La trama (con parole mie): Brendan e Tommy sono due fratelli cresciuti dalle botte e dagli errori di un padre alcolista, Paddy, che ha trasmesso ad entrambi la passione per il combattimento e la lotta.Il primo è diventato un insegnante di fisica, è sposato con due figlie, il mutuo della casa lo schiaccia sotto una montagna di debiti ed è sempre stato il meno promettente sul ring dei Conlon.Il secondo è scappato dalla tirannia paterna assistendo la madre fino alla morte, poi si è arruolato nei marines ed è partito per l'Iraq, dove ha trovato il tempo, prima di disertare, di diventare un eroe dopo aver salvato un'intera squadra di commilitoni.Il torneo di Mma chiamato Sparta è la grande occasione per entrambi, e non solo: cinque milioni di dollari la posta in palio.Per Brendan, l'occasione di mostrare di non essere solo un perdente e di estinguere ogni suo debito.Per Tommy, un ritorno al vecchio sogno di rimanere imbattuto sul quadrato e tenere fede alla promessa di donare l'intera borsa alla vedova del suo compagno d'armi morto sotto il fuoco amico.Per Paddy, la via per una nuova occasione di ricostruire una famiglia distrutta.
Devo ammettere, forse, di avere colpevolmente caricato di aspettative enormi questo film.
In rete e non solo, negli ultimi tempi, avevo letto soltanto recensioni praticamente entusiastiche del lavoro di O'Connor, e fior di accostamenti con pietre miliari quali Rocky e, soprattutto, The wrestler.
La realtà dei fatti, però, alla fine è questa: Warrior è un film solido, onesto, interpretato molto bene e girato come se fosse la grande occasione della vita per il suo autore, ma resta il fatto che si tratti, tutto sommato, di un lavoro assolutamente, clamorosamente paraculo.
Niente di male, sia chiaro - in fondo la Storia del Cinema, soprattutto made in Usa, è incentrata in gran parte su prodotti di questo genere -: la visione risulta scorrevole, emozionante, a tratti toccante, e tutto fa pensare che alla prossima notte degli Oscar potremmo ritrovare in Warrior uno degli indiscussi protagonisti.
Eppure, prima di arrivare a considerare questa pellicola una delle pietre miliari del suo genere o un riferimento da ora in avanti di acqua dovrà ben passarne, sotto i nostri ponti di spettatori: perchè dietro una regia artigianale ma efficace ed il cuore buttato oltre l'ostacolo da un potentissimo Tom Hardy, un ottimo Joel Edgerton e soprattutto un mitico Nick Nolte troviamo una sceneggiatura assolutamente convenzionale, a tratti mal sfruttata, che impallidisce rispetto a quelle che raccontavano le gesta di Randy the Ram o dei fratelli di The fighter - altro film spesso associato a questo nell'ultimo periodo -, o del primo Balboa a spasso nel ghetto di Philadelphia.
Personalmente - a parte le scelte diverse rispetto allo svolgimento del torneo Sparta che vede protagonista la famiglia Conlon - ho preferito, e di gran lunga, la prima parte della pellicola, giocata sulla costruzione dei personaggi e a suo modo eastwoodiana: la rabbia di Tommy, la seconda vita da lottatore notturno di Brendan, la figura dell'Achab di Moby Dick sulle spalle di Paddy e l'ombra della donna che li ha legati - e che, pur a ragione, ha posto le basi per la loro rottura - sono elementi degni di un grande film di formazione, che purtroppo tende a perdersi nel sentimentalismo dall'inizio degli allenamenti in avanti.
Il fatto che tutto pare accadere "ad arte", infatti, tende a mettere in ombra il lavoro svolto nel corso della prima ora di pellicola sui protagonisti e sui personaggi secondari - ottimo, ad esempio, quello di Frank Campana, l'allenatore di Brendan -, lasciando spazio ad un abbastanza convenzionale dramma famigliare che ha i suoi picchi - o almeno vorrebbe averli - nei confronti prima tra Brendan e Tommy - fuori e poi dentro al ring - e tra Tommy e Paddy: il rischio, però, di affidarsi troppo ai questi faccia a faccia, è quello di trasformare l'escalation emotiva in una sorta di telefonato viaggio verso una conclusione giusta, eppure in qualche modo quasi "falsata" dalla mano che l'ha guidata.
Da grande appassionato di lavori di questo genere - come direbbe Cannibale, assolutamente fordiani - resta la curiosità di quello che sarebbe diventato Warrior nelle mani dell'Eastwood di Million dollar baby o dell'Aronofsky del già citato The wrestler, ma anche di un Altman d'annata, di quelli ancora legati alla provincia profonda made in Usa, fatta di losers, occasioni perdute e vite passate al confine, "da qualche parte tra il nulla e l'addio", per l'appunto.
La cosa migliore da fare, però, a proposito di Warrior, è lasciare che la visione guidi la pancia ed il cuore, senza particolari aspettative o pregiudizi: in fondo, si tratta di un film tutto lacrime e sangue, firmato da un outsider che ricorda molto uno dei suoi protagonisti, e che con lo stesso, probabilmente, spera di identificarsi.
In fondo, è proprio vero che, a volte, a rimanere in piedi alla fine non è tanto il favorito, o il più forte, quanto quello la cui determinazione supera di gran lunga il talento.
Rocky Balboa insegna.
MrFord
"We the people fight for our existence
we don't claim to be perfect
but we're free
we dream our dreams alone
with no resistance
fading like the stars we wish to be."Oasis - "Little by little" -