Yoani Sanchez in Italia: una scusa per parlare di Cuba

Creato il 14 maggio 2013 da Ilcasos @ilcasos

Pubblicato su Carmillaonline il 10 maggio 2013.

Yoani Sanchez a 7 anni (1982)

Ce l’ha fatta. È riuscita a uscire dal suo paese. Raul Castro ha aperto le frontiere e finalmente se n’è volata via. In meno di tre mesi è già atterrata in ben sette paesi tra Europa e America Latina: sono caduti uno dopo l’altro il Brasile, la Repubblica Ceca, la Svizzera, gli Stati Uniti, il Perù e la Spagna, ora è toccata all’Italia. Agli occhi del mondo occidentale Yoani Sanchez rappresenta indiscutibilmente l’eroina democratica di Cuba. La ragazza dalla faccia pulita ma anche sbattuta e smagrita (forse proprio a causa delle condizioni di povertà che il suo paese le impone) che lotta quotidianamente contro un regime considerato da lei e dalla maggioranza dei paesi occidentali una dittatura. La blogger in pochi anni ha conquistato l’etere grazie alla potenza di internet e a uno dei trend topic più celebrati dal mondo capitalista dominato dai mercati: se lavori, se lotti con tutte le tue forze per una giusta causa – o nel suo caso per il bene del tuo popolo –, beh.. allora puoi farti da solo, emergere dall’oblio e occupare un posto di prestigio nel ranking dei media mondiali. Lei, Yoani, la cubana dalla faccia pulita e dal dito inverosimilmente svelto, ce l’ha fatta.

Sembra che in Italia crediamo ancora a queste storie o per lo meno è quello che traspare leggendo le maggiori testate nazionali. L’occasione per rinnovare la fiducia nel sogno americano del self-made man ma al passo coi tempi (non a caso Yoani è una self-made-woman) è data dalla sua prima visita italiana correlata di partecipazione al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Leonardo Mala non tarda a sfornare questo articolo per La Repubblica, Anna Masera intavola questo pezzo per La Stampa e la redazione online del Corriere della Sera ci offre la sua opinione per dessert. Ingrediente del giorno è la contestazione rivolta a Yoani Sanchez da alcuni manifestanti poco prima del suo intervento al Festival. Le prime battute degli articoli sono sommarie, la parola filo-castristi riecheggia minacciosa e non lascia scampo al lettore. La realtà viene immediatamente semplificata e i suoi attori cristallizzati in buoni e cattivi, santi e mostri: da una parte Yoani (dalla faccia pulita) e la democrazia, dall’altra Castro (Fidel o Raul è indifferente) e la violazione dei diritti umani (assorbiti in toto dalla demonizzazione del partito unico cubano). Il risultato è netto, senza resti, contraddizioni o ripensamenti: se contesti o critichi Yoani sei automaticamente un nemico della democrazia e per di più vieni tacciato di «filo-castrismo» che tu lo voglia o meno. Il bianco e nero delle prese di posizioni senza sfumature giunge al culmine: Yoani «per il governo di Cuba è una mercenaria al soldo degli imperialisti americani» ma «per il mondo libero è il simbolo della lotta per i diritti umani»[1]. La barriera tra bene e male è eretta.

Mi chiedo dubbioso a quale mondo ci si stia riferendo. Mi domando poi perché quando si parla di diritti umani a Cuba si porti sempre ad esempio il carattere non-democratico del regime castrista e le limitazioni politiche che impone la presenza di un solo partito. Non vorrei essere frainteso, le critiche sono necessarie, ma per quale motivo si parla solamente di diritti umani negati e non di diritti umani garantiti? Forse perché non possiamo nemmeno immaginare e soprattutto tollerare che un paese povero e sottosviluppato possa darci lezioni di diritti umani. La convinzione diffusa che nulla a Cuba possa essere migliore rispetto al nostro mondo è una realtà più forte che mai. Ma se ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che molti dei diritti che pensiamo essere scontati nel nostro paese – diritto alla casa, alla sanità e all’istruzione gratuita – sono in realtà privilegi di alcuni.

