Women and fiction: le difficoltà dell’inizio secondo Virginia Woolf

Creato il 04 maggio 2013 da Sulromanzo

[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]

Leggendo i diari di Virginia Woolf si ricava la chiara impressione della centralità della letteratura nella vita della scrittrice inglese. Leggere, scrivere, riflettere sul proprio lavoro e su quello altrui – si tratti di poeti antichi o moderni, di scrittori inglesi, russi o italiani – sembrano impegnare tutta la sua attenzione e il suo tempo. Tuttavia, l’entusiasmo per la scrittura si intreccia, in Woolf, a un altro interesse dominante, quello per la condizione delle donne inglesi. In particolare le stanno a cuore le sorti delle borghesi – le ignoranti «daughters of educated men» – e la loro emancipazione attraverso l’istruzione e il lavoro. Sono questioni molto dibattute in Gran Bretagna nel periodo tra le due guerre, quando le donne delle classi meno abbienti iniziano a entrare nel mondo del lavoro, mentre le ragazze di buona famiglia continuano a dipendere in tutto e per tutto dai loro padri. La scrittura – suggerisce Woolf in alcuni dei suoi saggi – può offrire a queste donne due opportunità preziose: può aiutarle a procurarsi il pane – o, perlomeno, a conquistare una certa indipendenza economica – e nello stesso tempo  appresentare il luogo in cui a poco a poco, con un lavoro serio e costante su stesse, potranno imparare a esprimere con sempre maggiore onestà e autonomia ogni aspetto della propria personalità, tanto a lungo costretta e limitata da quella maschile.
Mentre incoraggia le giovani a scrivere, e così a indagare su se stesse, Woolf è, però, consapevole di come sia arduo il cammino verso il traguardo di una letteratura libera, che permetta alle donne di raccontare tutta la verità su di sé. Conosce bene “le difficoltà dell’inizio” per una scrittrice del suo tempo, i dubbi e le autocensure, la sensazione di avventurarsi in un territorio proibito, riservato di diritto agli uomini. Nel saggio Professions for Women racconta di avere sconfitto solo in parte i fantasmi che la tormentavano agli esordi come critica e romanziera. Se è riuscita a uccidere lo spauracchio dell’«Angelo del focolare» («the Angel in the House»), retaggio vittoriano che la voleva scrittrice pudica e rispettosa dell’autorità maschile, è ancora alle prese con l’incapacità di raccontare le proprie passioni e le esperienze del corpo, anche in questo condizionata dalle censure dell’altro sesso.

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