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William Shakespeare, “La Tragedia di Amleto, Principe di Danimarca” XII

Creato il 04 giugno 2013 da Marvigar4

Amleto Vignolo Gargini

William Shakespeare

LA TRAGEDIA DI AMLETO, PRINCIPE DI DANIMARCA

Titolo originale The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark

Traduzione di Marco Vignolo Gargini

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Entrano due becchini

PRIMO BECCHINO: Deve essere sepolta cristianamente quando cerca di proposito la sua salvezza?

SECONDO BECCHINO: Ti dico di sì, per cui falle subito la sua tomba. Il giudice ha fatto seduta su lei e trova sepoltura cristiana. 

PRIMO BECCHINO:

Come può essere, a meno che non s’è affogata per sua difesa?

SECONDO BECCHINO: Beh, così hanno trovato.

PRIMO BECCHINO:

Deve essere “se offendendo”, non può essere altro. Perché qui sta il punto: se io m’affogo volendolo, ciò presume un atto, e un atto ha tre rami: agire, fare ed eseguire; erga, s’è affogata volendolo.

SECONDO BECCHINO: Sì, ma  stammi a sentire, compare scavatore –  

PRIMO BECCHINO: Permettimi. Qui sta l’acqua – bene. E qui sta l’uomo – bene. Se l’uomo va a quest’acqua e s’affoga, fatto è, volere o nolente, che ci va, ascoltami. Ma se questa acqua va a lui e l’affoga, non è lui che affoga se stesso. Ergo, chi non ha colpa della sua morte non accorcia la sua vita.

SECONDO BECCHINO: Ma è questa, la legge?

PRIMO BECCHINO: Per la Madonna se lo è! Legge dell’inchiesta del giudice.

SECONDO BECCHINO: Vuoi sapere la verità? Se questa non era una gentildonna, sarebbe stata sepolta fuori dalla sepoltura cristiana.

PRIMO BECCHINO: Ah, finalmente l’hai detto,  e il peccato più grosso è che i papaveri devono avere la licenza a questo mondo di affogarsi o impiccarsi più dei semplici cristiani. Vieni, vanga mia. Non c’è gentiluomini antichi come i giardinieri, gli sterratori e i becchini, loro mantengono il mestiere d’Adamo. 

SECONDO BECCHINO: Era un gentiluomo lui?

PRIMO BECCHINO: Lui fu il primo ad avere armi!

SECONDO BECCHINO: Ma no che non ne aveva! 

PRIMO BECCHINO: Che, sei un pagano? Come capisci la Scrittura? La Scrittura dice ‘Adamo zappava.’ Poteva zappare se non era armato di braccia? Ti faccio un’altra domanda; se tu non rispondi a proposito, confessati – 

SECONDO BECCHINO: Va’!

PRIMO BECCHINO: Chi è che fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del falegname?

SECONDO BECCHINO: Il fabbricatore di forche perché la sua fabbrica sopravvive a più di mille inquilini.

PRIMO BECCHINO: Il tuo spirito mi piace molto, in fede; la forca va bene, ma per come va bene? Va bene per quelli che fanno il male; ora tu fai male a dire che la forca è fabbricata più forte della chiesa. Erga, la forca può andar bene per te. Daccapo, avanti.

SECONDO BECCHINO: Chi fabbrica più forte del muratore, del carpentiere o del falegname?

PRIMO BECCHINO: Sì, dimmelo e stacca.,

SECONDO BECCHINO: Per la Madonna, ora  lo so.  

PRIMO BECCHINO: Su.

SECONDO BECCHINO: Per la messa, non riesco a dirlo.

Entrano Amleto e Orazio in disparte

PRIMO BECCHINO: Non ti scervellare su questo, perché il tuo pigro somaro non si raddrizza con le botte. E un’altra volta che ti fanno la domanda, dì “il becchino”, le case che fa lui durano fino al giorno del Giudizio. Su, va’ da Yaughan e portami una pinta di birra. (Il secondo Becchino esce)

(Scava e canta)  

Quando amavo, amavo, in giovane età,

mi sembrava dolce assai,

ma passato ah! il tempo, per oh! mia utilità,

Oh! mi pareva ah! che non fosse granché oh! mai.

AMLETO: Questo tipo non ha il senso del suo lavoro, che canta mentre fa  una fossa?

ORAZIO: L’abitudine gliel’ha resa una cosa indifferente.

AMLETO: È proprio così, la mano poco impiegata ha la sensibilità più delicata.

