Woodstock: il trionfo dell'utopia e, insieme, la sua fine.

Creato il 16 agosto 2014 da Gianna
Era il 15 agosto del 1969: 500 mila persone e 32 artisti tra gruppi e solisti si riuniscono a Bethel per un concerto che passerà alla storia. Da allora, nessuno è mai più riuscito a riprodurre il fascino di Woodstock.
Libertà era la parola chiave di quei tre giorni: guardare il mondo dal prato di Brethel era credere nella possibilità tangibile di un cambiamento, quello intravisto nei sogni psichedelici e nelle canzoni di Dylan e Hendrix, significava valicare il confine tra realtà e immaginazione inseguendo la realizzazione di un idea, di un sogno di libertà come mai più sarebbe successo nella storia.
Ciò che realmente fu Woodstock lo raccontarono con parole, spesso contrastanti, i suoi protagonisti: “Ci fu la sperimentazioni di ogni tipo di droga e di esperienza lisergica ma tra libero amore e pioggia battente provammo a costruire la nostra cultura e la nostra comunità, con la nostra musica, la nostra stampa, i nostri valori, miti e leggende, per creare una pazzia autenticamente nostra in cui l’autodisciplina e la cooperazione costituivano l’unica via possibile” affermò l’attivista politico Jerry Rubin.
“Tutti flirtavano con la pazzia, improvvisando a caso, facendo pena o con risultati geniali – racconta Eddie Kramer, il tecnico del suono – Woodstock non credo sia stato l’inizio di un bel niente. E’ stato la porta dietro la quale sono rimasti sepolti gli ideali e le utopie degli anni Sessanta”.
Erano i giovani che aspiravano ad avere un posto nella società e che per tre giorni lo avevano trovato lì, in un mondo utopico fatto di sesso, droga e rock’n roll. 

Quarantacinque anni dopo la storia ha smentito l’illusione di quel treno delle meraviglie, forse il mondo è cambiato e ha dato ragione a chi guardava e non capiva la folla di capelloni in mezzo al fango. Ora chi era sotto quel palco sogna una pensione e i figli dei suoi figli hanno dimenticato, o hanno visto fallire troppi sogni per provare a vivere il loro.
Ma qualcosa è rimasto, nonostante tutto, ed è forse nient’altro che un’idea, un modo diverso di guardare il mondo, una presa di coscienza brutale e veritiera con cui si dovrà sempre fare i conti. Un’ultima difesa a quella musica vera, che scuote le coscienze che fa pensare, che fugge dalle imposizioni delle mode e del pensiero unico. 
Qualcosa è rimasto. Fosse anche solo un’ultima libertà di crederci davvero, che in fondo le idee, prima o poi, il mondo lo possono cambiare.

La fattoria dove si svolse quel solo e unico concerto (gli organizzatori continuarono ad organizzare in un’altra location un festival omonimo una volta ogni 10 anni ma senza gli stessi risultati) è stata acquistata oggi da un imprenditore americano che vi ha fatto sorgere un museo in ricordo del concerto ma anche della cultura hippie. Sede di pellegrinaggi da parte di scolaresche e di figli dei fiori tardivi, il fantasma di quell’evento giace così nel ricordo di chi si è divertito, di chi ne è rimasto traumatizzato, di chi ne ha tratto profitti e di chi può dire di avervi partecipato.
http://www.blogdicultura.it/woodstock-grande-illusione-45-anni-dopo-rimane-11750.html
http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2014/08/14/news/woodstock-93712592/  
http://www.tafter.it/2013/08/14/quellanno-per-ferragosto-eravamo-a-woodstock/