Dati i miei tristi trascorsi da fumettaro pippaiolo, mi sono imbattuto più volte nel nome di Alan Moore. E come si potrebbe non farlo? Lui non è stato un semplice fumettista, anzi, possiamo dire senza vergogna o esagerazione che è stato un Maestro capace di travalicare il genere e di rivoluzionare il concetto stesso di fumetto. Ed è impossibile citare il Sommo senza finire a parlare del suo Watchmen, l'opera più controversa degli ultimi decenni, nonché il fumetto che ha rilanciato il mercato dei fumetti dopo un buio periodo di stand-by negli anni Ottanta, insieme al fascistissimo ma ugualmente bellissimo Il ritorno del cavaliere oscuro di Frank Miller. Quella di Moore era un'opera particolare perché, pur parlando di supereroi, finiva per decostruire il genere e mostrarne le ingenuità e tutta la ridicolaggine che ne stava dietro. Non c'erano splash page, onomatopee colorate o battaglie epiche; tutto era suddiviso in una rigidissima griglia a nove, i combattimenti erano squallidi e grotteschi e i personaggi possedevano tutti uno strano anti-carisma che li faceva apparire ancora più miseri e poveri. E poi c'erano le fobie del periodo, quelle di una guerra nucleare che poteva scoppiare da un momento all'altro, della Russia che sembrava diventare un nemico sempre più forte e di questi personaggi che in un mondo sempre più senza identità non riuscivano a trovare più la loro, sepolta ormai sotto un costume che non potevano più indossare ma al quale erano sempre più richiamati. Tutti elementi che da soli bastano a rendere una storia meritevole e, se scritta bene, un capolavoro. Sarebbe stata degna la trasposizione su grande schermo?
Siamo in un 1986 alternativo, dove Nixon è stato rieletto per la terza volta, lo scandalo Watergate non è mai avvenuto, l'America ha vinto la guerra del Vietnam e uno speciale decreto vieta ai vigilantes mascherati di pattugliare le strade. Quella notte Edward Blake, supereroe in pensione, viene ucciso e gettato giù dalla finestra del suo appartamento, al ventitreesimo piano. Rorschach, supereroe mascherato che ancora pattuglia le strade e che per questo motivo è ricercato dalla polizia, si mette a indagare, deciso a scoprire chi è il killer di maschere. Ma è davvero una minaccia tanto ampia come pensa il vigilante? E un omicidio preclude per forza una serie?
Ammetto che, come tutti i fan dell'opera, all'epoca era molto spaventato per questo film. E non tanto per l'operazione in sé, quanto per il fatto che alla regia ci fosse Snyder, allora conosciuto per aver fatto il testosteronico 300. Il buon Zack è un regista con cui ho un rapporto molto conflittuale poiché, pur ammettendo che a conti fatti faccia solo robaccia (come si potrebbero definire altrimenti robe come Sucker punch o Man of steel?), mi è impossibile odiarlo, perché i suoi film possiedono quel divertimento ignorante che mi è necessario per preservare una parvenza di sanità mentale. Un po' gliene ho voluto quando ha asserito che ha fatto questo film per salvarlo dalla versione di Gilliam, ma comunque la mia simpatia per questo strano tamarro resta quasi del tutto invariata, anche se continuo a dire che non era il regista adatto a fare un film tratto da un'opera così complessa come Watchmen. Eppure, nonostante tutto, il film funzione. E molto bene. Chiariamoci, ha i suoi enormi difetti ed è robetta se paragonata all'originale cartaceo - che ricordo, è un'opera inarrivabile. Ma a conti fatti potremmo dire che una trasposizione era inutile poiché Watchmen era un fumetto così ancorato nella propria natura e nel tema che trattava da rendere qualunque altro media ininfluente e fuori luogo. C'è tanta simbologia in quelle vignette e nelle immagini che racchiudono da rendere quasi obbligatoria una sorta di replica nella versione su celluloide, annullando così un certo passaggio di testimone che dovrebbe portare la visione del regista, qui molto cool e patinata da rendere il film un qualcosa di totalmente diverso da quello che l'originale di Moore voleva dare. Moore voleva ritrarre degli uomini che sono nulla dinanzi all'immensità del caos, dei semplici uomini che si trovano a indagare su un qualcosa di decisamente più grande di loro. Snyder invece ha ritratto dei supereroi, uomini dai costumi sgargianti e dalle pose plastiche che cercano di riappropriarsi del loro status originale. Due versioni agli antipodi e che sembrano rinnegarsi l'un l'altra, ma personalmente io non vedo tutto questo come un male. Questa è la versione di Snyder, una versione più accessibile e accattivante che però ha le sue carte in regole per piacere ed essere apprezzata. La storia, sorretta dalla buona sceneggiatura, prende i punti salienti del fumetto, ne sacrifica quelli più estremi e metatestuali per portare avanti un racconto coerente e avvincente. E si prende pure delle scelte coraggiose, come quella di mantenere le scene più violente (si tratta sempre la guerra del Vietnam con una sorta di sufficiente pietismo condannando l'operato degli USA e vediamo un uomo sparare a una donna incinta) e di cambiare un finale che, per quanto nel fumetto era efficace per quell'intento satirico che ne stava alla base, sul grande schermo avrebbe avuto una resa pessima. Un po' come mettere Tom Bombadil nella prima trilogia di Peter Jackson. Ma però resta sempre un grande ma nel mezzo, del quale il celestiale Snyder è totalmente responsabile. Lui non sarebbe nemmeno un pessimo regista, ha un senso visivo che a me garba sempre parecchio per i generi che va a fare e in certi casi trova pure delle soluzioni interessanti. Qui ci regala dei titoli di testa bellissimi, accompagnati dall'immortale The time they're a changing, che da soli danno un background di quel mondo senza quelle irritanti voci fuori campo da blockbuster medio, insieme ad altre piccole trovate che mi hanno fatto impazzire - il primissimo piano del Comico che piange e, quando la lacrima cade dal mento, si passa a quando la goccia di sangue segna in maniera iconica la sua spilla. Però ha sempre quella maledetta mania di essere fedele a certe scene del fumetto anche quando non ce n'è bisogno, creando dei visibili problemi di continuità, insieme alla scelta di piazzare quei suoi dannatissimi rallenti anche in mezzo a scene che non ne hanno assoluto bisogno. Che che di certo non beneficiano certi passaggi e limitano la potenza narrativa di un film che, con un filino di consapevolezza in più, avrebbe potuto ambire di certo a una vera e propria grandezza. invece resta comunque una pellicola molto valida, da prendere come opera a sé stante e senza obbligati paragoni.
Un film che a suo tempo ho amato e che, fra un ridimensionamento e l'altro, ricordo e rivedo sempre con grande piacere.Voto: ★★★½