Non darò giudizi su questo vino. Oggi non è questo che voglio fare. E comunque, chi lo volesse assaggiare lo può acquistare direttamente nello shop aziendale al prezzo di 15 euro: qui.
Mi fermo prima. All’etichetta, al collarino e alla contro etichetta. Premetto una cosa: non conosco questo produttore e quello che sto per scrivere non è indirizzato a lui. Ma alle istituzioni pubbliche, parapubbliche, promozionistiche e consortili del Trentino enoico. Le mie osservazioni non riguardano questo produttore, che con il suo vino e le bottiglie, chiaramente, è libero di fare e disfare come vuole, quello che vuole e quando vuole. Chiaramente. Naturalmente.
Questa bottiglia, però, mi è sembrata un caso da manuale su come confondere definitivamente, se ancora ce ne fosse bisogno, il consumatore. E mi chiedo: possibile che qualcuno, fra le tante istituzioni trentine che qualche competenza ce l’hanno sull’uso dei marchi collettivi, non sia in grado di imporre uno standard minimo a cui attenersi, al di là delle prescrizioni di legge. Un protocollo che miri a valorizzare il marchio e non a confonderlo dentro mille altre indicazioni.
Dunque, sul fronte del GUFO IMPERIALE – e io, povero ignorante, che ero rimasto all’Aquila Reale, che però è tutta un altra cosa – compare l’indicazione BRUT – Metodo Classico. E fin qui va bene. In basso, in evidenza, invece il marchio collettivo TRENTODOC. E qui apro una parentesi: nell’elenco dei soci dell’Istituto TRENTO DOC, almeno quello pubblicato sul sito web, questo produttore oggi non compare né
Comunque torniamo all’etichetta. Eravamo rimasti alle parole BRUT – METODO CLASSICO – TRENTODOC. Naturalmente non finisce qui. Sul collarino, infatti, compare anche il simbolo grafico del Talento che sormonta la dicitura Metodo Classico. Infine la retro etichetta, insieme alla dicitura TRENTO Denominazione di Origine Controllata, compare anche l’acronimo (DOP) della nuova Denominazione di Origine Protetta.
C’è un modo migliore per confondere il consumatore trentodocchista già ampiamente confuso di suo? Non so. Non credo. Naturalmente, ogni produttore, con le sue bottiglie, è libero di sbizzarrirsi come crede e di esercitare tutta la fantasia che in quel momento lo attraversa. Ma mi chiedo e lo chiedo ai sacerdoti istituzionali che custodiscono il marchio collettivo TRENTODOC – se non ho perso il conto, ora dovrebbe essere Consorzio Vini -, quando si concede in uso questo benedetto-maledetto marchio, si può immaginare di accompagnarlo ad una comunicazione coerente, che stia dentro alcuni standard e alcuni parametri minimi? Non lo so, dite voi. Fate voi. Ma a questo punto, se alla banda dei Cosimi (a quel che resta dela banda) venisse in mente di fare, chennesò, un Dosaggio Zero e di chiamarlo W LA GNOCCA (CLASSICA) E DI TALENTO – DOC – DOP – TRENTODOC, non ditemi che correremmo il rischio di incontrare qualche matto da legare disposto a lasciarci fare. O forse sì?
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