Yoani Sanchez contestata
(São Paulo, Brasile, 21 febbraio 2013)

Il regime non-democratico cubano garantisce istruzione totalmente gratuita (compresa l’università) e assistenza sanitaria gratuita per tutta la vita ai cittadini del proprio paese. Chi ha viaggiato in America Latina sa che di bambini le strade sono piene e non giocano a pallone ma vengono sfruttati per lavori di ogni genere o abbandonati al loro destino di senza fissa dimora. A Cuba gli stessi bambini che altrove vagano per le strade sono tutti a scuola e posseggono una casa, come chiunque altro. La percentuale di donne e uomini che vivono nelle strade a Cuba è vertiginosamente inferiore a quella di qualsiasi città europea ed il confronto con altre realtà latinoamericane risulta imbarazzante. A Cuba nessuno muore di fame e la carne di porco o pollo la mangiano tutti i giorni, checché ne dica Yoani: «non riuscivo a vivere altrove. Ogni volta che mangiavo un piatto di carne pensavo alle privazioni dei miei concittadini, alla loro difficoltà di vivere che è la mia di ogni giorno. Io voglio essere utile al mio Paese e alla mia gente»[2]. Il che – se si analizzano le motivazioni profonde che innalzano il consumo di carne e uova a Cuba – non è di per sé una cosa positiva perché porta a una dieta squilibrata imposta dalle scarse risorse produttive dell’isola e soprattutto dal criminale embargo economico che viola e ignora qualsiasi supposto diritto umano.

Mi chiedo poi se Yoani, durante il suo recente viaggio in Brasile, ha vissuto le strade di Salvador de Bahia al calar della notte. Se ha visto l’esercito di fantasmi che vagano e dormono sull’asfalto, se ha provato sulla sua pelle l’insicurezza del cammino, la necessità di prendere precauzioni se si decide di condividere quel pezzo di cielo nero con loro. Un altro diritto tanto caro alle posizioni destrorse italiane e che a Cuba è ampiamente garantito è il diritto alla sicurezza. Trovarsi in una situazione di paura a L’Avana o Santiago de Cuba è davvero difficile mentre in una città come Rio de Janeiro a qualsiasi ora del giorno non è consentito distrarsi, né imboccare una strada secondaria poco illuminata, né passeggiare liberamente nel quartiere Centro dopo le sette di sera. L’esercito di fantasmi della storia è lì ad aspettarti più incazzato e disperato che mai, pronto a riprendersi quel briciolo di giustizia sociale che quel mondo gli ha sempre negato e gli continua a negare. Per queste ragioni molti pensano che la società meno ingiusta di tutta l’America Latina sia quella cubana e per la stessa ragione molti guardano con grande sospetto all’eccitazione collettiva che segue la crescita esponenziale del PIL brasiliano. Tra questi, la maggioranza di coloro che mettono radicalmente in discussione un modello di sviluppo economico infinito e insostenibile, che è quello dominante.

José Maria Aznar riceve Yoani Sanchez presso la FAES (Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales) di cui è presidente. (Madrid, 23 aprile 2013)

Ma torniamo un momento in Italia. Sanità: è di pochi giorni fa la notizia che gli italiani a causa della crisi hanno ridotto drasticamente visite specialistiche e controlli medici. Molti non riescono più neppure a pagare il ticket per garantirsi le cure. Letteralmente esclusi dal sistema sanitario italiano sono costretti a rivolgersi a organizzazioni no-profit del calibro di Emergency. Istruzione: «Quest’anno a Bologna più di 300 bambini sono rimasti esclusi dalla scuola pubblica, che è un diritto costituzionale, per mancanza di posti e risorse. Saranno costretti a frequentare una scuola dell’infanzia privata, a pagarne la retta e a sottoscrivere un progetto educativo che non condividono (nel 99% dei casi confessionale). E l’anno prossimo quanti saranno gli esclusi dalla scuola pubblica?»[3] Ogni anno il Comune di Bologna versa un milione di euro nelle casse delle scuole d’infanzia private, denaro pubblico per garantire l’istruzione ai figli dei ricchi. Dove sono i diritti?

Quando si alza il tiro e la soglia di complessità si eleva il concetto semplificato di diritti umani assume forme diverse e meno retoriche mettendo radicalmente in crisi i confini del mondo libero di cui abbiamo la convinzione e l’orgoglio di far parte. Inutile ripararsi dietro sterili giustificazioni e nascondersi dietro la Crisi: «noi siamo i ricchi, loro i poveri. Noi chiudiamo gli asili, loro li costruiscono, noi li facciamo pagare, loro no, come cazzo è possibile?!»[4]. Noi ci vantiamo della nostra democrazia, loro hanno il partito unico. Eppure ci riescono lo stesso. Da noi la Crisi è cominciata nel 2008, da loro nel 1959. Dovrebbe essere più facile per noi. Perché non è così?

