Arriva in perfetto orario, trafelato, tutto sudato e, dopo un piatto di pasta e broccoli accompagnato rigorosamente solo da acqua naturale, gli chiedo come vanno gli affari.
“Bene”! Risponde di botto. “Per me il lavoro non manca”.
Faccio notare che, a parte il lavoro, non è così una bella notizia.
E’ dello stesso parere e nel continuare a parlare mette meglio a fuoco la situazione. Nonostante l’abbozzo di sviluppo degli ultimi anni, seguito alla fine della guerra civile, in particolare i giovani -di tutti i gruppi sociali- faticano sempre più nel trovare uno sbocco concreto e soddisfacente nel “moderno” Uganda. L’alcol c’è sempre stato in abbondanza, economico, alla portata di tutti e oggi più che mai scorre nelle vene dei giovani che lo usano per darsi coraggio o scacciare le paure di un’esistenza perennemente in bilico fra speranze e profonda frustrazione. L’Uganda non ha una politica riguardo al problema alcol e manca di un’istituzione nazionale “forte” che regoli il settore mentre alcuni anni fa le tasse sulla produzione domestica sono state ulteriormente abbassate con il risultato di far schizzare alle stelle produzione e consumo.
Con la Hash House Harrier il gruppo di podisti che frequento settimanalmente -guarda caso un club di bevitori con il problema della corsa, ramificato in tutte le capitali del mondo- certe volte attraversiamo alcune delle numerose distillerie clandestine che punteggiano gli altrettanti numerosi ed estesi slums di Kampala. Stavo affannato e naturalmente di corsa e non sono riuscito a capire bene quello che mi stava intorno per cui sono interessato a una visita guidata. Chiedo a Dominic se per caso conosce qualcuno e se ha voglia di accompagnarmi in uno di questi posti. Faccio il caffè e dopo alcune telefonate combiniamo un appuntamento per la settimana prossima dopo pranzo.
Raggiungere il posto non è stato facile; per ben tre volte la pioggia -di cui un fortunale equatoriale di quelli con le palle – ci ha scacciato, ma al quarto tentativo in un pomeriggio di discreto sole raggiungiamo il popoloso e popolare quartiere di Nakawa. Lungo i binari di una ferrovia abbandonata, in una zona degradata e sporca oltre ogni limite, alla fine di un vicoletto buio e fangoso stretto fra due fatiscenti baracche di legno con tetti di lamiera tutta sbrindellata e arrugginita appare quasi come per incanto una distilleria.
PS
Sull’etimologia della parola waragi mi è giunto un suggerimento che volentieri condivido.
Waragi in Acholi (una lingua tribale del nord Uganda) si chiama areke che deriva dal sanscrito ed è la base di tutte le parole come rakia (nei Balcani), raki e anche grappa e semplicemente significa distillato alcolico.