Notte gelata. Notte ventosa. Notte diversa dalle solite.
I pensieri s’intrecciavano come fili di seta in una trama di ricordi. Correvo. Col mio piede inferocivo i cavalli del motore. Rombavano a ogni marcia come fossero frustate a pelle viva. 120/h. L’aria penetrava la vettura dai finestrini spalancati e m’inondava la faccia. I miei occhi decisi guardavano l’asfalto come un pugile che sfida il suo avversario. 140/h. La mia mano teneva ben saldo il volante, l’unico strumento che in quel momento era capace di scindere la vita dalla morte. Con rapidi movimenti di polso, evitavo spartitraffico, macchine e animali randagi. 160/h. Se la mano si fosse bloccata in quel momento avrei potuto dire addio alla vita terrena. Avrei potuto dire addio a pelle, anima e ossa. 180/h. Un semaforo in lontananza mi mostrò una faccia rossa e lucente, quasi accecante, nel buio fitto. Voleva prendersi gioco di me… voleva fermare la mia folle corsa come un genitore premuroso. Vidi dei fari muoversi nella via trasversale. Una macchina. Se passo, la disintegro… Scalo di marcia, freno, rallentai, mi fermai. Diedi ragione al mio genitore elettronico. Gli lasciai lo sfizio di comandarmi per un po’. 0/h.
Ero fermo e le mie dita accarezzavano la leva del cambio. Il piede fremeva impaziente di schiacciare l’acceleratore. M’ero fermato oltre la linea e non vedevo la luce del semaforo. Mi avvicinai al parabrezza e inclinai la testa. Guardai in alto. E dall’alto in basso lui guardava me. Mi sorrise mostrandomi il verde. Accelerai e lentamente tornai nella mia posizione. 80/h. Guardavo l’asfalto e come in uno specchio nero, vedevo i miei pensieri riflettersi nel vuoto. 100/h. Comparvero due occhi grandi, immensi. Al di là di un orizzonte che ora non c’era. Non si vedeva. Solo occhi, due grandi occhi femminili che mi fissavano. Feci una curva, cambiai specchio, e scomparve tutto. 120/h. Sentii un rumore di bottiglie che si scontravano. Erano un paio Tennet’s vuote che rotolavano sotto il sediolino indisturbate. 140/h. Con una mano le raccolsi entrambe e le gettai con violenza dal finestrino. Sentii distintamente un rumore di vetri in frantumi.
Ecco che rumore fa una bottiglia scaraventata da una macchina in corsa. 160/h. Ne volevo ancora. Volevo ancora dell’altro prezioso nettare degli dei. L’alcol che mi girava in testa non era abbastanza e soprattutto non faceva il suo dovere. Invece di annebbiare la mente, l’arricchiva di ricordi. 180/h. Lei era tornata tra i miei pensieri. I suoi occhi erano spuntati dal nulla carichi di odio verso di me.
Cosa voleva? Perché mi cercava? Basta! Lasciami la mente in pace per un po’…
Niente… parole al vento. L’immagine di lei tornò e si sedette accanto a me. Vidi il suo fantasma che rideva, parlava e mi scattava foto. In quel ricordo eravamo su quella stessa via, ma di giorno e più piano. L’avevo presa da casa e l’avevo portata via con me. Volevo farle vedere una nuova città e una mastodontica reggia. L’abbracciavo e a ogni semaforo la baciavo. La felicità sembrava semplice allora. Essere felici non era un problema.
Basta cristo! Lasciami in pace! 200/h.
Cercavo di ribellarmi ai ricordi ma miccia e polvere da sparo erano poche. Vidi un piccolo bar che restava ancora aperto nonostante l’ora tarda. Mi fermai in un parcheggio isolato. Scesi dalla macchina e la terra sotto i piedi mi sembrò diversa. Come se si muovesse e non volesse restare ferma al suo posto. La ragione mi suggeriva l’inganno e ignorai la percezione camminando fino al bar.
Entrai nell’angusto posto. Le luci sfocavano la visione. Raggiunsi a tentoni uno sgabello davanti al bancone.
- Dimmi? – disse il barista.
- Una vodka ghiacciata… – comandai.
Vidi la bottiglia e il bicchiere riempirsi davanti a me. Detesto la vodka ma fu la prima cosa che mi venne in mente. Presi il bicchiere e assaporai il freddo nella mia mano. Mandai giù di colpo e lo rimisi al suo posto. Il barista mi guardava ansioso.
- Ho voglia di sperimentare… – dissi – mescola due dita di gin e due di vodka. –
L’uomo mi guardò titubante poi prese le due bottiglie e mi servì il miscuglio. Guardai il bicchiere colmo di liquido trasparente che sembrava acqua fresca. Mandai giù anche quello e per poco non vomitai.
I miscugli non vanno bene! Lo sai.
Poggiai il bicchiere e gli chiesi una Tennent’s.
Mentre il barista cercava la mia birra nel frigo sotto al bancone, mi voltai indietro a guardare la sala. Una coppia di giovani erano seduti a un angolo di un tavolino. Il braccio di lui era sulle spalle di lei. Le parlava all’orecchio, magari di cose sconce, e lei sorrideva maliziosa. Lei, visibilmente ubriaca, cercava di guardarlo negli occhi, non sempre riuscendoci. Entrambi, carichi d’eccitazione, non aspettavano altro che una scintilla a far scoppiare il tutto. Si baciarono e mi girai disgustato.
Il barista si rialzò e mi porse la birra. Pagai e tornai verso la macchina. Volevo allontanarmi il più possibile da quei due. Volevo allontanarmi da qualsiasi forma d’amore che potesse ricordarmi lei. Volevo allontanarmi anche da…
Uno scoppio in cielo mi fece voltare. Un grande bagliore m’illuminò gli occhi.
Fuochi d’artificio.
- Che belli… – dissi sottovoce dando un lungo sorso alla mia bottiglia.
Mi avvicinai alla macchina e mi sedetti sul cofano cercando di non ammaccarlo. Il motore era ancora rovente dopo che l’avevo trascinato fin quasi al suo limite.
Spom Spom Spom
Guardai il cielo che si colorava di rosso, poi verde e poi giallo. Milioni di lucine schizzavano nell’aria impazzite. Rumori di esplosioni simili a spari di pistola. I fuochi disegnavano nell’aria cerchi immensi. A volte simulavano una pioggia di stelle… altri roteavano su se stessi come girandole… infine scomparivano lasciando una coltre di nubi.
Belli…
e tu non sei qui con me a vederli. E non potresti mai vederli in nessun pezzo di mondo.
Perché i fuochi non sono come la Luna… Devi vederli lì… nello stesso posto. Devono riflettersi contemporaneamente negli occhi di entrambi. Ti vorrei qui, accanto a me. Vorrei passarti il braccio intorno al collo e sussurrarti ancora una volta che tu eri quella fatta a posta per me. La mia metà della mela. La mia boccata d’aria nell’abisso oscuro della vita.
La ragazza che sfiorava la perfezione. Quella che riusciva a sopportare il mio caratteraccio pieno di ansie e paranoie. Quella dagli occhi grandi e profondi ricchi sempre di me.
Non credo che riuscirò mai a dimenticarti…
E ancora una volta… quella strana forza ha invaso il mio cuore…