Fa sorridere poi l’infelice scelta del giornalista de La Repubblica che riporta le parole di Yoani Sanchez in riferimento a Raul Castro: «il suo è un peccato originale. Raul non è stato eletto, ha ereditato il potere per questioni di sangue, qualcosa di inimmaginabile nel terzo millennio»[2]. Esattamente, qualcosa di inimmaginabile, tanto meno in un mondo libero e democratico. Eppure. Eppure succede anche qui. Un anno e mezzo fa Mario Monti è diventato capo del governo italiano senza che nessuno, o meglio soltanto uno, lo avesse eletto. La successione non è stata democratica e si può in buona misura parlare anche qui di successione di sangue: sangue moderato e con globuli compiacenti Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale s’intende. Pochi giorni fa Enrico Letta è stato nominato nuovo capo del governo italiano, ancora una volta da quello stesso uno che aveva eletto Mario Monti, ancora senza libere elezioni, ancora non democraticamente.

Yoani Sanchez e il suo passaporto

I loro problemi sono i nostri. Possiamo fare finta di niente e non ammetterlo ma le contraddizioni di Cuba – se analizzate, ripensate e criticate – non fanno che radicalizzare le contraddizioni del nostro mondo. Quel mondo che ci ostiniamo a definire giusto, libero e democratico. Lo stesso che sta crollando pezzo dopo pezzo sotto i colpi dei mercati e che continua a nutrirsi di ingiustizia sociale. Quel mondo che Yoani Sanchez loscamente – ma con la faccia pulita – difende. Davvero pensiamo che questo sia il meno peggiore dei mondi possibili? Abbiamo ancora il coraggio di crederlo? Siamo davvero così stolti?

Breve guida alla conoscenza di Yoani Sanchez

Il tour per il mondo di Yoani Sanchez, di Eduardo Galeano

Chi c’è dietro Yoani Sanchez? (in spagnolo) (in italiano), di Salim Lamrani

Conversazione con la blogger cubana Yoani Sanchez (I parte) (II parte), di Salim Lamrani

La finta intervista a Obama: una delle tante “bufale” di Yoani Sánchez, di Redazione Latinoamerica

E a proposito di diritti umani

Se il Festival del giornalismo dimentica le violazioni Usa dei diritti umani, di Gianni Minà

Note   (↵ returns to text)
  1. La Stampa, Yoani Sánchez in Italia “Ai figli va insegnato il Web”, 27/04/2013↵
  2. La Repubblica, Yoani Sanchez contestata a Perugia la platea fischia i filocastristi, 28/04/2013↵
  3. Comitato Art. 33, Il referendum
  4. Wu Ming 4, L’anomalia Cuba, luglio 2004↵
  5. Pubblicato su Carmillaonline il 10 maggio 2013.

    Yoani Sanchez a 7 anni (1982)

    Ce l’ha fatta. È riuscita a uscire dal suo paese. Raul Castro ha aperto le frontiere e finalmente se n’è volata via. In meno di tre mesi è già atterrata in ben sette paesi tra Europa e America Latina: sono caduti uno dopo l’altro il Brasile, la Repubblica Ceca, la Svizzera, gli Stati Uniti, il Perù e la Spagna, ora è toccata all’Italia. Agli occhi del mondo occidentale Yoani Sanchez rappresenta indiscutibilmente l’eroina democratica di Cuba. La ragazza dalla faccia pulita ma anche sbattuta e smagrita (forse proprio a causa delle condizioni di povertà che il suo paese le impone) che lotta quotidianamente contro un regime considerato da lei e dalla maggioranza dei paesi occidentali una dittatura. La blogger in pochi anni ha conquistato l’etere grazie alla potenza di internet e a uno dei trend topic più celebrati dal mondo capitalista dominato dai mercati: se lavori, se lotti con tutte le tue forze per una giusta causa – o nel suo caso per il bene del tuo popolo –, beh.. allora puoi farti da solo, emergere dall’oblio e occupare un posto di prestigio nel ranking dei media mondiali. Lei, Yoani, la cubana dalla faccia pulita e dal dito inverosimilmente svelto, ce l’ha fatta.

