà alle stampe anche le degne conclusioni delle carriere di Miss Marple e Poiroit, scritte però quarant’anni prima: “Addio Miss Marple” e “Sipario”. “Regina” del giallo, scrittrice di talento, donna dalla mente acuta e fantasiosa, con un cuore fragile ma pronto a risorgere, questa era Agata Christie, perfetto esempio per le future generazioni di signore con velleità da scrittore.
SHAHRAZADE sulle ali della fantasia, ovvero l’importanza di saper immaginare e raccontare storie di Francesca Rossi Una ragazza scaltra e coraggiosa che riesce a salvarsi la vita grazie alla sua capacità di inventare e raccontare storie. Questa è Shahrazade, un’eroina ricca di fascino, che non punta sulla bellezza per sopravvivere in un mondo maschile e patriarcale, ma sull’intelligenza.

Il temibile sultano Shahryar, tradito da sua moglie, si persuade che l’intero genere femminile sia corrotto e dominato dalla perfidia. Decide, cosi, di vendicarsi nel modo più crudele: ogni notte sceglie una vergine, rendendola sua concubina e all’alba la fa uccidere. Shahrazade, figlia del vizir, si offre volontaria per tentare di fermare la mano omicida del monarca. Inizia a raccontare, ogni notte, una storia che sul far del giorno, puntualmente, interrompe sul più bello. Il sultano, curioso di conoscerne la fine, rimanda l’esecuzione di Sharazade notte dopo notte, fino a non poter fare a meno dei racconti della giovane e ad innamorarsi di lei.

Per circa tre anni Shahrazade narra avventure di ogni tipo, solcando i mari della fantasia e affascinando un uomo assetato di sangue, che trova la pace solo ascoltandola. Questo è l’espediente narrativo da cui nasce l’opera, Le Mille e Una notte (Alf Layla wa Layla). La raccolta ha un’origine molto interessante, per cui sono stati gettati fiumi d’inchiostro e che suscita dibattiti ancora oggi. Questa volta, però, ci si concentrerà sul valore della figura di Shahrazade. Ella, infatti, non è solo un’abile narratrice: è una donna che rischia la vita per porre fine ad una ingiustizia. Rischia il tutto per tutto ma non lo fa con incoscienza: usa la ragione e architetta uno stratagemma per salvare la testa e cercare di smuovere il cuore di pietra del sultano.

Shahryar è un uomo irremovibile, violento ed impulsivo. Eppure ha il coraggio di tentare. Dove altre donne hanno tentato di fuggire, o hanno implorato pietà o, anche, hanno accettato tristemente il loro crudele destino, Shahrazade ha deciso di combattereE’ una guerriera senza armi, però, dotata solo (si fa per dire) di una grande presenza di spirito ed una sconfinata immaginazione. Queste sono le sue armi. Non la bellezza fisica, non le mossette ammiccanti di cui alcune donne oggi abusano (forse per nascondere qualche altra mancanza?) ma una gran cultura che emana fascino, quello vero, che non si dimentica. La giovane, infatti, è stata istruita nelle arti, nelle scienze, in filosofia. Sa esprimersi e la sua conversazione è piacevole, dotta e sobria senza essere noiosa o, al contrario, eccessiva. La sua battaglia contro Shahryar è tutta intellettuale. Il sultano non può far altro che desiderare le sue storie, senza stancarsi mai. La sua figura è molto importante nel mondo arabo e islamico. Ha suscitato reazioni contrastanti, ma non si può prescindere da lei. Rappresenta la donna completa, moderna e piena di risorse, capace di opporsi alla tirannia usando sapienza, eleganza e creatività.



ORIANA FALLACI di Elisabetta Bricca

Perché Oriana Fallaci? Non mi interessa la fede politica di questa donna, ma il suo approccio alla vitaSpesso oggetto di dibattiti feroci, Oriana ha rappresentato comunque un faro nella notte nel panorama del giornalismo italiano e in quello di un certo genere di narrativa femminile, che definirei improntato al sociale. Un esempio di reporter d’assalto, la prima donna ad andare al fronte, quando le donne erano ancora regalate in casa a fare la maglia.

Fiorentina verace, nata nel 1929, la Fallaci è stata testimone di eventi fondamentali della nostra Storia contemporanea, sradicando preconcetti e puntando il dito contro quella società maschilista che non credeva una donna capace di raccontare fatti e accadimenti con piglio deciso e coraggioEcco, è questo che a Oriana non è mai mancato: il coraggio. E un pacchetto di sigarette sempre a portata di mano. 

Lo sbarco sulla luna, il Medio Oriente, il Vietnam, la Grecia all’epoca del regime dei “colonnelli” sono solo alcuni dei reportage di cui questa giornalista dal cuore indomito si è fatta portavoce. Una donna che non ha mai avuto paura di rischiare anche la propria vita per farsi custode di una verità da poter condividere con il resto del mondo.

