La trama (con parole mie): Maya, giovane agente della CIA, è reclutata dall'Agenzia già dai tempi del liceo ed il suo primo incarico la vede avvicinarsi alla squadra che si occupa di scoprire il nascondiglio di Osama Bin Laden a seguito degli attacchi dell'undici settembre.
Quello che la donna non sa è che la caccia ad uno degli uomini più ricercati della Storia la occuperà per un decennio tra false piste, morti di compagni, cambi di Presidente ed un lavoro capillare e continuo che la condurrà dove nessuno più credeva, al luogo che sarà teatro dell'azione che porterà alla morte del leader di Al Quaeda nel maggio duemilaundici.
Le strategie ed i piani dell'intelligence per antonomasia filtrati attraverso la determinazione e le sofferenze di una combattente outsider.
Kathryn Bigelow è la regista con le palle più grosse in circolazione. Senza dubbio.Come se non bastasse, direi che i suoi attributi sono di dimensioni e sostanza decisamente maggiori rispetto a quelli di molti anche più blasonati colleghi di sesso maschile.
Zero dark thirty rappresenta, in una certa misura, la rappresentazione migliore di queste qualità "di peso" della donna dietro la macchina da presa di cult assoluti come Point break o Il buio si avvicina: ispirandosi a fatti reali e sfruttando al meglio una sceneggiatura stratificata e complessa dell'ormai inseparabile Mark Boal - già penna dietro il vincitore dell'Oscar come miglior film di tre anni fa The hurt locker -, l'ex signora Cameron confeziona un thriller politico con risvolti d'azione che pare unire la complessità e la ricchezza di Homeland all'approccio a tutto campo di Michael Mann, pur peccando, soprattutto nella sua componente emozionale, di una certa freddezza di fondo segna una differenza tra questo ed i prodotti che fin dalla prima visione sono in grado di conquistare il titolo di instant cult.
A favore della Bigelow va comunque affermato che una materia scottante quanto la questione Osama Bin Laden dovesse essere necessariamente essere trattata con un certo piglio chirurgico per evitare che l'intero progetto naufragasse in una retorica di bassa lega pronta a sfruttare il dolore che ancora provoca negli States la ferita aperta da una delle più grandi tragedie della Storia umana recente, l'undici settembre duemilauno.
E la nostra tostissima Kathryn, che non ha affatto intenzione di cadere in trappole di questo genere, asciuga tutto quello che può essere asciugato e lascia che il suo mosaico prenda lentamente forma anche a fronte di un iniziale disorientamento del pubblico a fronte di dialoghi serrati ed informazioni intelligence-style, si prende il suo tempo - più di due ore e mezza paiono un'enormità, per quello che di fatto dovrebbe essere un action movie, eppure sembra quasi, al termine, di aver avuto soltanto un assaggio di tutte le sfumature della caccia a Bin Laden operata dalla CIA - ed esplode nei quaranta minuti conclusivi - quelli dedicati al raid che portò alla morte dell'allora leader di Al Quaeda - tutto il suo talento ed il suo rigore, confezionando una sequenza al cardiopalma nonostante l'ovvietà del suo esito - credo che il fatto che Bin Laden sia stato ucciso durante la missione in questione sia noto perfino agli spettatori meno informati del pianeta -, girata magistralmente ed in grado di portare direttamente sul campo - e con estremo realismo - l'audience facendola precipitare in un caleidoscopio di sensazioni che danzano tra colpi sparati quasi alla cieca ed i filtri della visione notturna, quasi fosse al centro di una sua interpretazione di quello che è stato il palcoscenico principale della scena videoludica degli ultimi anni - da Call of duty a Battlefield, il concetto dell'esperienza dello sparatutto in prima persona è ormai una realtà decisamente più consolidata dei tempi di Wolfenstein e Doom -.
Attorno alle vicende, agli interrogatori durissimi, alle vittime e agli attentati - vengono rivisitati quelli celebri di Londra e del Marriott Hotel in Pakistan - scopriamo le vite di agenti consacrati totalmente al loro lavoro e disposti a sacrificare una vita "normale", la famiglia e tutto quello che è possibile sacrificare non tanto in nome della Patria, quanto a fronte della necessità di affrontare un "male di vivere" che li soffoca una volta rimesso piede all'interno di una quotidianità troppo pressante - e in questo continua il discorso cominciato da regista e sceneggiatore con il già citato The hurt locker -: sono vite soltanto accennate, eppure fotografate con la potenza dell'istantanea da indagine giornalistica d'assalto, caratterizzate per sottrazione - in questo torna il legame con lavori clamorosi come The heat o Insider firmati sempre da Mann - e mai scontate.
E in testa al Navy seal di Joel Edgerton o al caposezione CIA di Kyle Chandler, troviamo lei, Maya, interpretata da una Jessica Chastain finalmente resa come una donna, e non come la bambola che vogliono troppo spesso dipingere - e che non è, con buona pace di chi la considera una figa stellare -: la sua crociata contro Bin Laden diviene il simbolo di un'emancipazione che, nonostante il progresso, le figure professionali femminili ancora non possono dire di avere ottenuto al cento per cento, che assume contorni quasi mitici e giovannadarcheschi anche in un finale magistrale, in bilico tra la gioia per una vittoria conseguita sul campo - perchè seppur Maya sia tenuta a seguire il raid dal campo base, è come se fosse accanto ai soldati in piena irruzione - e la consapevolezza di non avere un luogo a cui tornare, di essere sola nella pancia vuota di una balena volante che è anche un Paese cui ha dedicato dieci anni della sua vita senza sapere, di fatto, se la scelta fu per difenderlo o proteggere se stessa da una solitudine troppo pesante.
In questo senso Zero dark thirty potrebbe essere definito addirittura il manifesto della Bigelow, prima donna a conquistare l'Oscar come migliore regista e da sempre etichettata come cineasta profondamente maschile nell'approccio: come Maya, anche lei ha dedicato la sua vita ad una vittoria che potrebbe costarle più solitudini che allori e tappeti rossi.
Una vittoria che, tra l'altro, difficilmente si ripeterà quest'anno.
Perchè Zero dark thirty è un film così grande da non concedersi ad un'unica visione.
Ha bisogno di essere inseguito, braccato, conquistato: come l'avversario più pericoloso, o il sogno più grande.
Che, a ben guardare, è sempre come essere allo specchio e sfidare noi stessi.
MrFord
"Living in the big city
the American dream
is far roaming in the streets of greed
everywhere I turn I'm on a mission for more
but I aint selling my soul
with the dope theres no girl
I'm on a one way box to the top
hitting the strip but got a sound that would rally the block
I'm in the fast lane and I wont stop."Cypress Hill - "Rise up" -