Vabbè, ne parlo. L'Italia divisa su Checco Zalone e su "Quo Vado?" Pubblico italiano prevalentemente favorevole con primato assoluto di incassi. Critici divisi fra pro e contro, ma nessuno - mi pare - rischia giudizi drastici. Per timore di irritare il "popolo" o per timore di irritare gli "intellettuali". Mi colloco fra i favorevoli, fra il pubblico favorevole. Al solito, faccio parlare prima il mio istinto giudicando un film. Ho pianto? Ho riso? Mi ha emozionato? Ha innescato riflessioni e rimuginamenti? Se sì, cerco di spiegare dopo perché questo mi è successo. Terapia contro il pre-giudizio. Mi è successo di ridere molto con "Quo Vado?", ciò che mi accade non raramente al cinema, come a tutte le persone semplici. Mi è successo anche di riflettere e rimuginare. In genere trovando nel film conferma a miei punti di vista e mie emozioni (o ossessioni). Non è il regista ad entusiasmarmi. E neanche Zalone attore. Mi convince di più la storia e la sceneggiatura. Qua è là con trovate banali, e però con momenti didascalici forti. Zalone è un "posto fisso" educato al posto e al corredo dei suoi "valori": nessuno ti toglie il posto fisso, neanche se eviti di andare in ufficio, incaricando qualcuno di timbrare per te o se passi al bar le ore che dovresti dedicare all'ufficio. Comune di San Remo docet. Nessuno ti toglie il posto neanche se non fai nulla o compi azioni ripetitive e inintelligenti, come fa Checco, timbrando autorizzazioni. Nessuno per la verità ti toglie il posto fisso neanche se arrotondi lo stipendio depredando i bagagli a Fiumicino. A maggior ragione nessuno ti toglie il posto fisso fra le forze dell'ordine se torturi un arrestato. Questo non era nel film di Zalone, ma non potevo non pensarci. Pensarci rimuginando sulla dinamica perversa per la quale le tutele dei lavoratori riguardano gli indifendibili e dimenticano i precari. Rimuginando sul destino della sinistra che con apparente saggezza dice: "Non si difendono i precari, diminuendo i diritti di chi ha un lavoro; si estendano invece a tutti i diritti". I diritti non si estenderanno affatto. I tutelati saranno sempre meno anche per semplice questione anagrafica. E sempre meno saranno quelli chi si sentiranno rappresentati dalla sinistra: gli insegnanti aspramente difesi contro il preside padrone, i pensionati mal difesi dal blocco delle rivalutazioni. Ma torniamo a Zalone che intercetta la novità del nuovo governo che potrebbe chiedere sacrifici ai "posti fissi". Di accettare un trasferimento, ad esempio, oppure un indennizzo economico alle dimissioni. Perché certamente, anche se il sindacato e la sinistra sembrano ignorarlo, non solo le industrie possono chiudere o riconvertirsi, ma anche l'apparato amministrativo pubblico. Infatti Checco, impiegato in un ufficio delle Province da abolire, è convocato, con i suoi colleghi, per l'annuncio del nuovo corso. Mobilità. Mobilità per tutti. Tranne le eccezioni. Molte. Quasi tutte. E' stata per me la scena più godibile del film. Un collega è salvato perché invalido, l'altro perché con familiare invalido, l'altro ancora perché anziano, etc. etc. I salvati man mano lasciano con sollievo l'assemblea finché in assemblea rimane il solo Checco. Molto efficace. Molto vero. La dialettica fra le esigenze pubbliche e la tutela dei lavoratori fa prevalere tutele assurde e stratificazioni di norme che ignorano sia le ragioni dei più deboli che le ragioni della competenza. C'è un'altra verità suggerita da Quo Vado. Trincerati in difesa di quanto abbiamo non esploriamo altre nostre risorse. Un po' perché nessuno ci aiuta a farlo. Un po' perché ci appare inutile farlo. Saremmo pazzi ad abbandonare le garanzie che ci