Chi non ha ancora letto “Un uomo”, dovrebbe farlo. Pagine e pagine di amore, di una dichiarazione d’amore, verso l’unico uomo che la Fallaci abbia mai amato con tutta se stessa: Alekos Panagulis, leader dell’opposizione greca al regime dei colonnelli. Un amore assoluto, totalizzante, che la portò sul ciglio del baratro; un amore che le dette e tolse tutto fin quasi a privarla dell’anima. Perché Oriana era soprattutto questo: una donna, che ha lottato, amato, e si è ribellata come solo una donna sa fare. Una donna come noi.

E cosa dire di “Lettera a un bambino mai nato?”, libro scritto nel 1975 in seguito alla perdita di un figlio? Ci vuole forza e una critica lucida e, a volte, spietata vero se stessi per poter mettere a nudo la propria intimità senza remore e senza rancori. Eppure, Oriana l’ha fatto. Non scrivendo un libro sull’aborto: sarebbe stato troppo facile e scontato, ma focalizzando il tema centrale sulla maternità e sulla scelta di diventare madre, tra paure e dubbi difronte alla vita e alla società. 

Oriana è morta nella sua amata Firenze nel 2006, spegnendosi come il fumo della sua ultima sigaretta. Di lei, mi rimane dentro quello sguardo trasparente e diretto, sottolineato da una riga di eyeliner, e le parole appassionate dei suoi libri, che custodisco gelosamente nel cuore.


MARY SHELLEY di Stefania Auci

Compagna di uno dei più grandi poeti del Romanticismo Inglese, Percy Bysse Shelley. Amica di Lord Byron. Donna coraggiosa, sorella generosa, figlia ribelle. Autrice di un capolavoro che ha ispirato centinaia di scrittori e cineasti. La scrittrice che compose Frankenstein (ovvero il novello Prometeo) ebbe una vita travagliata, segnata da numerose gravidanze spesso terminate con aborti o con la morte in tenera età dei figli. Anche la sua relazione con il poeta Shelley fu drammatica e piena di passione, segnata dal carattere tempestoso e incostante del poeta e dalle continue difficoltà economiche che incontrarono negli anni. Costretta dai creditori e delle convenzioni sociali a continui spostamenti, la coppia vagò a lungo in Europa: dalla Gran Bretagna alla Svizzera, alla Germania, passando per l’Italia. E fu in Italia che morirono due dei figli di Mary, e pure Percy Shelley morì annegato al largo della Liguria. Mary Shelley fu segnata profondamente da questi lutti: sin da piccola, la sua esistenza fu segnata dal senso di perdita. Rimase orfana a pochi anni e per tutta la vita, la sua esistenza fu segnata dalla morte delle persone che le erano vicine, dai figli alla sorella suicida. Da questo clima di profonda depressione e di solitudine interiore riposa il background culturale ed emozionale di Frankenstein, pubblicato anonimo nel 1818. La creatura assemblata con parti di cadavere, imprigionata in un macchinario che sfrutta l’energia del fulmine è il simbolo del desiderio dell’Autrice di sovvertire le leggi della vita e della morte per poter riportare in esistenza ciò che il fato o la divinità hanno distrutto. Ma è lo stesso creatore, lo scienziato colto e di nobili origini, a rendersi conto dell’abominio che ha generato. Decide di distruggerlo e per questo lo insegue sino ai confini del mondo. Ma la Creatura ha acquistato consapevolezza di sé, rivendica il proprio diritto alla vita e alla dignità e pone al proprio creatore una domanda difficile: perché deve morire? Riprende così la domanda fatta da Milton nel suo “Paradiso perduto” in cui Adamo chiede a Dio perché lo ha creato.

Mary Shelley ha creato un mito. Letteralmente. La figura di Frankenstein è entrata nell’immaginario collettivo scavandosi ben più di una nicchia: rappresenta l’archetipo del mostro, di colui che suscita terrore perché diverso. Considerato da molti il primo romanzo di fantascienza, ha in sé elementi tipici del Romanticismo, quali la ricerca del senso della vita e della morte, coniugati con scenari tipicamente gotici quali i cimiteri o le tempeste coniugati con elementi di grande modernità, quali gli studi sul galvanismo e l’energia dei fulmini. Ha una valenza forte, che ancor più marcata risulta se si tiene conto dell’ambiente culturale inglese del XIX secolo. Vi è una domanda sottesa in questa storia: fino a che punto è lecito spingersi nella ricerca per amore della scienza?
Una domanda scomoda anche oggi. Per lungo tempo, Mary Shelley fu considerata come una mera scribacchina che aveva posto su carta le idee del marito: era inconcepibile che una donna così giovane – 21 anni – potesse scriver un simile capolavoro, così ricco di implicazioni sociali e di sfumature. Oggi il suo genio, la sua sensibilità e la sua straordinaria potenza espressiva hanno ricevuto l’onore e la stima che meritano, grazie anche a una riscoperta del suo lavoro quale curatrice delle opere del marito e di narratrice con i suoi racconti brevi e le opere di viaggio. Una donna straordinaria che ha fatto del suo dolore e del senso di perdita e di solitudine un’opera immortale

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