Vorrei che la celebrazione del 2 giugno per la festa della Repubblica non fosse una parata militare. Non riesco in alcun modo ad associare la parola “festa” all’esibizione boriosa di automezzi corazzati, forze armate, battaglioni e baionette che brillano al sole di giugno. Non sopporto gli applausi, il beneplacito dei potenti, le trombe della retorica di stato di una nazione che cammina forte sui coltelli. La Repubblica è altro. Non è il tempo di una marcetta, una striscia di fumo colorato nel cielo, uno sprone ad immolarsi, non è il fragore di un passo ritmato, un quadrato di uomini tutti uguali, un sfoggio di fasce e di mimetiche, un’esibizione di gerarchie militari, di tamburi e di corazze a cavallo. Perciò vorrei che il 2 giugno per la festa della Repubblica sfilasse un altro genere di cittadini italiani. Vorrei che a marciare sulla via dei fori imperiali al posto dei militari fossero i disoccupati, i familiari delle vittime di mafia, gli appartenenti alle organizzazioni di volontariato, i preti anticamorra, vorrei che sfilassero coloro che combattono ogni giorno una guerra senza fine contro l’ignoranza, il razzismo, le ingiustizie sociali, vorrei che sfilasse il coraggio – quello vero – dei portatori di handicap, le madri, gli insegnanti, i medici, gli scienziati, le categorie che garantiscono il vero progresso civile di una nazione, vorrei che la Repubblica anziché ostentare i muscoli mostrasse il cervello e l’anima, che le divise tutte uguali lasciassero il posto a facce tutte diverse, vorrei che il “siam pronti alla morte” tacesse per sempre e che si recitassero semmai inni alla vita, vorrei che gli imbonitori di stato lasciassero la strada con il loro passo altezzoso, che sulle tribune ci fossero meno politici e più bambini, vorrei che i sorrisi allegri si sostituissero ai saluti alla visiera e che il rumore ritmato dei passi degli anfibi fosse cancellato da corse senza obblighi o relazioni. Vorrei che il 2 giugno si festeggiasse l’amicizia, l’ansia di sapere, di essere liberi. Ma so che non è e che non sarà mai come vorrei io, e che questa è solo l’utopia di un utopista, di uno senza troppa concretezza, che si culla di pensieri buoni in un tempo di cose cattive.