Non per fare lo spocchioso sapientone del cazzo, ma io da sempre dico che Sorrentino e Garrone al momento sono i migliori registi nel panorama nazionale contemporaneo che abbiamo, e Reality non fa che confermare parte della tesi. Come direbbe Mr. Wolf, senza fare pompini verbali vari, Reality è un vero e proprio gioiellino che brilla di luce propria nell'oscurita italiota. Garrone mette a fuoco sotto la sua lente di ingrandimento la macchina dello spettacolo, l'italia pedissequa, ignorante e becera, in cui perfino chi non vuole diventare famoso alla fine si lascia ipnotizzare dalla mediocrità dello spettacolo dove non bisogna essere se stessi, ma bisogna scegliersi un ruolo che sia necessariamente interessante per il pubblico. Nello specifico fa specie la storia di Luciano, un Aniello Arenà strepitoso, maschera tragicomica, complice della sua fissazione che peggiora di giorno in giorno, popolano autentico, in arte un pescivendolo intrattenitore col vizio di egocentrismo, piegato dal desiderio di entrare nella casa del Grande Fratello per colmare quel sogno quasi fiabesco che sin dal primo piano sequenza ci viene mostrato. La tematica che viene espressa e messa in scena in Reality è rintracciabile in maniera diversa ma sempre con taglio critico, nell'ottimo documentario di Erik Gandini "Basta Apparire", che si concentrava sopratutto sulla necessità odierna di voler apparire, ottenere visibilità, popolarità e divenire famosi a tutti i costi. La grande capacità di Garrone sta nel trasfigurare la magnifica ossessione di un sogno di gloria nei confini di una fiaba nazional-popolare, e quindi non si tratta di un film sulla cattiva tv, ma sul pubblico illuso che perde la propria identità fino a diventare massa indistinta, un nonnulla, che trova completezza in un finale sospeso nell'esistenziale, dove l'incanto fiabesco d'inizio pellicola ha definitivamente ceduto il passo alla cruda e vera realtà stando comodamente seduti sulla sdraio in giardino, nella casa più spiata dagli italiani.
Matteo Garrone