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Vuoi un’intervista in tv? Paga. Cosa non si fa per un quarto d’ora di celebrità.

Creato il 16 agosto 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Vuoi un’intervista in tv? Paga. Cosa non si fa per un quarto d’ora di celebrità.

È inutile che Beppe Grillo s’incazza. Lui c’è abituato a farsi pagare per rilasciare interviste, ma non sono mica tutti come lui e, soprattutto, non tutti hanno lo stesso appeal mediatico. Regola fissa nelle tivvù commerciali, stipulare contratti per interviste programmate e a scadenza fissa, è sicuramente una delle maggiori fonti di guadagno, con la pubblicità, delle ex televisioni libere, quelle che “libere” davvero, in fondo, non lo sono mai state. Quello che è accaduto in Emilia-Romagna fa scandalo solo perché, in questo gran puttanaio dell’informazione dopata, è incappato un esponente importante del M5S, Giovanni Favia il quale, lontano da ogni parvenza di pentimento, ha detto testualmente al suo capo che lo aveva bacchettato via web: “Il contratto con la televisione ce l’ho, ho pagato, non ho nessuna intenzione di rinunciare”. E ha così concluso: “L’informazione non è libera”. Ma che ti venga un bene! A noi queste scoperte traumatizzano. Le televisioni “incriminate” (virgolettato perché non è stato commesso nessun crimine), sono Rete7 e ètv. Nulla da dire sulla prima, fa il suo lavoro, ti propone un pacchetto commerciale, arriva il giornalista, ti domanda quello che vuoi ti domandi, dai la risposta che desideri. Il gioco è fatto, il contratto rispettato. Diverso, invece, il discorso che riguarda ètv che non solo è una emittente dei vescovi ma che fino a ieri ha decisamente negato ogni tipo di “marchetta” strutturata. Le Loro Eccellenzenon hanno però potuto negare l’evidenza, com’è nel loro costume e nella loro indole cattolica, perché i rappresentanti della Lega, dell’Udc, del Pdl e perfino di Sel hanno mostrato pubblicamente i contratti. L’Ordine dei Giornalisti (al quale apparteniamo, per cui è anche il nostro), ha deciso di vederci chiaro perché, pur non essendoci, lo ripetiamo a scanso di equivoci, nessun reato e nessuna legge violata, quella che viene messa pesantemente in discussione è la deontologia di un lavoro nato per non fare sconti a nessuno mentre si scopre che, dopo quattro interviste, una è gratis. L’Ordine, insomma, sta mettendo in discussione la professionalità di persone che si fanno pagare per quello che dovrebbe essere un fondamento del nostro mestiere: “Intervistare per capire”, mentre qui si intervista per mangiare. Che gli organi di informazione si facciano pagare le notizie non lo scopriamo sicuramente noi. Ci sono giornali che realizzano pagine di pubblicità mascherate da servizi per poi farsi compensare con l’acquisto di decine se non di centinaia di copie. Abbiamo lavorato per testate locali, sappiamo esattamente di cosa stiamo parlando. Le marchette, nel nostro mestiere, sono all’ordine del giorno per cui si assiste tranquillamente ai buoni pasti regalati a un collega per una serie di servizi su un ristorante. Una pagina pubblicitaria costerebbe molto di più, tanto vale rivolgersi al marchettaro di turno. Con l’avvento di Silvio questo tipo di “informazione” ha avuto uno scatto in avanti formidabile. Ti pago perché quel servizio non appaia, è diventato un tormentone che ha finito per evidenziare ricatti di ogni genere e natura, non solo politica. Questo è un mestiere maledettamente serio che bisognerebbe affrontare e vivere quasi con spirito di sacrificio. Dare notizie manipola in qualche modo l’opinione pubblica, darle false o drogate dovrebbe essere un reato: di circonvenzione di incapace.



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