Io venìa pien d'angoscia a rimirarti di Michele Mari viene pubblicato per la prima volta da Longanesi nel 1990, con grande impatto critico. Nel 1998 è riproposto da Marsilio, nei tascabili, ma il libro non ha una vita editoriale scoppiettante per cui torna presto - e immeritatamente - nell'oblio. Oggi, dopo un'assenza più che decennale, il romanzo torna in libreria grazie a Cavallo di Ferro con una copertina suggestiva e assai azzeccata.
La felicissima opera seconda dello scrittore milanese (romano d'adozione) oggi affermato e stimatissimo dai colleghi, è, in soldoni, uno dei piccoli capolavori sperimentali della nostra più recente letteratura ed è un vero piacere riprenderlo tra le mani per assaporarne l'originalità e l'inventiva. Partendo dall'assunto che l'arte si autoalimenta nutrendosi di se stessa, lo scrittore riscrive infatti in questo delizioso libercolo la storia di Giacomo Leopardi giocando con i generi e mescolando erudizione a trovate d'effetto.
Il risultato è una rivisitazione convincente e molto affascinante della quotidianità del poeta di Recanati, un pastiche linguistico che vira con abilità e virtuosismo verso il gotico spinto. Giulio Nascimbeni sul Corriere della Sera ha non a caso scritto che "...merita un cenno la straordinaria capacità mimetica di Mari che si e' calato in questo racconto di "cose tremende e insieme maliose" mostrando totale assuefazione al lessico dell' epoca leopardiana, agli arcaismi, alle locuzioni che si e' soliti considerare antiquariato letterario. L' effetto e' sorprendente [...]"
Se è vero che tutti i tropi del romanzo orrorifico sono stati ormai riciclati e risputati in ogni salsa e per ogni palato - grazie anche al successo di serie televisive imperniate sui mostri vari, si pensi a The Walking Dead o a True Blood - questa è una magnifica occasione per riscoprire quanto la perizia narrativa italica abbia in anni non sospetti già saputo fare propria, e con eccellenti risultati, la pratica oggi tanto in voga del rimpasto in chiave di genere dei grandi classici (si pensi a questo, di fatto il capostipite di un fenomeno che sta dilagando in maniera financo eccessiva). Qui non c'è un'opera di partenza da stravolgere, ma Mari compie un'operazione di capovolgimento intellettuale, consegnandoci un Leopardi (qui chiamato col suo primo nome Taldegardo) affetto da licantropia mai caricaturale, ma anzi, se possibile, ancor più umbratile e profondo di quello descritto dalla tradizione. Ganzo!
Io venìa pien d'angoscia a rimirarti
Michele Mari (Ed. Cavallo di Ferro)