Il libro è stato scritto perché "avevo bisogno di spiegare che ho lottato fino alla fine, per mantenere la massima coesione sociale possibile". Spiegare le proprie sensazioni, l'angustia e l'insonnia di quei giorni, non è un modo di chiedere perdono perché "la parola perdono non entra nel vocabolario delle responsabilità politiche. Si cerca di dare un giudizio ponderato. Mi hanno chiesto tante volte se mi considero il peggior presidente. E' molto opinabile. Quello che so è che è la peggior crisi che un presidente possa avere. Raccontare lo stato d'animo e le circostanze in cui prendevo le decisioni, è un modo di avvicinare il cittadino a come si vivono le cose. Credo che aiuti a capire la democrazia". Uno dei rimproveri più frequenti che vengono mossi a Zapatero, in questi giorni, è di aver aspettato il libro per raccontare la propria verità, di non aver parlato sinceramente agli spagnoli in quei drammatici giorni di maggio, in cui congelò le pensioni, tagliò gli stipendi agli impiegati pubblici e tolse alcune conquiste sociali che caratterizzarono le sue legislature, come l'assegno per i neonati. Lui spiega tutto con la necessità di garantire la stabilità della Spagna ed evitare a tutti i costi l'intervento della BCE e dell'Europa sul suo sistema finanziario. "Se il giorno in cui Dominique Strauss-Kahn è arrivato nel mio ufficio alla Moncloa avessi detto che il direttore del FMI pensava che dovevo chiedere un aiuto, lo spread sarebbe balzato di 100 punti in 15 secondi. Questa è la ragione. La spiegazione politica, credo di averla data". E ancora: "Il dramma di maggio è tanto per la svolta del mio discorso, perché è stato drammatico ricordarmi della frase di Rodiezmo ("non cederò, non taglierò"), quanto che se la Spagna non lo avesse fatto, non ci sarebbe stato un salvataggio per la Grecia né un fondo europeo e il giorno dopo lo spread sarebbe potuto arrivare a 300-400 punti". Zapatero fa risalire le convulse e drammatiche giornate dal 7 al 12 maggio 2010, quando la Spagna sembrava sul bordo del rescate e l'euro all'inizio del precipizio definitivo, a un rumor nato il 4 maggio 2010, secondo il quale la Spagna vrebbe chiesto 280 miliardi di euro alla UE e al FMI. "E' passato inosservato, ma io credo che le cose non sarebbero state uguali senza questo rumor. Dalle indagini che siamo riusciti a fare, sappiamo che la notizia ebbe origine in Israele, non è stata un'agenzia di notizie, l'origine è una pagina web israeliana. Il 4 maggio tutta Bruxelles pensa che la Spagna chiederà 280 miliardi di euro e in questo entra il gioco indiavolato della comunicazione... Il rumor c'era già e io dovetti smentirlo. Credo sia stata la conferenza stampa in cui sono stato più arrabbiato nella mia vita". Zapatero spiega anche l'accusa di improvvisazione, che l'opposizione gli ha sempre fatto negli ultimi anni del suo Governo: "Tutti i leaders del G-20 venivano accusati di improvvisare, ma chi improvvisava era la crisi, perché era una crisi inedita per la nostra generazione, una crisi che si porta via tutte le banche di investimenti nordamericane e buona parte delle banche europee". Nel ricordo di quegli anni, per Zapatero ci sono due grandi misteri. Il primo riguarda il deficit dei conti correnti: "Fino a maggio 2010 non c'erano riferimenti forti sul deficit e sulla sua conseguenza, ancora più importante, cioè, il debito netto esterno della Spagna". Il secondo riguarda la solidità del sistema finanziario spagnolo, di cui lo stesso ex presidente si era vantato a Wall Street, poco prima dello scoppio della crisi: "Di tutti i dilemmi economici, è quello che mi procura più dubbi. All'inizio stava bene. Cosa succede? che nessuno ha avuto un tasso di disoccupazione come il nostro e che il sistema finanziario era molto esposto nel settore immobiliare, cosa che lo ha deteriorato. Ci sono due tesi contrapposte. Una è che era meglio fare un'operazione a lungo termine, con una forte iniezione di capitale. Chiaro, questa tesi esige un grande volume di denaro e il Parlamento, in varie occasioni, ha chiesto che si destinasse la minor quantità di denaro pubblico possibile alla banca. La seconda tesi era andare caso per caso, come abbiamo fatto. In tutto il mio periodo mi sembra che abbiamo iniettato capitale pari a due punti del PIL". Zapatero poi nega ogni responsabilità nella nomina dei dirigenti delle casse di risparmio, la maggior parte in forti difficoltà e strumenti di potere politico locale ("Lo Stato e il Governo centrale niente hanno a che vedere con la politicizzazione di casse e banche. Decidere chi deve gestire o presiedere un'entità finanziaria non è mai rientrato nei miei processi di riflessione, essendo Presidente del Governo"); nega anche di aver mai saputo degli stipendi dei top-managers delle banche. Ammette una certa empatia per Mariano Rajoy e le difficoltà che si trova ad affrontare e ricorda che "una cosa è la tensione drammatica della decisione di maggio 2010 e l'altra è la sensazione deprimente, vicina alla malinconia, di quando mi diedero i dati della disoccupazione del primo trimestre del 2009, quando si distrussero 700mila posti di lavoro. L'amarezza di quel giorno non ha paragoni. Per me è come se fossi stato davanti a una malattia grave che mi avevano appena diagnosticato".
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