conservano il posto di insegnante o di timbracarte solo perché scopriamo che le nostre competenze sono nella ricerca o in qualsiasi altra cosa. Perché i tutelati della ricerca non lasciaranno spontaneamente il posto ai più bravi e saranno protetti dai loro tutor-protettori. Anche Checco ha un tutor politico, nel cammeo di Lino Banfi, che gli suggerisce di non svendere le prerogative del posto fisso. Solo casualmente Checco, trasferito al Polo Nord ad occuparsi di cose di cui nulla sapeva, scopre di poter fare cose diverse dalle timbrature. Magari cose che altri non osano fare. Ad esempio masturbare un orso per recepirne lo spermagramma (se si dice così...). Cambiare latitudine insieme a lavoro ci fa scoprire anche la futilità delle nostre abitudini. Qui il film prudentemente critica il costume italico. Lo critica cioè anche con qualche stereotipo. Tranne l'episodio che mi ha divertito. Checco che, in auto, nel Paese scandinavo al semaforo diventato verde, immediatamente usa il clacson per sollecitare chi gli è davanti. Per poi scoprire, con l'aiuto della ricercatrice italiana civilizzata nel nord, che chi gli è davanti non si sposterà prima neanche di una frazione di secondo. Quanto tempo perso nella carriera di automobilista, clacsando ad ogni verde al semaforo...Beh, vorrei dire che oltre la patologia del posto fisso difeso dal sindacato e dalla vecchia sinistra e oltre la patologia della precarietà permanente e della opprimente incertezza che entusiasma i moderni (quelli che la guardano da fuori) esiste un luogo della ragione che aspetta di incarnarsi. Il luogo della flessibilità ovvero della libertà vera che non ammette conservazione e pigrizie e quello dell'interesse pubblico che vuole che nessuno sia sprecato. Il tema non è in "Quo Vado?", ma il film, al di là delle intenzioni, certamente me lo suggerisce.
Vabbè, ne parlo. L'Italia divisa su Checco Zalone e su "Quo Vado?" Pubblico italiano prevalentemente favorevole con primato assoluto di incassi. Critici divisi fra pro e contro, ma nessuno - mi pare - rischia giudizi drastici. Per timore di irritare il "popolo" o per timore di irritare gli "intellettuali". Mi colloco fra i favorevoli, fra il pubblico favorevole. Al solito, faccio parlare prima il mio istinto giudicando un film. Ho pianto? Ho riso? Mi ha emozionato? Ha innescato riflessioni e rimuginamenti? Se sì, cerco di spiegare dopo perché questo mi è successo. Terapia contro il pre-giudizio. Mi è successo di ridere molto con "Quo Vado?", ciò che mi accade non raramente al cinema, come a tutte le persone semplici. Mi è successo anche di riflettere e rimuginare. In genere trovando nel film conferma a miei punti di vista e mie emozioni (o ossessioni). Non è il regista ad entusiasmarmi. E neanche Zalone attore. Mi convince di più la storia e la sceneggiatura. Qua è là con trovate banali, e però con momenti didascalici forti. Zalone è un "posto fisso" educato al posto e al corredo dei suoi "valori": nessuno ti toglie il posto fisso, neanche se eviti di andare in ufficio, incaricando qualcuno di timbrare per te o se passi al bar le ore che dovresti dedicare all'ufficio. Comune di San Remo docet. Nessuno ti toglie il posto neanche se non fai nulla o compi azioni ripetitive e inintelligenti, come fa Checco, timbrando autorizzazioni. Nessuno per la verità ti toglie il posto fisso neanche se arrotondi lo stipendio depredando i bagagli a Fiumicino. A maggior ragione nessuno ti toglie il posto fisso fra le forze dell'ordine se torturi un arrestato. Questo non era nel film di Zalone, ma non potevo non pensarci. Pensarci rimuginando sulla dinamica perversa per la quale le tutele dei lavoratori riguardano gli indifendibili