Speciale: X-Men: 50 anni mutanti
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Joe fa parte dello Studio Man of Action, insieme a Steven T. Seagle, Duncan Rouleau e Joe Casey, ed è anche uno dei creatori della serie animata Ben 10.
Benvenuto Joe, e grazie per aver accettato l’invito de Lo Spazio Bianco.
Questa tua intervista fa parte dello Speciale che stiamo dedicando agli X-Men per celebrare i loro cinquant’anni di vita editoriale. Sappiamo bene che la tua carriera ha preso altre strade rispetto alla fine degli anni Novanta (quando tu hai lavorato sugli albi mutanti della Marvel) e consigliamo ai nostri lettori di dare un’occhiata anche ai tuoi lavori più recenti, ma oggi, in ogni modo, parliamo un po’ degli X-Men…
Grazie per avermi invitato! Il periodo sugli X-Men è stato fondamentale per la mia carriera e sono contento di avere la possibilità di parlarne!
A dire il vero, ho conosciuto Steve proprio grazie agli X-Men! Stavo scrivendo Deadpool e Daredevil e mi è stata offerta l’opportunità di lavorare sulla testata X-Men. Stavano rimescolando i vari team creativi (come spesso fanno) e a Steve è stata offerta Uncanny X-Men. Sono abbastanza sicuro che la prima volta che ci siamo incontrati faccia a faccia è stato negli uffici della Marvel! Abbiamo fatto amicizia molto velocemente e da allora abbiamo lavorato insieme. Ho incontrato poi Duncan Rouleau (altro socio dello studio Man of Action, N.d.R.) quando abbiamo lavorato insieme all’albo one-shot sul Fenomeno, e Joe Casey (quarto socio dello studio, N.d.R.) quando ha assunto la direzione di Cable. La Marvel ha l’abitudine di fare queste grandi riunioni dove tutti si incontrano e discutono su un anno di storie, quindi è così che abbiamo iniziato a lavorare tutti insieme.
Tu e Steven concordavate insieme lo sviluppo narrativo delle due testate mutanti o ognuno seguiva una propria agenda?
La cosa bella di lavorare insieme a Steve su quegli albi era che avevamo interessi molto diversi che si completavano a vicenda. Io ero totalmente assorto nei nuovi personaggi (Marrow, Maggot, Doc) tanto quanto nei classici e volevo raccontare un certo tipo di storie. Steve era più interessato al gruppo classico e voleva raccontare un diverso tipo di storie mutanti. Quindi non abbiamo mai dovuto litigare per i personaggi e non ci siamo pestati piedi a vicenda. Era perfetto, perché non c’erano “ego” coinvolti, ognuno di noi aveva un parco giochi tutto suo e ci siamo scambiati idee per tutto il tempo.
Ci sono così tante differenze che non so da dove cominciare. Deadpool era a) un albo su di un singolo personaggio, b) un personaggio poco conosciuto e c) con molte possibilità di essere cancellato dopo soli sei numeri. (Ecco come Idelson [Matt Idelson, editor dell’albo, N.d.R.] e io la pensavamo al tempo!) Proprio perché era un progetto “piccolo”, ci hanno lasciato fare più o meno quello che volevamo per un lungo periodo. Inoltre, non c’erano stati film o cartoni animati su Deadpool, quindi lui era “nostro” e ciò ha comportato molta libertà creativa e divertimento.
D’altra parte, gli X-Men erano a) un albo su un team, b) i personaggi più popolari del pianeta e c) un pilastro del Marvel Universe, con decenni di storia alle spalle! Quindi l’esperienza è stata, da un punto di vista editoriale, molto più strettamente controllata, dovevamo davvero stare attenti a quello che facevamo sulla testata e c’era una buona dose di pressione su di noi. Per fortuna Steve mi ha aiutato a restare sano di mente in quel periodo, non importa quanto fossero complicate le cose, siamo comunque riusciti a divertirci e a trovare le storie che volevamo raccontare. È stato il mio salvatore e quella “prova del fuoco” ha forgiato sicuramente la nostra amicizia.
Leggendo alcune tue dichiarazioni in rete, abbiamo scoperto che segui ancora, come lettore, le vicende degli X-Men. Che cos’è che ti piace attualmente del mondo mutante e che cosa invece cambieresti se fossi ancora un X-sceneggiatore?
Mi dispiace, ma le tue spie su internet si sono sbagliate! Io sono un fan dei personaggi, degli scrittori e degli artisti che lavorano su quelle testate, ma non leggo un X-titolo da un lungo periodo di tempo. Non ho nulla contro di loro, tendo soltanto a leggere altri tipi di libri per “disintossicarmi” dal genere supereroistico, visto che spendo un sacco di tempo e di lavoro in quel campo.
Pensi che il concetto alla base degli X-Men (disuguaglianza, paura dei mutanti, etc.) sia una buona scusa per parlare di questi temi in un fumetto?
Assolutamente! Questo è il nucleo centrale del perché gli X-Men continuano a sopravvivere. Sia che si guardi a essi come a fumetti sul razzismo, la pubertà, l’angoscia adolescenziale o la lotta politica, gli X-Men saranno sempre una minoranza in conflitto con la maggioranza che hanno giurato di proteggere. Drammaticamente parlando, si tratta di un insieme perfetto, adattabile a qualsiasi periodo storico e causa sociale.
Inoltre, a titolo personale, mi piacciono i fumetti di supereroi con una sana dose di allegoria del mondo reale. Penso che noi autori abbiamo la responsabilità di cercare di usare il genere su cui lavoriamo per far porre domande al pubblico sul mondo che lo circonda e gli X-Men sono perfetti per questo.
Grazie per il tuo tempo e le tue risposte Joe.
Grazie a voi de Lo Spazio Bianco!
Intervista effettuata via email e conclusa il 22/03/2013
Traduzione di David Padovani
Qui il testo originale: lospaziobianco.com/220-xauthors-joe-kelly
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