What we call the beginning (Cita-un-libro #ioleggoperché 7)

Creato il 29 marzo 2015 da Povna @povna

La settimana della gita si è srotolata secondo la trama di uno sceneggiatore saggio, che ha predisposto per le strade di Valencia molti motivi, sapientemente reintrecciandoli. Quelli più rilevanti sono stati, senza dubbio: incontri, ombra e ombre, coralità, stupore, Bildung – e poi quella congiunzione suggerita da Thomas Mann nella Morte a Venezia – “nonostante” – come valore supremo esistenziale nella costruzione complessiva della trama.
La ‘povna potrebbe raccontare gli avventurosi episodi alla partenza, quando hanno rischiato di lasciare a terra, in un colpo solo, Mr. House, il Pikolo, lei medesima e Rebecca – della piccineria limitata del personale di terra, all’aeroporto, del senso di ironia di Ryan Air, per una volta inappuntabile, di una colonna sonora da Momenti di gloria, che ha suonato a un certo punto, o della saggia disponibilità del poliziotto di frontiera Franco, che si è rivelato infine deus-ex-machina e nume tutelare.
Potrebbe raccontare dell’arrivo sotto la pioggia, che si è trasformata rapida in sole, quasi subito, alla faccia delle previsioni del tempo (che, come già detto, non esistono), dell’incontro con Iome a plaça della Reina, o di quello con le ombre dell’Onda, che si muovevano per quelle stesse strade cinque anni fa e due giorni (mentre la ‘povna era con Campanellino e Nana dispersa a Oz, per rintracciare Dorothy), sempre a proposito di armonie e compunzione della trama. Potrebbe dire di come ha visto i suoi tre alunni più smarginati riprendere, leggera, consistenza, e di come li ha mantenuti dentro il cerchio limitandosi a guardarli, usando verso di loro briglia lunga e occhi svagati a attenti, che non si potevano ignorare. Potrebbe raccontare di un attraversamento di ombra che arriva inaspettato e fa anche male, anche se necessario e giusto, e si consuma all’ultimo – e vede Soldino e Piccolo Giovanni impegnati nella loro prima, e seria, tappa di responsabilizzazione esistenziale.
Potrebbe raccontare questo, e molto altro: del nuoto a Valencia (suo e dell’Ingegnera Tosta), del mare, della città di Calatrava (che è in sé abbastanza miope), della bellezza di ciò che rimane della città vecchia, e soprattutto del quartiere Liberty, della menzogna recitata in faccia a Mr. House a viso fermo (“Hai chiesto il trasferimento?”; “La solita scuola, quella che provo sempre”; “Allora in pratica no” – la faccia esprime sollievo, anche se vuole essere impassibile; l’Ingegnera Tosta tace), dei sogni inquieti e delle intuizioni raccolte per via, quasi come casualmente. Ma la verità è che, in buona sostanza, non le va di raccontare nulla – perché quello che è successo, che è moltissimo, e ancora in larga parte indigeribile, resta, alla fine come al principio, solo loro.
L’aereo dell’ultima gita, questo è certo, ha portato la ‘povna e i Merry Men in bocca al tunnel degli ultimi giorni, con una velocità e una precisione che, forse, pur dicendoselo, non si aspettavano del tutto. E adesso, tornati a casa, con calma, dovranno digerire questo impatto, che insieme preventivavano da tempo, ma, come tutti i riti di passaggio, picchia forte, e avevano tutti, in qualche misura, un po’ sottovalutato.
“Le cose più importanti sono le più difficili da dire” – scrive, adesso come allora, la ‘povna sopra il gruppo. E poi prima ci nuota e poi ci dorme sopra, è cosa saggia. La citazione (nell’ambito di #ioleggoperché) per Cita-un-libro sarebbe stata, in ogni caso, dai Four Quartets, perché le parole di Eliot, per questa occasione, sono semplicemente quelle giuste. Il tema proposto da Murasaki, morte – lo sceneggiatore sorride – in ogni caso si presta. L’inizio del V movimento, ovvio, con il ciclo inesauribile della fine dell’inizio: eppure la ‘povna, per (non) raccontare le ultime battute di questa storia loro, che gira verso l’ultima ansa, inesorabile, sceglie le battute finali.


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