“Wild Style” & “Style Wars”
Per questa edizione di Double Bill, usciamo eccezionalmente dalle coordinate dei generi fino a qui discussi, per rivolgere la nostra attenzione a due pellicole leggendarie, perlomeno per quanto riguarda gli amanti della cultura Hip Hop.
Per chiunque si voglia avvicinare o studiare seriamente quello che nel frattempo è diventato il genere musicale che maggiormente ha rivoluzionato l’industria discografica degli ultimi 30 anni, Wild Style (1983) e Style Wars (1983) raccontano, se non proprio il momento della nascita, il primo periodo di quello che all’epoca era poco più di un fenomeno locale limitato alla città di New York.
La cultura Hip Hop, come ampiamente documentato, nasce nel quartiere newyorchese del Bronx e anche se non esiste un momento storico preciso, l’anno di nascita “ufficiale” si aggira intorno al 1973, l’anno in cui DJ Kool Herc armato di un potentissimo Sound System, inizia ad organizzare le prime block parties (le feste di quartiere). In questo periodo Herc, fondamentalmente inventa il turntabelism moderno, introducendo nuove tecniche poi riprese e sviluppate da molti altri.
L’idea di isolare pezzi particolarmente apprezzati di una canzone (breaks), o addirittura solo le percussioni (breakdown), allungandoli all’infinito grazie all’uso di due copie dello stesso disco (in pratica quello che sarebbe diventato il looping), ha influenzando tutti i DJ venuti dopo di lui. Sempre Herc è colui che conia il termine b-boys e b-girls. Uno dei “quattro elementi” della cultura Hip Hop, il djing non è stato però la prima componente ad emergere. Il graffiti o writing si era sviluppato già qualche anno prima, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta (nasce a Filadelfia e non New York, come molti credono). La terza e quarta componente, ossia la breakdance e soprattutto il mcing (e poi rapping), invece, emergono con il diffondersi delle block parties, diventando in breve tempo i due aspetti più celebrati della cultura.
Ma arriviamo ai due film in questione. Anche se distribuiti nel 1983, entrambe le pellicole colgono il periodo immediatamente precedente all’ultima fase del cosiddetto periodo della Old School (la “vecchia scuola”, che va all’incirca dal ’73 al ‘83), e in quanto tali sono dei veri e propri documenti storici. In particolare la partecipazione di una buona parte dei pionieri del Hip Hop gli conferisce un’aura di realismo, più unica che rara.
Wild Style è il primo film in assoluto sul ‘Hip Hop e probabilmente anche il migliore, in quanto copre i quattro elementi in misura uguale, catturandone l’essenza. Diretto da Charlie Ahearn in estrema economia e realizzato con l’aiuto di alcuni grandi nomi della community, grazie anche al ruolo di mediatore del grande Fab 5 Freddy, il film è a metà tra la fiction e il documentario. Da un lato la storia ruota intorno al writer fittizzio Zoro (interpretato da uno dei più grandi writer di sempre, Lee Quinones) e i dubbi su che direzione prendere con la sua arte (sollevando questioni interessanti, attuali anche oggi, in particolare per quanto riguarda la commercializzazione del Hip Hop).
Dall’altro, invece, abbiamo la giornalista Virgina (interpretata da Patty Astor), che funge da Cicerone per lo spettatore nell’inoltrarsi nelle zone povere e degradate del South Bronx. Queste parti del film, in realtà, sono un mero pretesto per far vedere in azione varie leggende del Hip Hop, inclusi The Cold Crush Brothers, Grandmaster Flash, The Fantastic 5, Busy Bee, Grandmixer DST, Lady Pink, IZ the Wiz, Dondi, Double Trouble, The Rock Steady Crew, Electric Force e Kool Moe Dee. La colonna sonora, curata dallo stesso Fab 5 Freddy insieme ad alcuni membri della band Blondie è un who is who della vecchia scuola (in pratica mancano solo Herc e Bambaata). Va sottolineato che Patty Astor, oltre ad essere stata una delle muse della scena Underground newyorchese degli anni Settanta, è stata anche uno dei personaggi chiave della scena artistica dell’East Village della prima metà degli Ottanta, nonché funzionale nella popolarizzazione del Hip Hop. Proprietaria della FUN Gallery ha dato spazio a moltissimi writer come Lee, Zephyr, Lady Pink, Futura 2000 e Dondi, ma anche ad artisti celebrati come Kenny Scharf (1981), Jean Michel Basquiat (1982) e Keith Harring (1983).
Wild Style è una celebrazione totale del Hip Hop e dei suoi protagonisti e non può che finire in una gigantesca Jam, rimasta nella storia. Un classico intramontabile, che nulla ha perso negli anni, apparendo real come quasi trent’anni fa. Ancora oggi, parte dei dialoghi e delle canzoni vengono campionate (dai Beastie Boys, A Tribe Called Quest e Cypress Hill a Common, MF Doom e Nas), a sottolinearne la fondamentale importanza.
Style Wars, invece è un documentario vero e proprio (prodotto dalla PBS, la televisione pubblica americana), diretto da Tony Silver e Henry Chalfant. In particolare il secondo è stato uno di personaggi essenziali per la divulgazione della cultura Hip Hop, e nello specifico del Graffiti, grazie ai suoi libri (Subway Art, Spraycan Art). Suo è anche Flyin’ Cut Sleeves (1993), documentario che racconta la storia delle principali bande del Bronx negli anni Settanta.
Style Wars copre tutti le componenti del Hip Hop, ma l’enfasi è posta sul writing. Al centro del film troviamo due punti di vista contrapposti. Da un lato i giovani artisti del ghetto impegnati ad esprimersi attraverso l’arte “per far conoscere il proprio nome” (“writing my name as graffiti on the wall”), mentre dall’altro abbiamo i funzionari della città di New York, dal sindaco Ed Koch agli operai incaricati della pulizia dei treni. Tra i molti writer presenti troviamo leggende come Case, Iz the Wiz, Zephyr, Skeme, Dondi, Seen e Shy 147. L’aspetto più intrigante invece è rappresentato dalla “guerra” tra “il cattivo” Cap e tutti gli altri writer della città, uno scontro che è rimasto nella storia.
Il film indaga soprattutto sulle ragioni che spingono i giovani più emarginati a scendere ogni notte nei subway per disegnare treni. La risposta più semplice, ma anche più sincera è quella del writer Skeme, che afferma: «I don’t care if people don’t understand my writing, I’m here to bomb, to destroy all lines.» Anche se tutte le opinioni sono rappresentate, è chiaro che la simpatia dei filmmakers è tutta per i writer. Ed è giusto così.
Paolo Gilli