Un uomo riprende conoscenza all'interno di un’auto completamente distrutta in fondo a una scarpata. E’ ferito gravemente ad una gamba, intrappolata nelle lamiere e non ha la più pallida idea di chi sia e di come sia arrivato lì. In questa situazione ai limiti della sopravvivenza gli fanno compagnia la radio della macchina, ancora funzionante, che lo aggiorna riguardo una violenta rapina in banca finita male, e il cadavere di un uomo sul sedile posteriore dell'auto, nel cui portafoglio trova dei documenti che lo identificano come uno dei rapinatori. L'uomo uscirà faticosamente dall'auto e scoprirà intorno a sé una Natura selvaggia e inospitale. Dovrà anche capire chi è, cosa gli è accaduto, e affrontare la scoperta di verità difficili da accettare.
Il regista canadese Michael Greenspan ammicca sottilmente a due altri film di genere survival-thriller/horror come "Frozen" (2010) di Adam Green, e "127 hours" (2010) di Danny Boyle, innestando su un'idea affine alle opere sopracitate, un tema semi-noir, facendolo gestire in totale solitaria da Adrien Brody. Sarebbe sufficiente questa prima sintesi dello script a farmi storcere il naso. Ma non è tanto la struttura anomala della storia ad aver generato in me più di una perplessità, quanto la conduzione di un ritmo di regia alquanto sonnolento e assai poco coinvolgente. Greenspan ce la mette tutta, con l'aiuto dell'ottima fotografia di James Liston, a riflettere l'immagine di una natura muschiosa, selvatica e inospitale, ma l'esito dei suoi immani sforzi si ferma qui, poichè l'andamento della storia è davvero troppo lento, anche per uno come me che a suo tempo ha visionato lungamente anche Tarkovskiy. Come si fa, voglio dire, a farci vagare in tondo per 40 minuti di pellicola nel bosco con Adrien Brody, dopo che nei 30 minuti precedenti siamo stati con lui giorno e notte nel chiuso dell'automobile distrutta? Tutto ciò in quasi totale assenza di dialoghi, accompagnati da pallidi ed inutili flash-back sulla vera identità di Brody, nonchè da rare sequenze leggermente thrilling (come quella del puma che sbocconcella allegramente il cadavere dell'uomo sul sedile posteriore, ma che dura pochi e rapidi secondi)? La colonna sonora di Michael Brook, così pomposamente esistenzialista, manco fossimo davanti a immagini di Terrence Malick, non fa che appesantire l'aria già afosa che aleggia su tutto il film. Tutto il marchingegno narrativo è poi costruito solo intorno a Brody, attore che può piacere o non piacere, ma che qui non convince affatto, anche quando cerca di rappresentare piagnucolosamente la figura dell'uomo in balìa della natura bruta. Due parole, infine, sulla struttura dello script, che avevo lasciato in ombra appositamente, per concentrarmi sulla regia. Anche da questo punto di vista la storia contiene alcuni buchi logici poco comprensibili: perchè, ad esempio il protagonista, chiuso nell'automobile, ci impiega circa tre giorni e due notti a capire come poter aprire la portiera incastrata, e poi, come per miracolo gli si accende una lampadina e la portiera si apre? Oppure: com'è possibile che che Brody perda completamente la memoria e il proprio senso d'identità, in una sorta di dissociazione mnestica traumatica, semplicemente dopo un incidente stradale? Ma queste domanda bisognerebbe farle a Christopher Dodd, artefice di una sceneggiatura che ci lascia soli nel bosco, inseme a Brody, con le nostre domande irrisolte. "Wrecked": non riesco a trovare uno straccio di motivo valido per consigliarlo. Non so se Greenspan e Brody mi perdoneranno. Regia:Michael Greenspan Sceneggiatura:Christopher Dodd Fotografia:James Liston
Montaggio:Wiebke von Carolsfeld Musica:Michael Brook Cast:Adrien Brody, Caroline Dhavernas, Ryan Robbins, Adrian Holmes, Jacob Blair Nazione:USA/Canada Produzione: Independent Edge Films, Telefilm Canada, Equity Investment Program Anno:2010 Durata: 91 min.