PRIMO BECCHINO (Canta):

Ma l’età coi suoi furtivi passi

nel suo artiglio m’ha preso,

e mi ha scaricato dentro la terra

come se non fossi mai stato così.

(Getta su un cranio)

AMLETO: Quel cranio aveva dentro una lingua, una volta poteva cantare. E come il birbante lo scaraventa a terra, come fosse la mascella di Caino che fece il primo assassinio. Potrebbe essere la zucca d’un politico, che ora quel somaro butta là; uno che avrebbe frodato Dio, non potrebbe essere? 

ORAZIO: Potrebbe essere, monsignore.

AMLETO. O di un cortigiano che sapeva dire “Buongiorno, dolce signore; come sta, mio buon signore?” Potrebbe essere mio signor tal dei tali che lodava il cavallo di mio signor tal altro, quando voleva farselo regalare, non potrebbe essere? 

ORAZIO: Potrebbe, mio signore. 

AMLETO: Sì, è così, e ora è della Signora Verme; sganasciato e picchiato sulla capocchia dalla vanga di un beccamorto; ecco qua una bella rivoluzione se avessimo la scaltrezza per vederla. Costarono così poco ad allevarle queste ossa, che ci si gioca ai birilli? Le mie mi dolgono a pensarci.  

PRIMO BECCHINO (Canta):

Un piccone e una vanga, una vanga,

e poi un lenzuolo per sudario,

oh una fossa d’argilla da scavare,

è giusto farlo a un ospite tale.

(Getta su un altro cranio)  

AMLETO: Eccone un altro. E non potrebbe essere il cranio di un avvocato? Dove sono ora le sue quiddità, le sue quisquilie, le sue cause, le sue proprietà, e i suoi trabocchetti? Perché tollera che questo rozzo  manigoldo ora lo picchi sulla zucca con un lercio badile, e non lo minaccia di denunciarlo per aggressione? Uhm! Questo tipo forse è stato a suo tempo un gran compratore di terre, con le sue ipoteche, le sue obbligazioni e le sue concessioni, le sue doppie garanzie e i suoi riscatti. Ed è questa la fine dei suoi  fini, e il riscatto dei suoi riscatti, di avere la sua fine zucca riempita di terra finissima? Le sue garanzie non gli garantiranno nemmeno per i suoi acquisti, anche quelli doppi, che la lunghezza e la larghezza di un paio dei suoi contratti? I suoi stessi titoli di proprietà potrebbero stare a stento in quella buca; e il proprietario stesso non deve avere di più, eh?

ORAZIO: Non uno iota di più, mio signore.

AMLETO: La pergamena non è pelle di pecora? 

ORAZIO: Sì, mio signore, e anche di vitello.

AMLETO: Loro sono pecore e vitelli che cercano garanzia in queste cose. Voglio parlare a quel tipo. Di chi è questa tomba, messere? 

PRIMO BECCHINO: Mia, signore.

(Canta)

Oh una fossa d’argilla da scavare,

è giusto farlo a un ospite tale.

AMLETO: Credo che sia tua sul serio, perché ci stai dentro.

BECCHINO: Voi ci state fuori, signore, per cui non è vostra; per me, io non mi ci sdraio qui dentro, però è mia.

AMLETO: Tu ci menti dentro, essendoci dentro e dicendo. È per i morti non per i vivi; dunque, tu menti. 

PRIMO BECCHINO: È una menzogna vivace, signore, e tornerà di nuovo da me a voi.

AMLETO: Qual è l’uomo per cui la scavi?

PRIMO BECCHINO: Per nessun uomo, signore.

AMLETO Quale donna, allora.

PRIMO BECCHINO: Neppure.

AMLETO: Chi deve esserci sepolto dentro?

PRIMO BECCHINO: Una che fu donna, signore, ma ora, pace all’anima sua, è morta.

AMLETO: Com’è assoluto questo briccone! Dobbiamo parlare a puntino, o l’equivoco ci rovinerà. Per Dio, Orazio, è da tre anni che ho preso nota di questo – quest’epoca s’è raffinata tanto, che l’alluce del buzzurro incalza il tallone del cortigiano da graffiargli i geloni. Da quanto tempo fai il becchino?  

BECCHINO: Di tutti i giorni dell’anno, cominciai quel giorno che il nostro ultimo re Amleto sconfisse Fortebraccio.

AMLETO: E quanto da allora?