    Sembra che in Italia crediamo ancora a queste storie o per lo meno è quello che traspare leggendo le maggiori testate nazionali. L’occasione per rinnovare la fiducia nel sogno americano del self-made man ma al passo coi tempi (non a caso Yoani è una self-made-woman) è data dalla sua prima visita italiana correlata di partecipazione al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Leonardo Mala non tarda a sfornare questo articolo per La Repubblica, Anna Masera intavola questo pezzo per La Stampa e la redazione online del Corriere della Sera ci offre la sua opinione per dessert. Ingrediente del giorno è la contestazione rivolta a Yoani Sanchez da alcuni manifestanti poco prima del suo intervento al Festival. Le prime battute degli articoli sono sommarie, la parola filo-castristi riecheggia minacciosa e non lascia scampo al lettore. La realtà viene immediatamente semplificata e i suoi attori cristallizzati in buoni e cattivi, santi e mostri: da una parte Yoani (dalla faccia pulita) e la democrazia, dall’altra Castro (Fidel o Raul è indifferente) e la violazione dei diritti umani (assorbiti in toto dalla demonizzazione del partito unico cubano). Il risultato è netto, senza resti, contraddizioni o ripensamenti: se contesti o critichi Yoani sei automaticamente un nemico della democrazia e per di più vieni tacciato di «filo-castrismo» che tu lo voglia o meno. Il bianco e nero delle prese di posizioni senza sfumature giunge al culmine: Yoani «per il governo di Cuba è una mercenaria al soldo degli imperialisti americani» ma «per il mondo libero è il simbolo della lotta per i diritti umani»[1]. La barriera tra bene e male è eretta.

    Mi chiedo dubbioso a quale mondo ci si stia riferendo. Mi domando poi perché quando si parla di diritti umani a Cuba si porti sempre ad esempio il carattere non-democratico del regime castrista e le limitazioni politiche che impone la presenza di un solo partito. Non vorrei essere frainteso, le critiche sono necessarie, ma per quale motivo si parla solamente di diritti umani negati e non di diritti umani garantiti? Forse perché non possiamo nemmeno immaginare e soprattutto tollerare che un paese povero e sottosviluppato possa darci lezioni di diritti umani. La convinzione diffusa che nulla a Cuba possa essere migliore rispetto al nostro mondo è una realtà più forte che mai. Ma se ci fermiamo un attimo ci accorgiamo che molti dei diritti che pensiamo essere scontati nel nostro paese – diritto alla casa, alla sanità e all’istruzione gratuita – sono in realtà privilegi di alcuni.

    Yoani Sanchez contestata
    (São Paulo, Brasile, 21 febbraio 2013)

    Il regime non-democratico cubano garantisce istruzione totalmente gratuita (compresa l’università) e assistenza sanitaria gratuita per tutta la vita ai cittadini del proprio paese. Chi ha viaggiato in America Latina sa che di bambini le strade sono piene e non giocano a pallone ma vengono sfruttati per lavori di ogni genere o abbandonati al loro destino di senza fissa dimora. A Cuba gli stessi bambini che altrove vagano per le strade sono tutti a scuola e posseggono una casa, come chiunque altro. La percentuale di donne e uomini che vivono nelle strade a Cuba è vertiginosamente inferiore a quella di qualsiasi città europea ed il confronto con altre realtà latinoamericane risulta imbarazzante. A Cuba nessuno muore di fame e la carne di porco o pollo la mangiano tutti i giorni, checché ne dica Yoani: «non riuscivo a vivere altrove. Ogni volta che mangiavo un piatto di carne pensavo alle privazioni dei miei concittadini, alla loro difficoltà di vivere che è la mia di ogni giorno. Io voglio essere utile al mio Paese e alla mia gente»[2]. Il che – se si analizzano le motivazioni profonde che innalzano il consumo di carne e uova a Cuba – non è di per sé una cosa positiva perché porta a una dieta squilibrata imposta dalle scarse risorse produttive dell’isola e soprattutto dal criminale embargo economico che viola e ignora qualsiasi supposto diritto umano.

    Mi chiedo poi se Yoani, durante il suo recente viaggio in Brasile, ha vissuto le strade di Salvador de Bahia al calar della notte. Se ha visto l’esercito di fantasmi che vagano e dormono sull’asfalto, se ha provato sulla sua pelle l’insicurezza del cammino, la necessità di prendere precauzioni se si decide di condividere quel pezzo di cielo nero con loro. Un altro diritto tanto caro alle posizioni destrorse italiane e che a Cuba è ampiamente garantito è il diritto alla sicurezza. Trovarsi in una situazione di paura a L’Avana o Santiago de Cuba è davvero difficile mentre in una città come Rio de Janeiro a qualsiasi ora del giorno non è consentito distrarsi, né imboccare una strada secondaria poco illuminata, né passeggiare liberamente nel quartiere Centro dopo le sette di sera. L’esercito di fantasmi della storia è lì ad aspettarti più incazzato e disperato che mai, pronto a riprendersi quel briciolo di giustizia sociale che quel mondo gli ha sempre negato e gli continua a negare. Per queste ragioni molti pensano che la società meno ingiusta di tutta l’America Latina sia quella cubana e per la stessa ragione molti guardano con grande sospetto all’eccitazione collettiva che segue la crescita esponenziale del PIL brasiliano. Tra questi, la maggioranza di coloro che mettono radicalmente in discussione un modello di sviluppo economico infinito e insostenibile, che è quello dominante.

