J. Alfred Prufrock e la parabola del bianco
da blueblow il dicembre 1, 2012"Lunarionuovo" n.18- anno XXVII-
dicembre 2006: monografico per
Roberto Sanesi
La Stimmmung di V.S.Gaudio
con Roberto Sanesi su "Lunarionuovo"
V.S.GAUDIO
●J. Alfred Prufrock e la parabola del biancoLa doppia Stimmung con Roberto Sanesi e T.S. Eliot
sull’oggetto che annega nel bianco che era
[1]Luce in quanto figura. ma
tutto quel bianco ficcato nell’armadio, compatto,
limpido e intatto in una messinscena un po’ lugubre
di miagolii e di trine, di rantoli, unghie, delicatissimi
pètali e casti trionfi di virtù, grumi sospetti,
malessere stipato, ombre, vi s’accartocciano verbi,
stridono sacrestie, vi s’annodano peli corvini
da vecchia vassalla, insomma preme insensato,
sebbene bianco, e farnetica, striscia, bisbiglia, senti
che esige il suo contrario, una tela cerata, un involucro, e
si gonfia, organismo, genera segni e fiori
fiamminghi,
e lei sotto il sofà languida come un tarlo,
oblio, acquiescenza dell’oblio nel ricordo che non dimentica nulla
boiserie per profilo canonico, ninfa Luigi XIII e simili,
e solo in questo può dire di raggiungersi, identica, altra,
per la pressione che infine spalanca una vita
così impensabilmente diversa, e cioè l’anta, o il quid
dell’armadio che la contiene, per rifluire, con qualche
sforzo e tuttavia felice, nella formulazione nomade
della sua stessa esistenza,
e lei dimentica, con lo stesso movimento che potrebbe
metterli in rapporto
ma allora sarebbe meglio smetterla d’eccitare il
dilemma della calce spenta, di vagheggiare l’adescamento se, priva
d’ogni interesse verso l’oggetto in cui annega, si sposta, apre, chiude
e torna ad essere quello che era,
bianco, luce,
dove soltanto il segno è plurale,
continuamente ingannato dallo scrivere
lo spazio non aperto del terrore è attenzione vuota che
disabita la chiarezza del vuoto,
o è mistero che non è niente
dunque assenza dell’accoglimento di ciò che sfugge all’attenzione[2]
nella penombra bizzarra dei fatti rivelati,
oscillando nel vento
con labbra screpolate d’eversori
allora andiamo, let us go then, tu ed io,
quando la sera si stende contro il cielo
andiamo, per certe strade semideserte,
la nebbia gialla che strofina la schiena contro
i vetri the yellow smoke that rubs its muzzle
per essere violate e celebrata
da qualche cane postumo in nevrosi
e vedendo che era una soffice sera d’ottobre
sul muro della fabbrica, malinconie rachitiche
da bassa latinità e sottocommissioni
per il fumo giallo che scivola lungo la strada
strofinando la schiena contro i vetri
in tempo per prepararti una faccia per incontrare
le facce che incontri
il peccatore che si pente è il mistico
che oppone resistenza prima di prendere un tè
col pane abbrustolito before the taking of a toast
and teae di sicuro ci sarà tempo
di spingersi in avanti
per incontrare il passato, l’agguato dei sensi,
graffiando dalla menzogna il silenzio,
e tuttavia
in the room the women come and go
talking of Michelangelo or Paulus Potter
nelle regioni interne di Carlgustav
ronzano edìpodi in livrea marrone
as the brown bunny in cui tu che le hai conosciute
tutte, le sere, le mattine, i pomeriggi
hai misurato la tua vita con cucchiaini da caffé
hai conosciuto tutti gli occhi e questa Chloë
che ha camminato con te al crepuscolo per strade
strette lisciata da lunghe dita dicesse
le ho viste al largo cavalcar l’onde
pettinar la candida chioma dell’onde risospinte
quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera
ho udito le sirene cantare l’una all’altra
di spingersi in avanti a riconoscere alla fine
la persistenza di un luogo che ha gli occhi di Chloë
che per essere di Springfield nel Massachusetts
non è una contessa inglese che si dà alle scene(1)
né che l’anima sua si tenda nei cieli
attorno a queste immagini strofinatevi la mano
sulla bocca, e ridete
fra le tenaglie di un gemito
le erbe ricrescono contro il linguaggio
nel rugginoso solfito delle nuvole
che smangia labirinti di dialettica
let us go then
when the evening is spread out against the sky
let us go and make our visit
andiamo a fare la nostra visita
e di sicuro ci sarà tempo
di chiedere, “Posso osare?” e, “Do I dare?”
time to turn back and descend the stair
Do I dare?
