WSF proposta poetica – inediti di Gisella Torrisi

Creato il 23 giugno 2015 da Wsf

Gisella Torrisi nasce il 29 settembre 1991 a Biancavilla (CT) un paesino alle pendici dell’Etna, nasce quasi alle porte della vendemmia fra una natura ancora incontaminata che la culla nella dolce melodia che le è sempre apparsa come un certo ma fatale destino. Scrivere diventa la sua massima più grande, inizia da piccolissima la ricerca della comunicazione che diventa impegno sociale ma soprattutto un cammino spirituale molto alternativo. La sua unica pubblicazione è quella del 2012 con “La perfezione è Libertà”, romanzo nato dall’urgenza di espressione di uno sguardo finissimo in cui svela per la prima volta il volto di un grande personaggio Ella Flaubert, coscienza narrante e onirica nella storia travagliata della protagonista. Lei stessa quasi un anno dopo dichiara:


Ella Flaubert che non è un semplice personaggio, ma il personaggio! Ella Flaubert è un idealtipo, ovvero un costrutto teorico, in cui si esaltano le virtù che rendono una coscienza nobile e liberata per il bisogno di ritrovarsi interi ma frammentati ovunque. E’ una ferita congenita su una bocca contemporanea, è l’alter ego malinconico, struggente, dannato, ostinato, romantico, naturalista, scapigliato, esistenzialista… che è ancora in cerca della dimensione reale in cui abbandonare tutte le convinzioni e le credenze per poter trovare lo sguardo liberato e affrontare così la ricerca impegnata dell’armonia che tace nell’uomo e si sprigiona nella natura.”

La Flau ci appare dunque sete, fame e desiderio. Nasce per un disagio insopportabile che reca un’inquietudine e lacerazione ad un’esistenza ancora da costruire. Insomma Ella Flaubert è la maschera più complessa e ricca che compre un sentimento di estrema povertà e miseria.

Dialogo assente invece rappresenta la sua prima raccolta di poesie non ancora pubblicate, ma che segnano un grande lasso di tempo e di esistenze presente e future.

* La misa del gallo

La brughiera equilibrista agli sguardi
viene sul filo che non attraversi mai.
Porta con sé nemici con stivali n.34
marciano in fila. E’ d’ordine di capito
saccheggiare del sistema i poveri per
ferire il padre uccidendo gli Stati figli.

Quale padre ha il volto del potere?
Quando tu sei su quel filo e ti lasci
esplodere! E so che non vuoi sentire
i loro sorrisi incollati ai visi d’una misa
che non vorresti mai e poi mai capire
perché ti nascondi sotto con le foglie.

Si celebra il gallo che non canta
miralo, sparalo, rimarrà un idolo
e tu deposto soldato le foglie verdi
ti fan da membra calde, la terra anche
qui il sogno versato sulla pelle
ed i bambini salvati che vivono in te?

Hanno versato le loro lacrime
quando al tramonto il sole calò
e anche il signor Dio si spogliò
e non erano più soldati ma figli
figli tuoi legittimi di baci e parole
da far crescere con due facce.

** Nel rito dell’amore

Al demone che ho dentro,

all’incontro con l’ostinazione,

all’incontro che solo il silenzio da al segreto.

La pelle è umida e tutto in me sembra tirare,

conosco il piacere che scivola denso sotto la lingua,

che si slega via dai pensieri nella dimensione di nirvana.

Gli occhi si allargano e si chiudono come se le ciglia fossero ali

e potesse l’io librarsi dai mondi interni, e forse immaginari,

al mondo esterno reale con la stessa fluenza di spirito.

Il midollo trasmette i sismi ed il magma è il mio sangue,

alle mie mani dieci profeti che benedicono nel rito dell’amore,

i miei occhi laghi di fiumi che cadono nel violento oblio,

ai piedi la movenza della più libera danza della creazione.

Tutto in me s’annulla e scompiglia nell’amplesso con l’eterno,

ed è il sacro equilibrio ritmico fra la mia luce e le mie tenebre.

Il ventre è terra, il mio d’io mi penetra e mi feconda al divenire,

è un invisibile sporco piacere nel lento mordere delle passioni.

