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Volersi bene è un fatto misterioso...I sentimenti: intervista ad Aldo Carotenuto

Da Colorefiore @AmoreeDintorni
Volersi bene è un fatto misterioso...I sentimenti: intervista ad Aldo Carotenuto  DOMANDA : Professor Carotenuto, la nostra epoca si è molto occupata e preoccupata dei sentimenti; inoltre, soprattutto negli ultimi decenni, ci si è occupati molto del linguaggio. Quale rapporto c’è tra i sentimenti e il linguaggio, o le regole in generale, o la grammatica? I sentimenti hanno un loro linguaggio, una loro grammatica, delle loro regole?
RISPOSTA: Naturalmente i sentimenti hanno un loro linguaggio: un linguaggio un po’ speciale. Molte volte, ad esempio, il sentimento non usa dei linguaggi, bensì delle modalità espressive che possono manifestarsi, per esempio, attraverso gli occhi. Esiste tutta una letteratura intorno al linguaggio dei sentimenti: a quale linguaggio vogliamo far riferimento? In genere, quando si parla di sentimenti, ci si riferisce al linguaggio emotivo, che si genera tra due persone che si vogliono bene.
Volersi bene è un fatto misterioso. Ad un certo punto noi diventiamo necessari per un’altra persona e un’altra persona diventa necessaria per noi: allora sono proprio quelle braccia che noi vogliamo, braccia che non sono intercambiabili con altre. Questo avviene perché ha luogo un processo attraverso il quale noi diamo un significato. In altre parole quella persona ci interessa in quanto è significativa, cioè carica di un processo, carica di una serie di dimensioni che sono tutte nostre, che noi adattiamo a questa persona, che allora diventa come un nostro organo. Questo è talmente vero che quando, come fatalmente spesso avviene, c’è una frattura fra me e la persona che io amo, che desidero, io ho l’impressione che mi venga strappato qualcosa. Lo dicono anche le canzoni melodiche, le canzoni che parlano del sentimento: “tu che mi hai portato via il cuore, tu che mi hai strappato l’anima”. Tutte queste dimensioni, che sembrano piuttosto spicciole, di poco conto, in realtà alludono a esperienze psicologiche molto importanti. La vita emotiva è legata a un linguaggio, che è poi significatività. Allora quel colore degli occhi, quell’espressione del viso, quel colore della pelle, quel modo di muovere i capelli, diventano per me un linguaggio che va letto e interpretato.
Certo la psicanalisi ci dice che in fondo questo mondo, che io vivo in questo momento e che sembra non avere riferimenti, in realtà ha un riferimento molto antico. Non sorprende che possa esser vero il fatto che in fondo, se le prime esperienze di sentimento sono state fatte nell’ambito della famiglia, è chiaro che queste esperienze si ripercuotono poi nella vita di tutti i giorni, da adulto. E allora sembra che una persona, se cerca degli occhi, uno sguardo, cerca in fondo lo sguardo della madre. Ma questo è tutto sommato poco significativo: così come ho imparato un linguaggio attraverso il quale mi esprimo, così ho imparato poi un nuovo linguaggio, che è quello dei sentimenti, della carezza.
Durante l’analisi è interessante vedere che alcune persone, quelle che noi comunemente definiamo “sfortunate in amore”, non conoscono la grammatica del linguaggio amoroso. Quindi succede che non sanno interpretare le parole, i segni, e sbagliano sempre. Naturalmente questa mancanza di capacità interpretativa ha ragioni psicologiche ben profonde: ed è su queste ragioni psicologiche che fa leva il lavoro dell’analista.
Volersi bene è un fatto misterioso...I sentimenti: intervista ad Aldo Carotenuto
Facciamo il caso dell’amore e dei sentimenti di affetto che noi sentiamo per una persona. Ma quante volte noi ci siamo accorti che il nostro amore, la nostra sentimentalità, nei riguardi di questa persona, diventa così contraddittoria. Pensate che perfino nei momenti di maggiore intimità, in cui ci si può abbracciare, ci si può stringere con passione, poi magari si dà anche un morso, un piccolo morso. E allora, se uno si pone qualche domanda, si rende subito conto che quelle situazioni sono situazioni così, che vanno di pari passo. Cioè il sentimento non può essere soltanto positivo, ma è sempre accompagnato dal suo opposto. Io questo lo posso sperimentare, in maniera particolare, durante le lezioni, ad esempio. Io per un anno intero sto con centinaia e centinaia di ragazzi e ne discutiamo spesso. Allora molte volte uno per quale motivo può suscitare un entusiasmo, può apparentemente essere stimato e voluto bene dai propri discepoli, e poi magari, quelli stessi hanno poi un atteggiamento negativo, hanno un atteggiamento di violenza, che è chiaro che dimostra soltanto la necessità di doversi staccare. Ma tutto questo può avvenire proprio perché “odio et amo”: questo famoso verso latino ci sta proprio a indicare che noi tutti dobbiamo essere consapevoli di queste cose, perché, come al solito, il lavoro legato ai sentimenti è un lavoro che dovrebbe spingere anche alla consapevolezza la persona. Per cui se io lavoro coi sentimenti, io debbo saperne anche quali sono gli aspetti negativi e positivi, perché la conoscenza di queste cose permette in tanti modi di attutire. Altrimenti che cosa può succedere? Che io, senza volerlo, diciamo, commetto degli sbagli. Forse il termine “lapsus” è più conosciuto. Commetto un lapsus, che impedisce a me di raggiungere la persona amata o comunque dimentico qualche cosa, che poi, tradotto, è un atto aggressivo proprio verso la persona che io amavo tanto. E allora cosa si nasconde? Si nasconde il fatto che io non sono mai troppo consapevole del fatto che in realtà, amando una persona, tanto amore c’è, e può darsi che ci sia tanto odio, tanta distruttività. Ma questo fa parte della vita. Cioè non è un problema di anormalità, è un problema di vita e noi dobbiamo saperlo, così come sappiamo che quando mangiamo stiamo bene, però se mangiamo troppo poi non stiamo più bene. Cioè è sempre la conoscenza, la consapevolezza, in questo caso dell’ambivalenza, che permette a noi di fronteggiare questa ambivalenza e eventualmente di ridurne i danni, se questi danni si presentano.
