(Zero Dark Thirty)
Kathryn Bigelow, 2012 (USA), 157’
uscita italiana: 7 febbraio 2013
voto su C.C.
L’ architettura narrativa, probabilmente concepita prima che si avesse un chiaro “epilogo” per gli eventi descritti, verte tutta sul lavoro di intelligence “sotterraneo” necessario per scovare l’uomo più ricercato del mondo, ma nonostante questo si rivela caratterizzata da un ammirevole senso dello spettacolo, lasciando alla regista diverse occasioni per mettere in luce il suo talento – tra tutte è da segnalare la sequenza, che toglie il fiato, dell’attentato a Camp Chapman. La Bigelow fa ampio uso di una camera agile e mobile, in modo da entrare letteralmente nell’azione, rendendo lo spettatore parte integrante dello scenario mostrato. Il climax, raggiunto prevedibilmente durante i venti minuti del raid pakistano, è perfetto esempio di questo stile asciutto ed efficace (ma non per questo povero di idee) che può avvalersi di tutti i pregi in termini di resa e mobilità garantiti dalla tecnologia digitale. Sorprendentemente durante l’intera sequenza, fotografata per la maggior parte del tempo con una verdastra “visione notturna”, il palcoscenico viene concesso tutto alle coordinate gesta dei militari in azione, senza i prevedibili stacchi per catturare le emozioni di Maya (che sta seguendo l’operazione al sicuro della sua tenda), quasi a voler mantenere fino alla fine separati il lavoro “sul campo” e quello di spionaggio. Si tratta degli unici momenti nei quali Jessica Chastain non domina la scena. L’attrice americana fornisce infatti una interpretazione magistrale, grazie alla quale gli autori riescono a caratterizzare un personaggio complesso pur concedendo pochissimi momenti di introspezione: basta uno solo sguardo per raccontarne speranze, emozioni e paure. Maya è solo una delle tante donne che hanno un ruolo cruciale nell’individuazione di Bin Laden, e riesce a portare a termine l’obbiettivo grazie ad una ostinazione e ad una caparbietà che sembra mancare a molti dei virili personaggi che la circondano: questo è forse l’unico messaggio veramente politico che Kathryn Bigelow cerca di mandare con il suo ottimo film.