e dimenticano i precari. Rimuginando sul destino della sinistra che con apparente saggezza dice: "Non si difendono i precari, diminuendo i diritti di chi ha un lavoro; si estendano invece a tutti i diritti". I diritti non si estenderanno affatto. I tutelati saranno sempre meno anche per semplice questione anagrafica. E sempre meno saranno quelli chi si sentiranno rappresentati dalla sinistra: gli insegnanti aspramente difesi contro il preside padrone, i pensionati mal difesi dal blocco delle rivalutazioni. Ma torniamo a Zalone che intercetta la novità del nuovo governo che potrebbe chiedere sacrifici ai "posti fissi". Di accettare un trasferimento, ad esempio, oppure un indennizzo economico alle dimissioni. Perché certamente, anche se il sindacato e la sinistra sembrano ignorarlo, non solo le industrie possono chiudere o riconvertirsi, ma anche l'apparato amministrativo pubblico. Infatti Checco, impiegato in un ufficio delle Province da abolire, è convocato, con i suoi colleghi, per l'annuncio del nuovo corso. Mobilità. Mobilità per tutti. Tranne le eccezioni. Molte. Quasi tutte. E' stata per me la scena più godibile del film. Un collega è salvato perché invalido, l'altro perché con familiare invalido, l'altro ancora perché anziano, etc. etc. I salvati man mano lasciano con sollievo l'assemblea finché in assemblea rimane il solo Checco. Molto efficace. Molto vero. La dialettica fra le esigenze pubbliche e la tutela dei lavoratori fa prevalere tutele assurde e stratificazioni di norme che ignorano sia le ragioni dei più deboli che le ragioni della competenza. C'è un'altra verità suggerita da Quo Vado. Trincerati in difesa di quanto abbiamo non esploriamo altre nostre risorse. Un po' perché nessuno ci aiuta a farlo. Un po' perché ci appare inutile farlo. Saremmo pazzi ad abbandonare le garanzie che ci conservano il posto di insegnante o di timbracarte solo perché scopriamo che le nostre competenze sono nella ricerca o in qualsiasi altra cosa. Perché i tutelati della ricerca non lasciaranno spontaneamente il posto ai più bravi e saranno protetti dai loro tutor-protettori. Anche Checco ha un tutor politico, nel cammeo di Lino Banfi, che gli suggerisce di non svendere le prerogative del posto fisso. Solo casualmente Checco, trasferito al Polo Nord ad occuparsi di cose di cui nulla sapeva, scopre di poter fare cose diverse dalle timbrature. Magari cose che altri non osano fare. Ad esempio masturbare un orso per recepirne lo spermagramma (se si dice così...). Cambiare latitudine insieme a lavoro ci fa scoprire anche la futilità delle nostre abitudini. Qui il film prudentemente critica il costume italico. Lo critica cioè anche con qualche stereotipo. Tranne l'episodio che mi ha divertito. Checco che, in auto, nel Paese scandinavo al semaforo diventato verde, immediatamente usa il clacson per sollecitare chi gli è davanti. Per poi scoprire, con l'aiuto della ricercatrice italiana civilizzata nel nord, che chi gli è davanti non si sposterà prima neanche di una frazione di secondo. Quanto tempo perso nella carriera di automobilista, clacsando ad ogni verde al semaforo...Beh, vorrei dire che oltre la patologia del posto fisso difeso dal sindacato e dalla vecchia sinistra e oltre la patologia della precarietà permanente e della opprimente incertezza che entusiasma i moderni (quelli che la guardano da fuori) esiste un luogo della ragione che aspetta di incarnarsi. Il luogo della flessibilità ovvero della libertà vera che non ammette conservazione e pigrizie e quello dell'interesse pubblico che vuole che nessuno sia sprecato. Il tema non è in "Quo Vado?", ma il film, al di là delle intenzioni, certamente me lo suggerisce.