L’uscita è l’entrata, e la gran velocità mi spegne di piaceri terreni

ma dentro son libera e salgo e volo con l’anima altrove.

Eccedere è la sola strada della mia salvezza poiché

nacqui e morii con la voglia incessante di bere l’ambrosia celeste.

E dunque: alla luce, alla pace e alla purezza

che solo dall’inferno possono arrivare,

assomigliando all’eterno per il tanto salire.

*** All’ombra di un cementificato amore

Estate presentata dal temporale
in sfera lucida rotonda appare la città
dalla porta aperta e saffica fra le belle
in cera carnevalesca di disperazione
son loro le creature che abitano
in ombre impercorribili le strade.

Abbiamo perso! Perso anche l’odore.

Nebulosa acida è la pioggia portata
col suono di tuoni dentro gli occhi
di squarci ancora invisibili d’umidità
col delirio di mani (sì) che non prevedono
il compiersi di un incerto diverso oltre me
col piacere stretto, che soffoca, in gola.

All’ombra anche del cementificato amore.

Codice di un ciclo rimane la speranza
che presentiamo ai nostri lieti scivoli
quando per mano sorrisi sotto la pioggia
che vediamo irreale specchio di crudeltà
da cui una poesia nasce insalubre dea
che condurrà i corpi a rivendicare piaceri.

Piangi anche tu, Sao, su questa città?

Flussi vivi sono ancora gli occhi incavati
del mondo. Ignorano e son creditori loro
dal braccio bionico al corpo nero lavico
del cuore di figlia sicula la città motore
in un mare che piange fratricidi indicibili
del deportare anime nell’iperbolico svanito.

**** 19 70 44

Vi è una ragione oscura ed una ragione stellare in ognuno di noi, il mistero che le cuciamo addosso non altro che silenzio.

19 70 44
In questi termini
giro la proiezione
della coscienza:
Abbandonami
o non abbandonarmi
cresci, muori, esplodi.

19 sono gli anni
di baci insistenti
e ombre asciutte
di lenzuola appese
che lavavamo via
sentendoci liberi.

70 l’estate raccontata
e perdersi in un taxi
dove chi guida parla
chi viaggia sogna
chi non muore
lascia; gira a Roma.

44 allo specchio
fotografie di silenzio
mentre compone
le nostre mancanze
e io ti dico di amarti
per due e tu anche.

4 aprile 1970
l’orologio ha il mattino
da battere in corsivo
e il cuore ha ali
che metto ai lobi
e mi regali le parole
chiamate sonore.

***** Uno e due

Con quanta rabbia ancora ci guarderemo dall’innamorarci?

Via le sembianze! Fuggite dal credere! I cuori liberi non vogliono infettarsi.

Cavalchiamo il vento noi, sopravviviamo sputando via il vostro veleno!

Correte dunque! Sfuggite allora se vi pare tanto miserabile la vita insieme.

Scalciamo ancora, pretendiamo la nostra metamorfosi oltre il noi!

Misticità crollata in parole taglienti per uccidere il mortale.

E se nell’alzare lo sguardo in terra ci scoprissimo invisibili?

Scavami dentro, ti prego! Mi basta un seme della tua grazia nume.

Costretti alla materia sfuggiamo il tempo e la noia con l’instabilità!

I miei occhi sono lo specchio in cui ti potrai fermare al tuo volere.

Avendo un volere decideresti le sorti del tuo destino credendoti in te!

Nulla esiste oltre questo insieme che io non riesco a tenere intero.

Cedere e mescolarsi come i colori in questo chimerico tempo?

Lo spazio non trova dimensioni per voi, voi che siete sollevati.

Cammino senza provare le pene di cui il mondo s’addolora carnefice!

Vi prego rimanete ancora, bevete il mio sangue dal vostro calice.

Impariamo dopo aver dimenticato e poi ricordiamo, non è vero?

Come se suonando potessimo ritrovare le parole e scriverne il tempo.

E’ tutto un ritrovarci perché spezzati alla nascita? La morte ci completerà!

E come mai potrebbe completarci la morte? Il nostro non esistere evaporerà.