Wake of Death - Recensione

Creato il 05 febbraio 2016 da Lightman

Jean-Claude Van Damme è un padre in cerca di vendetta e coinvolto in un intrigo internazionale in Wake of death, violento e avvincente action / revenge movie diretto da Philippe Martinez.

Dopo una vita passata negli ambienti della malavita, Ben Archer è intenzionato a voltare pagina per trascorrere più tempo con la moglie Cynthia e il figlio Nicholas. La donna è un'assistente sociale dell'INS, un'organizzazione governativa che si occupa dell'immigrazione cinese illegale: dopo l'ennesimo sbarco di richiedenti asilo decide di portare a casa sua la piccola Kim, una ragazzina fuggita dal suo Paese in seguito alla morte della madre, uccisa dal marito Sun Quan, un potente membro della Triade, che ha affari legati al traffico di droga proprio a Los Angeles. Sbarcato oltreoceano per ritrovare la figlia, il gangster uccide a sangue freddo Cynthia e i suoi genitori, mentre Kim e Nicholas riescono a scappare. Ben, con l'aiuto dello zio della defunta moglie (malavitoso francese) e dell'amico fraterno Tony, si metterà alle calcagna di Sun Quan per ottenere vendetta, dando vita ad una guerra senza esclusione di colpi che metterà a soqquadro l'intera comunità orientale.

Only god forgives

Inizialmente in cabina di regia sedeva il grande Ringo Lam, alla sua potenziale quarta collaborazione con Jean-Claude Van Damme dopo Maximum Risk (1996), The Replicant (2001) ed Hell - Esplode la furia (2003), ma il regista abbandonò le riprese dopo poche settimane. Delle vaghe influenze stilistiche sono fortunatamente rimaste in quello che ad oggi rimane il miglior film dell'altrimenti mediocre collega francese Philippe Martinez. Wake of death è un classico action/revenge movie che guarda al filone hongkonghese, sorretto da un'azione a tratti sfrenata e da un'enfasi melodrammatica preponderante (a tratti anche in maniera eccessiva) che narrativamente racconta poco di nuovo. A rendere la visione più piacevole di molti titoli omologhi è però un ritmo teso e serrato carico di una violenza vibrante e necessaria (che gli è costata il divieto ai minori di 17 anni negli States) che trova un'efficace valvola di sfogo in coreografie marziali più che discrete ed inseguimenti su quattro o due ruote spettacolari quanto basta per garantire la giuste dose di adrenalina. L'attore belga, pur essendosi dimostrato più maturo attorialmente in produzioni dell'ultimo lustro, ha fatto ben di peggio in passato e il personaggio di Ben Archer è uno di quelli più riusciti a cui ha prestato volto e fisico nella prima parte del nuovo millennio; in più la pellicola vanta un villain d'eccezione interpretato da Simon Yam, figura ben nota agli amanti del cinema proveniente dall'ex-colonia britannica. Lo svolgimento è naturalmente forzato in più di un'occasione, come d'altronde è spesso abituale nelle produzioni di genere, ma il divertimento senza troppe pretese è qui garantito senza fronzoli di sorta.

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