Le giornate di Violette corrono leggere, come quelle di tanti bambini, tra passeggiate, chiacchiere, giochi e letture. Le notti sono diverse. Perché Violette non dorme, cammina al buio, i piedi scalzi, l’abito celeste. Riempie le ore contando i libri dei genitori, tremilaottocentosettantotto per l’esattezza, sistema tutti i ricordi nel ricordario, per non perderli più. E ogni giorno guarda il mondo e lo vede cambiare, le persone vanno a una velocità differente, crescono, invecchiano, spariscono. Invece lei rimane sempre la stessa, le stesse mani, lo stesso viso. Perché Violette è la bambina che non c’è. Non è mai nata, è il desiderio perfetto di tutti loro, mamma, papà, Jean e Augustin. Eppure vive, ride, corre, esiste, almeno fino a quando qualcuno continuerà a pensarla. Sul confine magico che divide la realtà dal sogno, Violette ci racconta il suo mondo con una leggerezza allegra e malinconica, raccogliendo gli attimi, le emozioni e i gesti che nessuno riuscirebbe mai a immaginare.
Era da tempo che non leggevo un libro così poetico e così fuori dalle solite trame, un inno alla vita che non ti aspetti, un invito a godersi tutto quello che la vita ci offre ed è quantomeno bizzarro che a farsene portabandiera sia una bambina che non è mai nata. Ma che c’è. Il libro è spiazzante, sorprendente e inaspettato e lo sguardo innocente che Violette getta sulla sua famiglia, nel corso degli anni, ci consente di avere un punto di vista privilegiato sulla realtà, così come la certezza che la realtà non è solo quella che ci appare. Leggere questo libro è come restare sospesi, ovattati e immuni dal mondo. Siamo, per il tempo necessario alla lettura, come Violette: fedeli a noi stessi.