mercoledì 18 gennaio 2012 di Rosita Baiamonte
Ricordate la “primavera di Praga”?
Quel bellissimo e sfolgorante periodo in cui l’allora governo della Cecoslovacchia, sotto il dominio dell’Unione Sovietica, decise di promuovere un programma di liberalizzazione politica ed economica, nel tentativo di arrivare a un vero e proprio processo di democratizzazione, che purtroppo venne interrotto a causa dell’invasione sovietica, che in breve ripristinò l’antico ordine.
Perché ve ne parlo? Perché quello della liberalizzazione è un argomento che quasi tutti i governi hanno, una volta nella loro vita, preso in considerazione. Compreso il governo Berlusconi, che come sappiamo, nasce come governo liberale (???) e riformista, ma che, nella sostanza, ha tentato di imbavagliare anche Topo Gigio e che è sempre sceso a compromessi con le varie caste, proteggendole oltremodo e non arrivando a nessuna conclusione.
Il governo Monti negli ultimi giorni ha rilanciato lo scottante tema della liberalizzazione economica, scatenando il solito vespaio di polemiche. Protestano tutti: tassisti, farmacisti, avvocati, notai e casalinghe.
Spieghiamo in breve cosa s’intende per processo di liberalizzazione.
Dicesi liberalizzazione quel processo che intende adeguarsi ai principi del liberalismo economico e che prevede l’abolizione di qualsiasi restrizione preesistente; si parla quindi di liberalizzazione economica, del commercio, del mercato e del lavoro.
Nel pacchetto liberalizzazione, promosso dall’attuale governo Italiano, le maggiori resistenze arrivano dalla lobby dei tassisti, che in questi giorni protestano senza sosta per bloccare il decreto che, a detta loro, saturerebbe il loro settore e non porterebbe alcun beneficio.
Quello che Monti, diplomaticamente, chiama, “disarmo multilaterale delle corporazioni” è in sostanza il sogno di ogni governo che si professa liberale: eliminare le staccionate che da anni proteggono alcune categorie in Italia. Lo sfondamento di una di esse, come ad esempio quella dei tassisti, se mai venisse portato a compimento, potrebbe facilmente essere tra le più rivoluzionarie mosse pro liberalizzazione che il nostro Paese abbia mai portato avanti.
Essere tassista è come ereditare lo studio notarile del papà. La licenza si compra a caro prezzo e il mezzo passa di padre in figlio. Tutte le spese annesse al servizio taxi sono a carico del titolare della licenza: se si guasta il veicolo, è il tassista che paga di tasca propria, l’RC auto e il carburante sono anch’essi a carico del conducente e così via. A fronte di spese sostanziose, il guadagno lordo dovrebbe essere intorno alle 4.000 euro per arrivare a un guadagno netto che va dai 1.500 ai 2.000 euro. Ecco perché i tassisti sono contro le liberalizzazioni, perché un numero maggiore di licenze significherebbe, a detta loro, un minor guadagno.
Questo potrebbe essere vero, ma un aumento del numero di taxi in circolazione significherebbe una sostanziale riduzione dei prezzi a corsa e quindi un incremento della concorrenza tariffaria. Insomma, sono o non sono libera di prendere un taxi che a parità di servizio, mi costa meno? Questo è in soldoni il quesito che mi sono posta e che mi fa propendere per un processo di liberalizzazione giusto, equo, che provi a scontentare i pochi, ma ad accontentare i molti, ovvero i liberi cittadini che di fronte a imposizioni di prezzi che vengono dall’alto, dalle lobby, dagli ordini professionali, sono inermi e anche, passatemi il termine, incazzati.
E qui si giunge a un altro tema spinoso: la liberalizzazione degli ordini professionali.
Personalmente, sono per la totale abolizione degli ordini professionali, per due ragioni di principio: in primis, perché l’istituzione degli ordini è di ispirazione fascista, fu infatti una delle poche istituzioni promosse da Mussolini e adottate dalla nascente Repubblica Italiana, che anzi, promosse l’avvio di numerose altre corporazioni; forse troppe, non trovate? Ormai è uso e costume istituire un ordine per qualsiasi cosa, anche per i suonatori di zampogna. Così, chi vuole fare lo zampognaro liberamente durante le feste natalizie si deve fare il mazzo. Ovviamente, la mia è mera ironia, ma constatare che ci sono più ordini professionali che professionisti è alquanto sconfortante. L’altra ragione, un po’ meno di principio ma più di sostanza, è l’imposizione di tariffe minime cui i professionisti sono “costretti” a fare riferimento, in barba a qualsiasi concetto di libero mercato e di concorrenza leale.
È recente il caso di quei due ingegneri che con uno sprazzo di coraggio hanno osato proporre un’offerta sul famoso sito Groupalia, con tariffe vantaggiose. Ovviamente, sono stati immediatamente radiati dall’ordine degli ingegneri per non aver rispettato le soglie minime di tariffa imposte dall’alto. Non vi sembra assurdo?
Ok, i professionisti che leggeranno questi miei sproloqui potranno ribattere che l’esistenza dell’ordine garantisce correttezza e professionalità ed evita che ingegneri, avvocati o notai da strapazzo, presa la laurea, possano svolgere la professione in maniera scorretta. Ok, manteniamo allora l’esame di stato per l’abilitazione, ma vi prego, lasciate che i cittadini decidano liberamente a chi rivolgersi sulla base della professionalità, ma anche del vantaggio economico e soprattutto smettiamola di proteggere queste microsocietà che di fatto non fanno altro che difendere i propri privilegi.
Ovviamente, il tema delle liberalizzazioni è denso di problematiche, impossibili da sbrogliare in poche righe.
Ma da libera cittadina che vuole vivere in un paese moderno, certe imposizioni sono stantie e sanno di vecchio.