2013
Diverse volte ho scritto che l'hip-hop stava cambiando: per la precisione si stava sbiancando. Con internet molte barriere culturali sono cadute e abbiamo avuto fenomeni come i BLKHRTS (fncl l vcl!) o Frank Ocean. Quello che però non avevo intravisto era la dimensione sistemica del fenomeno. Non si tratta, infatti, di qualche semplice sample di classici rock o giù di lì ma di un aumento notevole della forza lavoro caucasica direttamente coinvolta nella scena in reparti che prima erano off-limits.Prendiamo ad esempio il collettivo di videomaker de noantri Rome York Studio che ha fatto venire a Roma quell'armadio pieno di coattume che è Waka Flocka Flame. O produttori decisamente poco affini all'Africa come SKYWLKR (r-fncl l vcl!!) o Harry Fraud operanti rispettivamente per Danny Brown e Smoke DZA.Yung Lean è un altro tassello in questa direzione: non tanto perché è un rapper bianco (Eminem anyone?) e neanche tanto perché quando questo album è uscito aveva solo 16 anni. Quanto perché l'hip-hop globalizzato è sempre più realtà: Yung Lean è un rapper bianco 17enne che viene da Stoccolma (non da Detroit, Atlanta o LA) e incide per la Mishka NYC, un'etichetta hip-hop indipendente americana che ha nel suo roster già piccoli fenomeni come il rapper queer Cakes Da Killa. Non solo due tracce sono prodotte da producer statunitensi (bianchi) in ascesa: Suicideyear e Friendzone.Ma al di là di inutili discorsi sulle etnie quello che conta che è che ascoltare Yung Lean sia un'esperienza unica e spassosa. Il flow è lento e rilassato e le basi sono un crossover fra trap (lo stile di beat hip-hop costituito principalmente da veloci pestate di charleston), chopped&screwed (voci rallentate e melmose) e cloud rap (sottogenere in cui troviamo beat tra ambient e chillwave) che crea un effetto etereo, ideale da ascoltare in uno stato di alterazione mentale.Ma soprattutto sono i testi (in inglese, che rivelano una varietà lessicale quasi migliore di certi trucidoni a stelle e strisce) per un del giovane svedese a mostrare la sua unicità: se da una parte mostra la sua passione per l'hip-hop utilizzando in modo bizzarro le sue narrazioni di ricchezza ostentata (sono abbastanza certo che Yung Lean non possieda le macchine sportive, i danari, le donne e le droghe di cui parla) dall'altra riempie questa retorica di elementi ascrivibili al suo universo di appartenenza, quella di un adolescente vagamente nerd (Pokémon, Star Wars, videogiochi e carte di Yu-Gi-Oh). Senza scordare la strana fissazione per la marca americana di tè freddo Arizona di cui ho comprato una bottiglia per capire quale fosse il segreto.
Inoltre la sua crew si chiama "Sad Boys" e per tutto il disco preponderante è questo mood "emotional" in cui la tristezza è macchiettisticamente rappresentata come virtù. Quando perciò Lean dice "I'm a make you hurt" intende ferire la sua ragazza emotivamente, non fisicamente, in modo da farle raggiungere il suo stesso stato mentale e raggiungere una connessione profonda.
Non lasciatevelo sfuggire o vi si possa perdere sotto al letto polveroso la carta di Charizard sbrilluccicosa.
Streamalo su Spotify e downloadalo da Bandcamp
P.S.: leggi l'intervista su Vice