PRIMO BECCHINO: Non riuscite a dirlo? Ogni cretino riesce a dirlo; fu il giorno preciso che nacque il giovane Amleto – quello che è pazzo e l’hanno spedito in Inghilterra.

AMLETO: Sì, per la Madonna, perché l’hanno spedito in Inghilterra? 

PRIMO BECCHINO: Eh, perché era pazzo. Laggiù ritroverà la ragione, o se no, laggiù non fa differenza.

AMLETO: Perché?

PRIMO BECCHINO: Non lo noteranno laggiù; laggiù gli uomini sono pazzi come lui.

AMLETO: E com’è che è impazzito?

PRIMO BECCHINO: Molto stranamente, dicono.

AMLETO: Come “stranamente”?

PRIMO BECCHINO: In fede, perdendo proprio la ragione.

AMLETO: Su che base?

PRIMO BECCHINO: Beh, qui in Danimarca. Io sono stato becchino, da uomo e da ragazzo, trent’anni.

AMLETO: Quanto tempo deve stare un uomo sottoterra prima di marcire?

PRIMO BECCHINO: In fede, se non è marcio prima di morire, come oggi che abbiamo tanti cadaveri pustolosi che quasi si sfanno a interrarli, ci mette un otto o nove anni. Un conciatore dura nove anni. 

AMLETO: Perché lui più di un altro?

PRIMO BECCHINO: Beh, signore, la sua pelle è così conciata dal mestiere che terrà fuori l’acqua per un pezzo; e l’acqua è che ti corrompe quel figlio di troia del cadavere. Ecco qua un cranio che è stato sottoterra ventitré anni

AMLETO: Di chi era?

PRIMO BECCHINO: D’un figlio di troia di un pazzo era. Di chi credete che era? 

AMLETO: Mah, non lo so.

PRIMO BECCHINO: Che s’appesti se non era un pazzo briccone, una volta mi versò in testa un fiasco di vino del Reno; questo stesso cranio, signore, era signore, il cranio di Yorick, il buffone del re.

AMLETO: Questo?

PRIMO BECCHINO: Questo.

AMLETO (Prende il cranio): Ahimè, povero Yorick! Lo conoscevo, Orazio, un tipo d’un umorismo infinito, d’una eccezionale fantasia. Mi ha portato in spalla mille volte, e adesso com’è repellente nella mia immaginazione – il mio stomaco si rivolta. Qui erano appese quelle labbra che ho baciato non so quante volte. Dove sono adesso i tuoi lazzi? Le tue capriole, le tue canzoni, i tuoi lampi d’allegria che facevano scoppiare la tavolata dalle risate? Non uno solo ora che si metta a sfottere il tuo ghigno? Ti sono cascate le ganasce? Va’ adesso in camera di Madama e dille che si dia pure un palmo di trucco, a questo deve ridursi. Falla ridere di questo. Orazio, ti prego, dimmi una cosa.

ORAZIO: Che cosa, mio signore?

AMLETO: Tu credi che Alessandro sottoterra avesse questo aspetto? 

ORAZIO: Proprio questo.

AMLETO: E puzzava così? Puah! (Depone il cranio

ORAZIO: Proprio così, mio signore.

AMLETO: A quali ignobili usi possiamo tornare, Orazio! E non potrebbe la nostra immaginazione seguire la nobile polvere di Alessandro, fino a trovarla usata per tappare una botte?

ORAZIO: Sarebbe considerare in modo troppo strano, considerare così. 

AMLETO: No, in fede, per nulla, soltanto sarebbe accompagnarlo fin lì con moderazione sufficiente, e guidati dalla verosimiglianza; così – Alessandro morì, Alessandro fu sepolto, Alessandro tornò polvere, la polvere è terra, con la terra facciamo la calcina, e perché con quella calcina in cui lui si convertì non potrebbero averci tappato un barile di birra?

L’imperiale Cesare, morto e in argilla convertito,  

può tappare un buco per tener fuori il vento.  

Oh che quella terra che il mondo ha atterrito  

tappi un muro e scacci gli sbuffi dell’inverno.  

Ma piano, piano per un po’ – ecco che arriva il re,  

(Entrano il Re, la Regina, Laerte, in processione funebre dietro il corpo di Ofelia, quindi il Prete e dei Nobili)

la regina, i cortigiani. Chi è che seguono? E con un rito così monco? Ciò significa che il morto che seguono con mano disperata si è tolto la sua propria vita. Era di un certo grado.

Nascondiamoci un momento, e guardiamo.

LAERTE: Quale cerimonia ancora?

