Voltastomaco

Creato il 03 agosto 2012 da Patuasia

Sandra Barberi, nel suo testo introduttivo al libro: “Affiches en marche”, prodotto dall’assessorato alle Attività produttive e che raccoglie tutti, o quasi tutti, i manifesti della Fiera di Sant’orso estiva, definisce la raccolta un “Album di famiglia” e ha ragione. Più che uno sguardo sul linguaggio della grafica locale attraverso inevitabili confronti critici con la produzione nazionale e internazionale, l’insieme dei manifesti è presentato come un canto alla valdostanità, al ricordo, alle radici, in definitiva alla famiglia. Noi non siamo un pezzo di mondo, ma una famiglia. Un clan. Chiusi dentro alle montagne che simboleggiano i muri perimetrali di un carcere. Il resto del testo è la solita pippa sul valore della cultura locale, dell’autonomia, degli sforzi dell’amministrazione… nessun accenno alla storia della comunicazione: ai fini istituzionali non è rilevante. Per un regime che conta sulla chiusura mentale e sulla mediocrità per poter sopravvivere, il confronto con l’esterno non solo non è necessario, ma da evitare. Se confronto ci fosse stato avrebbe dato del “nostro patrimonio” un’altra valenza. Il 98% della produzione grafica locale con la grafica non ci azzecca un tubo: è pura illustrazione. Quando in Italia si diffusero le nuove figure professionali, qui da noi si rimase fermi all’improvvisazione degli artigiani. E siamo tuttora fermi al concetto di bella immagine da far incorniciare e mettere nella cameretta del bambino o in taverna. Le scritte che nel linguaggio pubblicitario sono un elemento importante e spesso determinante, nei manifesti valdostani sono viste con fastidio, un disturbo obbligato al quale non si può sfuggire. Si predilige la scenetta, l’ideuzza scopiazzata da questo o quell’altro pittore; l’informazione viene relegata in basso o ai lati dell’impaginato per non invadere lo spazio dell’opera vera e propria. La produzione locale è a se stante, lontana dalla storia della pubblicità e dai linguaggi contemporanei; rappresenta un mondo autistico, quello voluto dal partito unico. Questo libro non è un prodotto culturale, ma politico. Non è un testo storico-critico, è pura propaganda. I manifesti fin qui prodotti sono brutti, alcuni bruttissimi. Denunciano pochezza inventiva, retorica, stereotipi, tutto l’immaginario caro al potere, ma questo non si può dire. E sì che la consapevolezza dei propri limiti è il primo passo per superarli, ma qui non si vuole superare un bel niente, qui si sta fermi perché va bene così. Rollandin ringrazia i grafici, i grafici ringraziano Rollandin: ogni dignità è perduta. L’arte e la creatività per essere hanno bisogno di altro.