“Le radici di un albero non fanno ombra”.
Anonimo africano
Sbirciando l’albo calcistico dei vincitori del Pallone d’Oro, i più giovani accanto a nomi importanti quali Cruijff, Platini o Messi noteranno anche il nome di un calciatore africano, l’unico nella lista. E’ George Weah, probabilmente il giocatore d’Africa più forte ed importante di sempre. Nato nel 1966 a Monrovia, capitale della Liberia, Weah già da piccolo mostra doti in campo non indifferenti ma per guadagnarsi da vivere lavora prima come centralinista e successivamente, incoraggiato dai suoi genitori, continua gli studi scolastici che lo porteranno al conseguimento di una laurea in arte ed amministrazione sportiva a Londra. Gioca intanto a soli vent’anni nelle file della squadra africana Invincible Eleven dove in una singola stagione realizza ben 24 reti. Veloce, saettante, con un fiuto del gol da fuoriclasse, George in area ci sguazza come una pantera nella foresta e la società francese del Monaco, dopo una anno passato in Camerun nel club del Tonnerre Yaounde, lo chiama a sé, desiderosa di veder sbocciare come un fiore un futuro campione di pallone.
La scelta tattica di Weah è vincente, con i francesi infatti la pantera di Monrovia segna 10 gol in campionato nella stagione 1990-91 e vince anche la Coppa di Francia (1-0 all’Olympique Marsiglia, dominatore in quegli anni del campionato e futura finalista a maggio della Coppa Campioni poi persa con la Stella Rossa). Nel 1992 George di reti ne fa ben 18 e trascina il Monaco fino alla finale di Coppa delle Coppe nel quale però viene sconfitto a Lisbona dal Werder Brema per 2-0. A Monaco è un vero principe africano ma sarà con la squadra successiva che Weah raggiungerà la vetta anche della Prima Divisione francese. Viene ceduto al PSG e al primo anno conquista una seconda Coppa di Francia (3-0 al Nantes con tre espulsioni per gli avversari!), perde la semifinale di Coppa Uefa con la Juventus di Trapattoni (che poi vincerà il trofeo) e l’anno dopo, il ’94, finalmente conquista il campionato francese al termine di una stagione calda che vede con la vicenda VA-OM la retrocessione per illecito del Marsiglia che addirittura l’anno precedente aveva alzato la Coppa Campioni in finale contro il Milan di Capello.
L’ultimo anno della pantera di Liberia con il PSG porta un’altra Coppa di Francia (1-0 allo Strasburgo)e una Coppa di Lega (2-0 al Bastia). Ma è soprattutto con lo sfumato approdo in finale di Coppa Campioni ‘95 dopo la sconfitta in semifinale con il fortissimo Milan, competizione in cui George è capocannoniere con 8 segnature, che decreta la leggenda della pantera e la decisione dei rossoneri di acquistarlo a titolo definitivo. Con il Milan di Capello ma in particolare di Baresi, Maldini, Boban e Savicevic Weah diventa un giocatore fondamentale in grado, con i suoi assist, di far segnare proprio tutti, persino Baresi che, essendo difensore, il fiuto di punta proprio non l’aveva. 11 gol alla fine della prima stagione in Italia e uno scudetto giunto di prepotenza, un campionato straordinario dopo un testa a testa con la grande Juve di Lippi. Il “Giorgione” come lo chiamano i tifosi è ormai una celebrità. Diventa l’assoluto idolo sia dentro che fuori dal campo. Come non dimenticare il suo “Ciao a tutti belli e brutti” al termine delle interviste coi giornalisti italiani ma soprattutto la sua simpatia che andava al di là dei suoi gol e delle sue fiondate feline in area avversaria. A dicembre, come per magia, giunge il Pallone d’Oro, strameritato, il primo ad un giocatore africano, primato ancora imbattuto.
Gli anni successivi allo scudetto in rossonero non sono facili per George, segna ancora molto ma il Milan di Capello e poi di Sacchi è in netta inferiorità rispetto al resto delle squadre. Nel ’97 il diavolo arriva all’undicesimo posto e per George non corrono buone acque dopo esser stato reduce da una testata inflitta a Jorge Costa nel dopo gara di Champions League Porto-Milan che lo allontanò dalle competizioni europee per 6 turni (causa del gesto, secondo le testimonianze di George, delle offese razziste da parte del giocatore lusitano). Neppure la stagione dopo è vincente, anzi, è disatrosa come la precedente con un pessimo decimo piazzamento in classifica. Finalmente nel 1999, con Zaccheroni allenatore e con ottimi innesti quali Bierhoff e Leonardo, il Milan conquista un altro campionato, uno dei più inattesi, con la Lazio di Eriksonn che domina per quasi tutto il campionato e poi si lascia sfuggire il primato nelle ultime giornate. Il secondo campionato vinto da Weah è anche l’inizio della sua parabola discendente dopo 10 anni di gol e successi. Lascia a malincuore il Milan per andare in Inghilterra.
Con il Chelsea allenato da Vialli e affiancato da grandi giocatori quali Zola, e Desailly, suo vecchio compagno di gioco nel Milan) vince una Coppa d’Inghilterra nel 2000, ultimo suo trofeo prima di concludere la carriera due anni dopo negli Emirati Arabi Uniti a vestire la maglia dell’Al Jazira ed a sfiorare con la sua nazionale le qualificazioni dei Mondiali del 2002 in Corea del Sud e Giappone per un solo punto sotto la Nigeria. Appese le scarpe al chiodo George, il “combattente in campo e fuori”, come ha detto Maradona in una intervista, quello che non molla mai, decide di entrare in un altro campo, più caldo e meno emozionante, quello della politica dove arriverà nel 2005 a confrontarsi con Ellen Johnson Sirleaf per le primarie in Liberia, perdendo le elezioni. La sua lotta a favore dell’Africa non smette di seguirlo, farà tanto per l’UNICEF e per il suo popolo ma ciò che più ha fatto in maniera sorprendente è quello di aver dato un contribuito allo Sport straordinario, un attributo in più al calcio mondiale, al calcio vero, quello senza barriere ed ostacoli come la storica galoppata infinita dalla sua area a quella avversaria durante la partita contro il Verona alla prima giornata del campionato ’97-’98, una gittata che ha visto i veronesi venir superati come birilli, come se appunto, fra George Weah e la porta ci fosse soltanto una distesa di savana.
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