AMLETO: Quello è Laerte, un nobilissimo giovane. Guarda.

LAERTE: Quale cerimonia ancora?

PRETE: Le sue esequie sono state estese per quanto ci è garantito. La sua morte è stata dubbia, e, se non fosse che il comando dei grandi prevale sull’ordine, ella sarebbe stata posta in terra non consacrata, fino all’ultima tromba. Invece di caritatevoli preghiere, ciottoli, sassi, cocci si sarebbero dovuti gettare su lei; ciononostante qui le sono concesse la corona verginale, le inflorescenze virginee, l’accompagnamento con le campane, e riti funebri. 

LAERTE: Non si deve fare nient’altro?

PRETE: No, nient’altro. Profaneremmo l’ufficio dei defunti a cantare il requiem solenne e tali preci   come per le anime che se ne partono in pace.

LAERTE: Mettetela nella terra, e dalla sua carne bella e incontaminata spuntino viole. Io ti dico, prete spilorcio, che mia sorella sarà un angelo servente quando tu ululerai nella fossa.

AMLETO: Come, la bella Ofelia?

REGINA: Fiori al fiore. Addio. (Sparge fiori) Io speravo che saresti stata la moglie del mio Amleto. Credevo di dover adornare il tuo letto di sposa, dolce fanciulla, e non di cospargere di fiori la tua tomba.

LAERTE: Oh tre volte sventura ricada tremila volte su quel capo maledetto, la cui azione scellerata rapì il tuo nobilissimo senno! Trattenete la terra per un poco, finché non l’abbia abbracciata per un’ultima volta; (Salta nella tomba) adesso ammucchiate la polvere sul vivo e sulla morta, fino a che di questa pianura avrete fatto un monte più alto dell’antico Pelio, o della cima celestiale dell’azzurro Olimpo.

AMLETO (Avanzando): Chi è costui la cui afflizione sbraita con tanta enfasi, le cui frasi di dolore incantano le stelle erranti e le trattengono come uditori afflitti dallo stupore? Questo sono io, Amleto il Danese.

(Salta nella tomba

LAERTE: Il diavolo prenda la tua anima

AMLETO: Tu non preghi bene. Ti prego, levami le dita dalla mia gola,  perché non sono bilioso né impulsivo, eppure ho in me qualcosa di pericoloso, che la tua saggezza deve temere. Togli questa mano.  

RE: Divideteli. 

REGINA: Amleto, Amleto!

TUTTI: Signori!

ORAZIO: Mio buon signore, state calmo.

AMLETO: Ah, io lotterò con lui su questo tema finché le mie palpebre non battono più.

REGINA: O figlio mio, su quale tema? 

AMLETO: Io amavo Ofelia, quarantamila fratelli non potrebbero con tutto il loro amore fare il mio totale. Che vuoi fare per lei?

RE: Oh, è pazzo, Laerte.

REGINA: Per amore di Dio, trattenetelo.

AMLETO: Piaghe di Cristo, fammi vedere ciò che vuoi fare.

Vuoi piangere, vuoi batterti, vuoi digiunare, vuoi sbranarti da solo?  

Vuoi bere aceto, vuoi mangiare un coccodrillo?  

Lo farò. Vieni qui per lagnarti,  e affrontarmi saltando nella sua fossa? 

Fatti seppellire vivo con lei, lo farò anch’io.

E se almanacchi di montagne, che gettino milioni di acri su noi due, finché la nostra terra  bruciandosi la testa contro la zona infuocata, riduca l’Ossa in un porro! Sì, se tu vuoi concionare, concionerò bene quanto te.

REGINA: Questa è pura follia, e così per poco la crisi agirà su lui; presto, paziente come la colomba quando le sue coppie dorate si schiudono, il suo silenzio troverà requie.

AMLETO: Ascoltami, compare; per quale motivo tu mi tratti così? Io ti ho sempre voluto bene –  ma non importa. Che Ercole stesso faccia ciò che può, il gatto miagolerà, e il cane avrà il suo giorno. 

(Esce)

RE: Ti prego, buon Orazio, sorveglialo.

(Orazio esce)

(A Laerte) Rafforza la tua pazienza con il nostro ultimo discorso di iersera, sistemeremo la faccenda per il presente bisogno. Buona Gertrude, fa controllare tuo figlio da qualcuno. Questa tomba avrà un monumento vivente. Un’ora di pace vedremo presto, fino a quel momento procediamo con pazienza.  (Escono)



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