Walter Chiari – Fino all’ultima risata

Creato il 29 febbraio 2012 da Af68 @AntonioFalcone1

Alessio Boni e Bianca Guaccero

entertainer

Ricordo con piacere molti suoi sketch televisivi, alcuni ho avuto modo di rivederli o di vederli per la prima volta “da grande” (la riproposizione dei fratelli De Rege o Il Sarchiapone, entrambi con Carlo Campanini) in programmi come Storia di un altro italiano, sette puntate di Tatti Sanguineti, e man mano, appassionandomi al personaggio, ho cercato i vari film a cui ha preso parte negli anni, rimanendo colpito in particolare dalla sua interpretazione ne Il giovedì, Dino Risi, ’63, come da quella offerta in Bellissima di Visconti, ‘51 o ne La rimpatriata, ’63, Damiano Damiani, limitandomi a qualche titolo tra i tanti, per ragioni di brevità e giusto per evidenziare il già citato eclettismo, specie in presenza di valide scritture.

Alla luce di queste mie considerazioni, ho atteso con una certa curiosità, mista a prevenzione, lo ammetto, la messa in onda (Rai Uno, domenica 26 e lunedì 27 febbraio) della miniserie Walter Chiari- Fino all’ultima risata, regia e sceneggiatura (quest’ultima insieme a Luca Rossi) di Enzo Monteleone e con Alessio Boni protagonista principale (tra gli altri interpreti Bianca Guaccero, Caterina Misasi, Anna Drijver, Dajana Roncione), sperando, pur nell’ambito di un prodotto televisivo, che venisse fatta risaltare sia la complessa personalità dell’artista sia, particolare a mio avviso non secondario, il clima proprio dei vari anni in cui il nostro si trovò a calcare le scene, i mutamenti di costume, le trasformazioni in atto nella società, anche in considerazione delle note vicende legate alla droga che ne comportarono la detenzione in carcere nel ’70.

Purtroppo dopo la visione la delusione è stata cocente: non solo niente di quanto avevo sperato si è palesato sullo schermo, ma tutto si è risolto nella pur ottima interpretazione di Boni, allo stesso tempo pregio e limite della fiction, con il voler rendere alla perfezione, dalla parlata alla gestualità, in ogni minima espressione, la figura di Chiari, insistendo soprattutto sulla consueta parabola di uomo “normale”, o “comune” che dir si voglia, sopraffatto dall’improvviso successo e conseguente incapacità o spavalda incoscienza nel gestirlo.
Ecco, quindi, la solita sfilata dei vizi che affliggono gli uomini di spettacolo (cocaina, gioco d’azzardo, catalogo ragionato di belle donne) e qualche vano tentativo di redenzione (il matrimonio con Alida Chelli, la nascita del figlio Simone), con il solo risultato di banalizzarne la contraddizione uomo-artista, al’insegna del classico “se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo”, citando, forse a sproposito, De Andrè.

Anche nella considerazione di un prodotto tv improntato alla godibilità complessiva e alla conseguente consolazione auto assolutoria degli alti indici d’ascolto, il ricordo, la sua elaborazione, è certo qualcosa di molto complesso, che va ben al di là della pedissequa imitazione di una smorfia o di un tic o di una regia e di una sceneggiatura improntate alla mera funzionalità della messa in scena: dal cosiddetto servizio pubblico, espressione quanto mai abusata, ne convengo, è lecito pretendere di più.


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