William Lacey e Calogero Palermo: l’Eleganza e il Virtuosimo di Due Titani

Creato il 02 maggio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Francesca Barnabà 2 maggio 2013

Alienazione e gigantismo al Teatro Massimo Bellini di Catania con la Trasfigurazione per orchestra di Gianluca Cascioli, il Concerto n. 3 in fa min. per clarinetto e orchestra, op. 26 di Louis Spohr e la Sinfonia n. 4 in mi min., op 98 di Johannes Brahms. Con la Trasfigurazione di Cascioli assistiamo alla visione di un mondo parallelo fatto di suoni, echi e rumori che creano un effetto di disturbo e di angoscia nel pubblico: l’orchestra del Bellini ha saputo rendere con grande maestrìa quest’effetto straniante, attraverso la deformazione delle sei note iniziali le quali si trasformano, si ampliano, si rincorrono e si intrecciano fino a trasfigurarsi nel suono del glockenspiel. Lo strumento rielabora queste sei note che stavolta sono assimilabili ad un ricordo remoto, ad una reminiscenza ancestrale. Da questa sensazione di angoscia, paragonabile a ciò che si prova ascoltando le colonne sonore composte da Bernard Herrmann per film come La donna che visse due volte e Psycho di Alfred Hitchcock o Il promontorio della paura di J. Lee Thompson, si passa al tecnicismo virtuosistico del Concerto n. 3 di Spohr, eseguito mirabilmente e magistralmente dal Maestro Calogero Palermo: egli ha saputo coniugare bellezza e forza, agilità e grazia alternati ad una certa liricità operistica, concetto “estraneo”, per così dire, ad una texture puramente strumentale quale quella del concerto, ma che risulta caratterizzare molte partiture per violino e orchestra, elementi fondamentali della prima formazione di Spohr.

Il suono elegantemente grintoso del Maestro fa da padrone in un’orchestra che sembra voler lasciare poco spazio al solista. È nell’adagio che la fusione tra solista e orchestra emerge in tutta la sua accorata liricità: il tema, una lenta e patetica melodia di grande suggestione, viene sviluppato in stile operistico da tutti gli orchestrali. Non si poteva non finire con un altro gigante del mondo delle sette note, Johannes Brahms e la sua Sinfonia n. 4: per la critica, essa rappresenta il massimo vertice raggiunto dal musicista amburghese in campo sinfonico. Un’opera incentrata sulla tecnica dello stile contrappuntistico che, fedele al principio brahmsiano della variazione motivica continua crea dei legami tra i vari temi e le parti dell’accompagnamento, resi ancora più evidenti dalla bacchetta di William Lacey: la fusione tra direttore ed organico è, in questo caso, una formula azzeccata per testimoniare lo stile grandioso e drammatico che culminerà con la grande ciaccona finale del quarto movimento. Lacey riesce ad essere il conductor di una serata incentrata sull’ineffabilità, sul binomio eleganza – virtuosismo e sulla mastodonticità del capolavoro di Brahms.

Foto di Giacomo Orlando per il Teatro Massimo Bellini


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