"La critica letteraria deve scaturire da un debito di amore", è la prima frase del libro di George Steiner, "Tolstoj o Dostoevskij". Un libro in cui viene proposto un esercizio critico agonistico, quasi tragico. Un dilemma, senza nessuna mediazione possibile, senza nessun compromesso, nessun percorso alternativo. Si tratta di due concezioni antagoniste - due opere e due autori che rappresentano due concezioni, della letteratura e del mondo - che, proprio per questo, abbisognano di una scelta rigorosa, di una posizione radicale in grado di "fertilizzare" la critica letteraria; quella stessa "volontà radicale", che Susan Sontag esplorerà alcuni anni più tardi.
Gli è che, a sua volta, il debito d'amore di Tolstoj, era anche un debito d'odio, un debito di ripulsa e di disperazione, e il debito lo aveva con, e contro, Shakespeare. Harold Bloom, nel suo "Il genio", afferma che la ripulsa di Tolstoj era il risultato della sua consapevolezza: Tolstoj sentiva che non era possibile andare al di là di Shakespeare, una sensazione che si mischiava ad una ribellione irrazionale, dovuta al fatto che Shakespeare era semplicemente ... nato prima.
George Orwell, per parte sua, in un saggio pubblicato nel 1947, "Lear, Tolstoj e il Matto" è molto più preciso. Orwell legge con attenzione un testo di Tolstoj, scritto in tarda età, dove afferma che, a 75 anni, ha deciso di rileggere le opere complete di Shakespeare e, ancora una volta, ha provato rabbia e disgusto. Orwell si domanda perché Tolstoj scelga, per la sua analisi, il Re Lear. La sintesi che Tolstoj ne fa, è tendenziosa e parziale, ne amputa dei pezzi e ne enfatizza altri per poter difendere la sua tesi che Shakespeare è solo una stupida moda che è durata già troppo a lungo.
Ma per Orwell, quello che Tolstoj non riesce a sopportare è il suo identificarsi con Lear, il suo identificarsi con una figura nobile che rinuncia a tutto e che si aspetta, come ricompensa per il suo magnanimo gesto, il rispetto e l'ammirazione di coloro che lo circondano. Ma Lear non riceve quello che si aspettava, e Tolstoj non riesce ad accettare un finale così tragico, in quanto è una fine che non vuole per sé.
Nel parlare di questo, Orwell sottolinea come la visione anarchica di Tolstoj si basi su quella che definisce una "sensibilità autoritaria", una sensibilità che non riesce a provare interesse se non per quello che lo riguarda.
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