    José Maria Aznar riceve Yoani Sanchez presso la FAES (Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales) di cui è presidente. (Madrid, 23 aprile 2013)

    Ma torniamo un momento in Italia. Sanità: è di pochi giorni fa la notizia che gli italiani a causa della crisi hanno ridotto drasticamente visite specialistiche e controlli medici. Molti non riescono più neppure a pagare il ticket per garantirsi le cure. Letteralmente esclusi dal sistema sanitario italiano sono costretti a rivolgersi a organizzazioni no-profit del calibro di Emergency. Istruzione: «Quest’anno a Bologna più di 300 bambini sono rimasti esclusi dalla scuola pubblica, che è un diritto costituzionale, per mancanza di posti e risorse. Saranno costretti a frequentare una scuola dell’infanzia privata, a pagarne la retta e a sottoscrivere un progetto educativo che non condividono (nel 99% dei casi confessionale). E l’anno prossimo quanti saranno gli esclusi dalla scuola pubblica?»[3] Ogni anno il Comune di Bologna versa un milione di euro nelle casse delle scuole d’infanzia private, denaro pubblico per garantire l’istruzione ai figli dei ricchi. Dove sono i diritti?

    Quando si alza il tiro e la soglia di complessità si eleva il concetto semplificato di diritti umani assume forme diverse e meno retoriche mettendo radicalmente in crisi i confini del mondo libero di cui abbiamo la convinzione e l’orgoglio di far parte. Inutile ripararsi dietro sterili giustificazioni e nascondersi dietro la Crisi: «noi siamo i ricchi, loro i poveri. Noi chiudiamo gli asili, loro li costruiscono, noi li facciamo pagare, loro no, come cazzo è possibile?!»[4]. Noi ci vantiamo della nostra democrazia, loro hanno il partito unico. Eppure ci riescono lo stesso. Da noi la Crisi è cominciata nel 2008, da loro nel 1959. Dovrebbe essere più facile per noi. Perché non è così?

    Fa sorridere poi l’infelice scelta del giornalista de La Repubblica che riporta le parole di Yoani Sanchez in riferimento a Raul Castro: «il suo è un peccato originale. Raul non è stato eletto, ha ereditato il potere per questioni di sangue, qualcosa di inimmaginabile nel terzo millennio»[2]. Esattamente, qualcosa di inimmaginabile, tanto meno in un mondo libero e democratico. Eppure. Eppure succede anche qui. Un anno e mezzo fa Mario Monti è diventato capo del governo italiano senza che nessuno, o meglio soltanto uno, lo avesse eletto. La successione non è stata democratica e si può in buona misura parlare anche qui di successione di sangue: sangue moderato e con globuli compiacenti Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale s’intende. Pochi giorni fa Enrico Letta è stato nominato nuovo capo del governo italiano, ancora una volta da quello stesso uno che aveva eletto Mario Monti, ancora senza libere elezioni, ancora non democraticamente.

    Yoani Sanchez e il suo passaporto

    I loro problemi sono i nostri. Possiamo fare finta di niente e non ammetterlo ma le contraddizioni di Cuba – se analizzate, ripensate e criticate – non fanno che radicalizzare le contraddizioni del nostro mondo. Quel mondo che ci ostiniamo a definire giusto, libero e democratico. Lo stesso che sta crollando pezzo dopo pezzo sotto i colpi dei mercati e che continua a nutrirsi di ingiustizia sociale. Quel mondo che Yoani Sanchez loscamente – ma con la faccia pulita – difende. Davvero pensiamo che questo sia il meno peggiore dei mondi possibili? Abbiamo ancora il coraggio di crederlo? Siamo davvero così stolti?

    Breve guida alla conoscenza di Yoani Sanchez

    Il tour per il mondo di Yoani Sanchez, di Eduardo Galeano

    Chi c’è dietro Yoani Sanchez? (in spagnolo) (in italiano), di Salim Lamrani

    Conversazione con la blogger cubana Yoani Sanchez (I parte) (II parte), di Salim Lamrani

    La finta intervista a Obama: una delle tante “bufale” di Yoani Sánchez, di Redazione Latinoamerica

    E a proposito di diritti umani

    Se il Festival del giornalismo dimentica le violazioni Usa dei diritti umani, di Gianni Minà

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