“I believe that all humans have knowledge.
Each culture has some knowledge.
That’s why I studied with Saj Dev.
That’s why I studied Stockhausen’s music.
The pygmies’ music of the rain forest is very rich music.
So the knowledge is out there.
And I also believe one should seek knowledge from the cradle to the grave.
With that kind of inquisitiveness, one discovers things that were unknown before.”
Yusef Lateef, intervista per il National Endowment for the Arts, 2009
Mi piace il jazz, ma it’s not my cup of tea. Come diceva qualcun altro che adesso proprio non ricordo (senz’altro non John Stuart Mill) il jazz è come una scurreggia, piace solo a chi la fa. Concordo con questa frase al 60% ma non ho voglia di spiegarvi adesso perchè. Oggi ho più a cuore parlarvi di quel 40% che contesta con forza l’affermazione precedente, perchè ho appreso che Yusef Lateef è morto qualche giorno fa, e Yusef Lateef è uno di quei giganti che mi ha fatto innamorare anche del jazz, di certo jazz.Per ragioni prettamente economiche non posso permettermi le valanghe di cd e vinili che ogni appassionato desidererebbe possedere, quindi ho solo una minuscola collezione di cd, essenziale che più non si può. Di ognungo di questi dischi sono follemente innamorato, e quando la scintilla del jazz mi conquisterà completamente essi testimonieranno le radici della passione. A memoria ricordo: raccolte di Dizzy Gillespie, Thelonius Monk, Charlie Parker, Chet Baker, Alone di Billy Evans, The Black Saint And The Sinner Lady di Charles Mingus, My Favourite Things di John Coltrane, Journey in Satchidananda di Alice Coltrane, Karma di Pharoah Sanders, German Years 1977 – 1980 di Moondog (anche se…ci siamo capiti) e, appunto, Eastern Sounds di Yusuf Lateef.
Eastern Sounds è un disco, manco a dirlo, immenso. Acquistato esclusivamente per la versione più bella che sia mai stata suonata di “Love Theme” tratto dalle musiche originali di Spartacus, l’epocale successo cinematografico di Stanley Kubrick, si è poi rivelato attraverso l’ascolto compulsivo un album capace di destare ogni substrato emozionale e attraverso l’esame della storia del jazz, non propriamente un disco qualsiasi, per usare eufemismo.
Io non sono per i piagnistei pubblici ma per la commozione diffusa, quindi perdonatemi se rimando ad altri che troverete facilmente su google un approfondimento sulla vita, la storia e la musica di questo musicista pazzesco che non ha mai smesso di suonare musica per esplorare quel qualcosa di impercettibilmente enorme che ci sopravvive (si, ne vale la pena di approfondire la sua originale figura di ricercatore), mentre concedo ancora una volta lo spazio all’unica cosa che mi interessa in questo momento, questa versione d’una dolcezza inimmaginabile, talmente smisurata da risultare anemica, persino non terrestre, del famoso tema filmico, senz’altro nella top 50 delle canzoni della mia vita. In altre occasioni avevo pensato di parlarvene come per esempio già feci con Bumpin’ On Sunset di di Wes Montgomery, oggi non si può più rimandare e diviene il miglior omaggio possibile a Yusef Lateef, uno dei migliori brani musicali atti a rendere il sentimento intimo della nostalgia lo strumento d’eccellenza per l’elevazione spirituale di tutto il genere umano; grazie a Sergio Renzetti, mentore musicale, per avermene fatto innamorare.