Antigone, rappresentata la prima volta ad Atene forse nel 442 a.C., è la tragedia che più mi è cara nel repertorio classico. È un'opera di una modernità sconcertante: la storia di una sepoltura contro le leggi, la storia del del viscerale odio di due fratelli bilanciato (o forse ancor più sbilanciato) dall'amore incorruttibile di una sorella che rivede il concetto stesso di giustizia.
Tragedia delle tragedie, catastrofe dai contorni misteriosi, nella quale ci si chiede spesso che cosa stia accadendo in realtà, perché avvenga tutto ciò, Antigone è di per sé opera straziante e incantevole. Se la pragmatica quotidiana non avesse il sopravvento sull'etimologia, direi che è terribile, nel senso che atterrisce. Archetipo di laceranti simmetrie, la tragedia di Sofocle, adorata da Hegel e Hölderlin, ci presenta un mondo invasato dalla vendetta e dal male: la ragazza viene punita, sepolta viva, per bilanciare l'oltraggio mefitico del morto insepolto. Ed è il giovane figlio a tentare di ricondurre Creonte sulla rotta degli dei, mentre il profeta, l'irrinunciabile Tiresia, accusato ingiustamente di avidità, troverà le parole più adatte a mettergli paura e ricondurlo all'amore della sua famiglia, ovvero alla legge dell'amore contro quella della morte.
Antigone non è una tragedia rapida o appassionante come quelle di Euripide. Il suo potere giace nel senso di pietà e in quello di giustizia che ci animano. Antigone protesta, Antigone si ribella e Antigone lamenta e maledice la propria sorte, la propria morte virginale contro l'uomo Creonte. Non ci si aspetta certo un selvaggio Sacre du printemps, di stravinskiana memoria, né (più coerentemente) un'orgia bacchica, ma negarne l'energia intrinseca significa uccidere la tragedia, il senso del suo esistere. Per questo mi ha irritato molto, e all'inizio anche annoiato, l'edizione in dvd per la regia di Walter Le Moli (con la traduzione dal Greco, ormai classica, di Massimo Cacciari).
Nello spettacolo di Walter Le Moli, ci sono anche momenti accettabili o gradevoli, che lo spettatore più paziente, in grado di superare la prima noiosa mezz'ora, può scovare. In particolare, mi sembra che il coro vada assumendo peso e spessore, con lo splendido terzo stasimo (che ho trovato il momento più suggestivo dell'intero spettacolo). Anche i personaggi, seppure in tono minore, trovano un loro equilibrio, anche se alla fine: il corifeo (Francesco Acquaroli), Antigone (Paola De Crescenzo) ed Emone (Alessandro Averone) non toccano mai l'intensità che ci si attende, mentre l'incolore ruolo Ismene non dà il tempo alla sua protagonista (Franca Penone) di rodarsi. Forse l'attore più centrato, nonostante il breve lasso di tempo della sua parte, è il Tiresia di Michele De Marchi, che con la sua cecità è riuscito a squarciare il velo di monotonia e di grigiore che appesantisce questo spettacolo. Peccato: con la penuria di titoli così importanti che caratterizza il mercato dell'home video, mi sarei aspettato qualcosa di molto più invitante.
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