Wolverine l’Immortale – Recensione

Creato il 05 agosto 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Photo credit: Yan R. / Foter / CC BY-ND

Tra tutti gli X-men, nessuno avrebbe scommesso sulla fortuna editoriale di Wolverine in principio. Dipinto come scontroso e aggressivo, non sembrava avere grande fascino, finchè un autore non decise di valorizzarlo, raccontando di una sua avventura in Giappone, in cui emerse il suo senso dell’onore.
Wolverine L’immortale si ispira dichiaratamente a questo ciclo di storie, ponendo Logan (Hugh Jackman)  in un contesto orientale che, sulla carta, sembra incompatibile con la personalità del canadese mutante. Riprendendo dove X-men 3 si era concluso, Logan vive allo sbando, dopo aver perso l’amata Jean Grey, rifiutandosi di combattere qualsiasi battaglia fino a quando non viene convocato in Giappone dall’anziano miliardario Yashida, a cui salvò la vita durante la seconda guerra mondiale. Quella che doveva essere una visita di commiato finisce per trascinare Wolverine in una lotta interna alla potente famiglia giapponese in cui rimane coinvolto per difendere la giovane Mariko. Come se non bastasse, il superpotere alla base della sua invulnerabilità viene sabotato dalla tecnologia a disposizione degli attentatori, rendendo le cose più difficili per l’eroe e meno scontate per lo spettatore.
Partendo da questi presupposti la pellicola cerca di riproporre gli aspetti che hanno fatto la fortuna del Wolverine fumettistico. Inizialmente ci riesce, mostrando un eroe stanco, deluso e privo di scopo a causa di una vita immortale in cui sembra destinato a perdere le persone che lo circondano in maniera violenta. Le cose iniziano ad essere più dinamiche all’ arrivo in Giappone, che fa da teatro alla classica formula della coppia in fuga (Wolverine e Mariko), braccata dai criminali. Nonostante un paio di sequenze siano molto efficaci (lo scontro sul treno) e l’ambientazione sia ben valorizzata (come nell’ingresso al tempio del funerale e negli spaccati di Nagasaki), il film non abbonda di momenti epici ed incisivi, come ci ha un pò viziato la media delle pellicole di questo tipo.
Inoltre mancano gli intermezzi che dovrebbero far emergere la personalità del protagonista lasciano sempre la sensazione di estraneità tra il personaggio e la cultura giapponese, finendo per confermare quello che invece doveva solo sembrare uno stereotipo (l’occidentale rozzo lontano dalla cultura dell’onore).

L’evoluzione del personaggio quindi non avviene, facendo proseguire unicamente il confronto tra “buoni e cattivi” secondo gli schemi più classici di questo genere.
Nel complesso Wolverine l’Immortale ha come unica colpa l’aver mancato di sfruttare lo spazio di una pellicola solista per approfondire adeguatamente il suo protagonista, forse complice l’inesperienza di James Mangold (diresse le Ragazze Interrotte che valse l’Oscar ad Angelina Jolie) con il genere supereroistico, lasciando un risultato discreto laddove poteva essere molto di più. Ad alzare il tiro ci pensa la scena dopo i titoli di coda di Wolverine l’Immortale, che fa da trampolina per il prossimo film degli X-men, che dalle prime indiscrezioni sulla trama, sarà l’equivalente “X” dei Vendicatori.

Articolo di Francesco Dovis


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