Il video di Shaun Higton, “What’s on your mind?”, ha fatto molto discutere sulla rete e sui social media e ha ottenuto finora 8 milioni di visualizzazioni. Il tema di fondo è: quanto c’è di vero in quello che raccontiamo della nostra vita su Facebook? E perchè si sente l’esigenza di raccontare un’altra vita, piuttosto che quella che si vive ogni giorno? La riflessione che segue cerca di dare alcune risposte a queste domande
Nel momento in cui scrivo questo post, il video “What’s on your mind?”, cortometraggio scritto e diretto da Shaun Higton , ha raggiunto le 8 milioni di visualizzazioni. A testimoniare che il tema riguarda tutti noi. E sono state molte le persone che conosco e stimo sul Web che lo hanno commentano. Si parla di distorsione della realtà, di alter ego fittizi.
Alessandro Scuratti scrive: “Siamo davvero sicuri che tutto ciò che gli altri postano (e che noi postiamo) sui Social Network sia la verità? Non è che vogliamo presentarci meglio di quel che siamo?“. Giuliano Ambrosio e Alessandro Cosimetti si chiedono quali siano i meccanismi per cui tendiamo a raccontare sui Social una vita non del tutto reale.
Mi unisco a loro ai loro interrogativi, cercando di approfondirne il perché. Perché proprio su Facebook - luogo pubblico di condivisione - vogliamo dimostrare di avere una vita più bella e felice di quella che abbiamo?
L’uomo è un essere relazionale
Bastk pensare a quanto abbiamo bisogno di confrontare ciò che abbiamo e ciò che siamo con quello che sono e hanno gli altri: un bisogno quasi primario, oggi. In grandissima parte, tutto questo è sano, molto sano: siamo nati per confrontarci. Cresciamo in una famiglia che ci dà i punti di riferimento e i valori per il presente e il futuro, usciamo dalla famiglia per dialogare, discutere, fare paragoni. Ci innamoriamo e creiamo altre famiglie, altri valori, altre storie. Alcune hanno un lieto fine, altre no.
La natura del confronto smette di essere sana e buona quando gli altri arrivano a condizionarci a tal punto da spingerci a essere diversi, o almeno mostrarci diversi da quello che siamo.
Una domanda, però: sono gli altri che ci condizionano o sono le aspettative che ci siamo creati, aspettative più o meno istituite dalla società?
Non ho una risposta univoca, ma so una cosa certa: se ci fosse davvero un nemico – qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa di tutto questo condizionarci – il problema sparirebbe. Un nemico si può sconfiggere o decidere di non ascoltarlo. Diventa tutto più complicato, invece, se i condizionamenti ce li diamo noi. Se, in qualche modo, il nemico è dentro di noi. Mi spiego meglio.
Vincere le gare, superare gli altri nelle competizioni, avere ragione nelle discussioni, essere più belli e più bravi, confrontare la propria vita con quella degli altri è qualcosa che ci fa stare bene. Fino a che, però, rispettiamo un limite. E il limite è quel punto in cui la smettiamo di guardare gli altri - o di guardarci con gli occhi degli altri - e iniziamo, semplicemente, a guardare dentro di noi. Il confronto è crescita, la crescita è vita. Lo scopo della vita, però, non è vincere La Gara, ma Stare Bene.
Questo è il punto.
Questo è l’obiettivo primario della nostra vita: stare bene. E si sta bene soltanto quando le cose dentro di noi vanno bene. Sufficientemente bene. Quando troviamo il tempo e il coraggio di guardarci dentro e capire se si sta bene o no. Trovare tempo, spazio interiore, forza d’animo per occuparci di noi è il primo passo. Qielli successivi verranno più facili: comprendere cosa possiamo fare di più per la nostra vita, volerci più bene, essere persone più soddisfatte.
Non è colpa di Facebook se fingiamo di essere più belli e di avere una vita migliore
E benvenute le foto dei matrimoni, dei bimbi con un dentino soltanto, dei momenti felici degli altri – mille amici sconosciuti -. Benvenuti i selfie divertenti, gli status pieni di dichiarazioni amorose, i successi professionali dichiarati pubblicamente. Non prendiamoci in giro: se Facebook non ci fosse, sarebbe solo un po’ più difficile sapere com’è la vita degli altri. Troveremmo, però, certamente altri modi – altri mezzi di comunicazione - per soffrire d’invidia, per credere che il treno giusto sia passato solo per gli altri, che il nostro sia già passato e non ritorni più.
Facebook potenzia il nostro esibizionismo perché lo spara in aria e lo rende evidente
Tutto è lì sotto agli occhi di tutti, in tempo reale. Con modi di comunicare diversi, tuttavia, noi uomini non saremmo diversi. Avremmo lo stesso una gran paura di guardarci dentro per chiederci come stiamo davvero. Saremmo comunque pronti a mentire, conformarsi agli altri, imitare gli altri.
Per non essere da meno? Forse. Per non assumerci la responsabilità di prendere la nostra vita in mano, anche. Per non avere la costanza e la determinazione di scegliere quello che siamo, quello che abbiamo e quello in cui crediamo.
Troviamo in Facebook piccole soddisfazioni e grandi confronti e impariamo, guardando la nostra di vita, a stare bene soltanto.
Difficile, ma ne vale la pena, non credete?