Walk on the Wild Side: potenze emergenti e global governance

Creato il 17 ottobre 2011 da Prospettivainternazionale

In un recente intervento il National Security Advisor dell'India, Shivshankar Menon, ha tracciato un quadro molto realista del ruolo che l'uso della forza riveste nelle Relazioni Internazionali.

In prima battuta è stato osservato che al giorno d'oggi un leader occidentale difficilmente terrebbe un tale discorso. Non sono sicuro che questo sia vero in primo luogo perché ritengo che non ci sia niente di scandaloso nelle parole di Menon. In secondo luogo seppur è vero che il realismo generalmente si vende male all'opinione pubblica occidentale e che per questo motivo i leader politici tendono a "parlare in modo vittoriano e a pensare in modo pagano", anche in occidente soprattutto negli ambienti legati alla sicurezza e alle forze armate non è difficile trovare parole tanto esplicite.

Oltre a fornirci un'ottima lezione di Politica Internazionale il discorso di Shivshankar Menon ci induce a riflettere su delle questioni molto importanti come la percezione che le potenze emergenti hanno dell'attuale global governance e la relazione che intercorre tra queste percezioni e quelle delle potenze occidentali.

Su FP David Bosco ha sollevato due punti d'interesse. In primo luogo le potenze occidentali sono più abituate a ragionare in termini legalistici rispetto alle potenze emergenti e riescono a sfruttare al meglio le strutture e le istituzioni internazionali; ne deriva che le seconde hanno una visione più incentrata sul principio di self help rispetto alle prime. Inoltre, sempre secondo Bosco, le potenze occidentali tendono a far coincidere le loro ragioni e i loro interessi con il concetto di legalità internazionale e le potenze emergenti si sentono minacciate da questo atteggiamento.

Kenneth Anderson su Opinio Juris apporta un'ulteriore osservazione: mentre il liberalismo istituzionale è in ritirata sulla scia del ridimensionamento dell'influenza americana, le potenze emergenti asiatiche pensano che in caso di una guerra interstatale potrebbero essere costrette a contare unicamente sulle loro forze.

A mio avviso, anche se in diversa misura, c'è qualcosa di vero in ognuna di queste osservazioni ma nessuna di esse coglie in pieno il punto della questione in termini di prospettive future.

L'attuale assetto nella governance del Sistema Internazionale (SI) è il risultato di equilibri di potere che si sono configurati dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel corso e dopo la fine della Guerra Fredda. I regimi internazionali, le istituzioni internazionali e le regole per il loro funzionamento non sono altro che mezzi, perennemente sottoposti nella loro definizione al confronto di potere tra Stati, utilizzati per conformare gli esiti della politica internazionale agli interessi nazionali.

Tuttavia quando si parla di regole internazionali non bisogna pensare solo al diritto internazionale bensì a quell'insieme di fattori che condizionano il risultato delle interazioni tra gli attori del SI delineando in una certa misura la legittimità degli obbiettivi e dei mezzi per conseguirli. In un sistema anarchico un posto di eccellenza in tale processo spetta all'influenza esercitata dalle potenze dominanti sugli altri attori del sistema. Lo stesso grado di effettività delle norme del diritto internazionale risente profondamente di tale influenza. Le potenze che accettano di sottostare a certe regole lo fanno perché i benefici che ne traggono sono maggiori rispetto ai costi che dovrebbero sostenere per cambiarle.

Oggi la governance internazionale va incontro ad un periodo di incertezza perchè al progressivo mutamento dei rapporti di forza dovuto all'emergere di nuove potenze non fa fronte un rispettivo segnale di adattamento delle sue regole. Questo avviene per una serie di fattori tra i quali spicca soprattutto l'atteggiamento restio che le potenze che più beneficiano dello status quo assumono nei confronti dell'idea di modificare un ambiente plasmato prevalentemente in loro favore.

Fino a quando una socializzazione caratterizzata da un certo grado di equità non sarà possibile, perché mai le potenze emergenti dovrebbero accettare, rispettare e sottostare a canoni che operano senza tener conto dei mutamenti che esse rappresentano? Questa è una domanda retorica che ritengo abbastanza rilevante ai fini della spiegazione del realismo indiano o cinese che sia. Credo parimenti che quello della socializzazione di nuovi importanti attori delle relazioni internazionali sia uno dei temi principali con i quali dovremo rapportarci nel prossimo futuro.

Il discorso appena fatto è di carattere generale e non deve essere certo estremizzato. Per evitare fraintendimenti in merito va ricordato che Shivshankar Menon è stato un soggetto molto attivo nel favorire l'avvicinamento dell'India all'occidente. Sostenitore della necessità di stringere i legami con Washington egli ha anche giocato un ruolo chiave nei negoziati che hanno implementato la cooperazione tra Nuova Delhi e la comunità internazionale in materia di non proliferazione nucleare. Ciononstante, e qui torniamo ad una sana interpretazione del quadro tracciato in precedenza, rimane il fatto che secondo Shivshankar Menon

" If our international institutions are not dealing successfully with the challenges of today, one reason is the fact that they no longer reflect current or emerging realities of power [...] India is ready to work to build an enabling global order, based on equity and reflecting emerging realities. "

Elio Amicarelli - prospettivainternazionale


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