Noi tutti abbiamo l’esperienza dell’angoscia. Sappiamo che è qualcosa che ci prende dal di dentro, ci può anche distruggere, ma il grimaldello della psicanalisi ci viene sempre in aiuto. Se io non ho un oggetto, che può giustificare in parte la mia angoscia, allora è facile pensare che in quel momento quest’oggetto comunque esiste. La verità è che io non ne sono consapevole e allora ho l’impressione di essere perduto. Ecco allora l’intervento dell’analista che può, non dico in tutti i casi, ma in molti casi, aiutarmi a comprendere quell’angoscia, che sicuramente si nasconde negli aspetti più profondi della mia vita. Ci sono state tante teorie, tante possibilità di spiegazioni. Io protendo di più verso un aspetto esistenziale della nostra vita, un aspetto esistenziale per il quale noi tutti, usando una terminologia molto utilizzata appunto da certi psicologi dell’esistenza, siamo gettati in questo mondo. E siamo gettati senza nessuna possibilità di salvezza, ma è come se dovessimo vivere fino in fondo il senso dell’essere abbandonati, e quindi siamo presi dall’angoscia. Ora quest’angoscia potrebbe anche esprimere alcuni aspetti importanti della mia vita, che io debbo in un certo senso scoprire. E allora non è un caso che io possa scoprire che quest’angoscia mi deriva da quella che si chiama una “falsa coscienza”. Noi uomini dobbiamo purtroppo sopravvivere. Dico purtroppo perché noi uomini, come sappiamo, eravamo stati concepiti per il Paradiso terrestre, ma poi non abbiamo voluto accettare, diciamo, questo regalo, e ce ne siamo andati. Questo è un motivo ricorrente in tutte le mitologie. E’ come se all’uomo non dovesse essere data la sicurezza, la forza, non potesse essere dato qualcosa, così, che lo preservi da tutti i pericoli. L’uomo viene gettato nel mondo e deve accettare di vivere con angoscia la sua esistenza. Ora qualcuno mi potrà dire: ma perché alcuni sono presi dall’angoscia e altri no? Non è facile rispondere. Certo si può dire che forse c’è un problema di sensibilità, per il quale, per esempio, alcune persone non si fanno mai delle domande. Vivono tranquillamente una vita all’esterno, si accontentano di quello che succede, e la loro vita scorre. Nessuno può biasimare questa modalità. Ma ci sono invece poi delle persone che si fanno delle domande. E siccome a queste domande non si può mai rispondere, proprio la mancanza di risposta può generare l’angoscia. E allora l’angoscia diventa uno strumento significativo. Io punto molto su questi aspetti, perché la persona sofferente crede di essere la persona più disgraziata del mondo: in realtà quella sofferenza diventa quella spina che è nel fianco, oppure che è dietro la nuca, ci impedisce di dormire e quindi ci spinge verso la conoscenza, ci spinge a capire cose, che altrimenti non avremmo mai capito. Una persona angosciata, secondo il mio punto di vista, ha un tipo di nobiltà che la persona che non conosce angoscia, non ha mai avuto né potrà mai avere. Naturalmente è un tipo di nobiltà che la persona angosciata ha: questo tipo di nobiltà ha un prezzo molto alto. Io non potrei dire se vale la pena o non vale la pena di pagarlo, però so che bisogna pagare questo prezzo. Anche perché poi, in fondo, le cose veramente importanti nella vita non vengono mai date con uno sconto, hanno sempre un prezzo. E forse noi, che siamo angosciati, dovremmo anche essere pronti a pagarlo.
Tratto dall’intervista “I sentimenti” – Roma, Dear, giovedì 11 luglio 1996. © Copyright Rai Educational.
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