Widad Tamimi e il Caffè: il Piacevole Aroma della Lettura

Creato il 14 gennaio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Nel panorama editoriale degli ultimi mesi sono tanti i libri che insieme ad una copertina ben studiata includono il vocabolo «caffè» nel titolo (solo per citarne alcuni: Caffè Babilonia di Marsha Mehran e Il profumo del caffè di Anthony Capella, entrambi editi da Neri Pozza). Mi lascio facilmente incantare dalla veste grafica di un volume e da quelle parole chiave, ad effetto, il cui compito è colpirti, trasmetterti una sensazione: la parola «caffè» desta piacevolmente la mia attenzione perché evoca dei momenti tutti miei o da condividere, in cui ci si coccola e ci si dedica anche un solo attimo, rapido e veloce come il nostro caffè espresso, o prolungato e intenso come, secondo me, il caffè tedesco. Anche la Mondadori ha puntato molto su questo aspetto; nella pagina Facebook della casa editrice, al lancio del romanzo Il caffè delle donne di Widad Tamimi, è stato indetto un concorso: l’invio di una fotografia che raccontasse il proprio rapporto con il caffè e che ne illustrasse il momento; in tanti hanno accolto con entusiasmo l’invito e si potevano visualizzare foto su foto di caffettiere, tazzine e miscele, sfondi casalinghi, cucine e scrivanie. È stato creato così un legame fra il caffè della dimensione intima e privata dei lettori e il caffè amaro e profumato di cardamomo descritto dall’autrice, il «caffè importante, ricco di storia e significato» la cui ricetta rappresenta proprio l’incipit dell’opera. Avevo trovato questo bel romanzo di Widad Tamimi per caso (se di caso si può parlare quando si tratta di libri) fra le novità in libreria, prima ancora di averne sentito parlare e prima di vederlo pubblicizzato sui quotidiani; titolo e copertina hanno anticipato, senza tradire, l’elegante e delicata scrittura dell’autrice. Il volume non l’ho acquistato subito e ho chiesto al mio compagno di cercare il libro, “intuirlo” e regalarmelo. Francamente c’erano altri tre, quattro titoli che per motivi diversi avrebbero potuto ingannarlo e per un attimo, non avendogli fornito alcuna indicazione, ho “temuto” che potesse acquistare quello sbagliato, il compito si è invece rivelato molto più facile del previsto.

Il caffè delle donne è il primo romanzo di Widad Tamimi. Nata a Milano nel 1981, il padre è un profugo palestinese sfuggito all’occupazione israeliana del 1967, la famiglia materna è invece di origini ebree e si è rifugiata durante la Seconda Guerra Mondiale a New York. Adesso la scrittrice vive in Slovenia, a Lubiana. È stata notata dalla casa editrice Mondadori alla premiazione di un concorso al Salone del Libro di Torino e il testo nasce da un racconto con cui l’autrice aveva vinto un precedente certamen letterario. Dopo averlo letto ho contattato Widad Tamimi che, con grande disponibilità, ha acconsentito a rispondere alle mie curiosità.

Una parola che ricorre sempre dall’inizio alla fine del libro è sedimento; all’inizio del romanzo Qamar, la protagonista, racconta di aver trovato un compromesso: il vecchio colino a maglie strette per impedire che il sedimento si depositi sul fondo della tazzina. Da questo sedimento, procedendo con la lettura, scopriamo che era fuggita anni prima durante le sue vacanze estive ad Amman, per poi affrontarlo serenamente al termine del libro. Ci può spiegare cosa rappresenta il sedimento del caffè?

«Pensi che Nel sedimento era il titolo originario del romanzo, perché appunto ritenevo che il sedimento fosse centrale nella storia. Il sedimento è la terra, l’origine di tutte le cose: il luogo dove si nasce, dove si cresce, dove si impara, ci si scontra, ci si innamora, ed il luogo dove si mettono, o si cercano, radici. Nel sedimento si svolge il nostro destino».

Il romanzo racconta di due mondi spesso considerati molto lontani, la protagonista durante l’infanzia vive con serenità la sua vita di Milano e le vacanze estive in Giordania. Quando diventa adolescente tutto si complica. È un dissidio che ha vissuto personalmente?

 «È un dissidio che vivo tutt’oggi, perché la realtà è complicata. Nello specifico lo è quella che caratterizza le differenze culturali tra le varie origini a cui appartengo, ma in ogni contesto ci sono ambiguità e sfumature che ci obbligano a metterci in gioco ed affrontare contrasti. Chi sente di appartenere a più culture, è sempre in lotta, ed alla ricerca di nuovi equilibri, perché nessuna realtà è perfetta. Amo Milano perché ci sono cresciuta, ed il Duomo mi commuove sempre, Amman perché profuma di spezie e le mie zie sono molto calorose, vivo a Lubiana e ne sono felicissima perché è una realtà quieta ed ordinata, con stimoli culturali ed a misura umana. Poi, però, di Milano detesto il traffico ed il ritmo frenetico, di Amman non amo la sporcizia ed il disordine e Lubiana alle volte mi è stretta e in qualche modo estranea. Ma non è poi così per tutti?».

Per capirsi e capire il proprio futuro, a volte è necessario tornare al proprio passato che intanto con lo scorrere della vita quotidiana è stato messo da parte. È quello che fa Qamar ma rendendo per la prima volta partecipe anche Giacomo. Questo le farà scoprire una Giordania nuova e diversa e sarà possibile creare un nesso fra questi due sé che riteneva lontani e quasi inconciliabili. Nel romanzo oltre ad esserci una trama e il racconto di un dolore che deve essere affrontato, c’è tanto in cui gli stessi lettori possono rispecchiarsi. Trovare un pezzo di sé in un libro che si sta leggendo è sempre una magica e intrigante scoperta. Le è capitato con qualche libro che ha letto in passato?

«Mi capita sempre, e se non mi capita generalmente non concludo il libro. In fondo il lettore cerca proiezioni dei propri pensieri, cerca parole che non ha trovato o stimoli che non ha individuato, ma che in qualche modo gli appartengono. Un libro può essere eco delle nostre riflessioni, magari esposte in modo più raffinato. Con un libro si cresce. Un libro fa pensare. A volte un libro descrive anche semplicemente un dettaglio della vita quotidiana a cui non avevamo dato importanza sufficiente. C’è un brevissimo passaggio nel primo volume de Il fuoco amico dei ricordi di Piperno, in cui viene descritto un bambino che pensa di non essere visto, perché tiene gli occhi coperti con le mani. Mi ha fatto una grande tenerezza, perché il mio bambino lo fa di continuo, ed è così frequente che non ci avevo mai riflettuto. Se non ti vedo, non ci sono… Per quanto riguarda il tornare al passato, sono convinta che ci sia una stretta connessione tra passato, presente e futuro. Sciogliere i nodi del passato è fondamentale per costruire un futuro più sereno e limpido. Giacomo è il presente ed il futuro di Qamar, dargli accesso al passato è simbolo della volontà di andare avanti, sciogliere, e procedere oltre con più consapevolezza».


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