Turbare l’universo?
In un attimo solo c’è tempo
per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà
Chloë nell’armatura del suo dab volteggia
sfodera mani veloci, seni da femme de chambre
contro i rettori del mondo e delle tenebre
nella penombra bizzarra dei fatti rivelati
oscillando nel vento
con labbra da blow bunny job
non misura la sua vita con cucchiaini da caffé
oserà turbare l’universo inginocchiata sul pavimento
è questa la compressione di tutto l’universo
è farlo rotolare lungo gli argini percòssi
dalla parola: “è proibito volare”?
Lei che ha visto al largo cavalcare le sirene
e tu con i pantaloni di flanella bianca,
lungo la spiaggia,
che ne raccogli l’ombra, la traccia, la corrosione,
è così che il corpo si ritrova, e le erbe
ricrescono contro il linguaggio
till human voices wake us, and we drown°°°Da La parabola del bianco, “yo me sucedo a mi mismo”, che fu quella doppia Stimmung per By Logos(2), in cui c’era la mutazione di matrice della poesia di Roberto Sanesi, al cui paradigma aggiungevo una donazione di senso da L’attesa, l’oblio di Maurice Blanchot(3), a questa doppia Stimmung, ventotto anni dopo, di The love song of J. Alfred Prufrock [1917] di Thomas Stearns Eliot, tradotta da Roberto Sanesi(4), nel cui paradigma sottentrano donazioni di senso da Des Esseintes a Quarto Oggiaro, E voi, signori, fate par pari inverso loro, Nefertiti seconda / amore mio, Dal “Tractatus” di Paulus Potter, poesie tutte di Roberto Sanesi, che, in questo autunno [“con intervalli variabili, e semitoni, / travestimenti armonici e passaggi / fra indifferenza e rigore, l’autunno / si riconferma ipocrita”](5) in cui c’è tempo “per prepararti una faccia per incontrare le facce che incontri”, “e tempo per tutte le opere e i giorni delle mani”, non c’è più tempo di chiedere “What is it?”. “Per questo la sorte / con la sua testa inclinata biondo-cenere / insiste con malizia a frugare i cespugli, / là dove il dubbio ha trovato riparo”(6)?Note1Come non pensare, con lo stesso movimento che potrebbe metterle in rapporto, a Chloë Sevigny che si dà in scena [in “The Brown Bunny” (2003) di Vincent Gallo, premiato a Cannes], perché a noi non competono quelle che con mirabile grazia battono la sterpaglia e spengono la voce, con la testa inclinata biondo-cenere là dove il dubbio ha trovato riparo?2Lacaita 1979, a cura di Silvio Ramat, Cesare Ruffato e Luciano Troisio, ma anche Fernando Bandini e Andrea Zanzotto.3Trad. it. Guanda, Milano 1978.4Cfr. T.S. Eliot, Opere, a cura di Roberto Sanesi, Bompiani, Milano 1992 e 1993.5Roberto Sanesi, Ipocrisia dell’autunno, in Ante Rem. Scritture di fine Novecento, splendida antologia a cura di Flavio Ermini, Anterem edizioni, Verona 1998.6Ibidem. Non è casuale questo richiamo dell’antologia di Flavio Ermini, in cui Roberto Sanesi è tra i poeti della quinta sezione, quella de “La persistenza del senso” in cui “proseguire nella ricerca di una lingua significa allestire la scena che possa accogliere l’inquietudine e il dubbio”. Questa è la poesia di Roberto Sanesi: “La parola si muove fra persistenza e mutevolezza nella nominazione. E ne sopravanza la pienezza. Ricadendo così all’esterno della cosa. In onde non estinguibili. Dando luogo a un’altra lingua rispetto a quella del senso comune. L’unica che può giungere a sollevare lembi d’informulato. Una lingua in cui non si scorgono leggi, conseguenze, fondo. Né si distinguono radice ed erranza, silenzio e voce” (cfr. Flavio Ermini, Presentazione, in Ante Rem cit.).