Purtroppo il progetto è contraddittorio poiché un capitalismo basato sulla produzione di massa di beni e/o denaro ha bisogno assoluto della distribuzione di reddito (e della relativa distribuzione di partecipazione) di cui il profitto è una variabile dipendente e non il motore primo da cui discende tutto il resto. Un’evidenza che è risaltata con sempre maggiore evidenza da quando i concetti neo liberisti sono sfociati nella crisi: al calo della domanda non si può rispondere con meno investimenti, meno stato, meno diritti, meno welfare tentando cerando di riconquistare la mitica competitività attraverso la lotta ai salari: è un suicidio, un circolo vizioso che adesso sta venendo al pettine.
E infatti le situazioni di sofferenza economica cominciano ad estendersi dai piigs ai cosiddetti Paesi ricchi, lasciando di stucco la prosopopea degli analisti i cui strumenti sono totalmente forgiati dall’ideologia e dal culto in un eterno ciclo mitralico dell’economia: il calo industriale in Germania, l’arretramento del pil italiano, olandese e giapponese, la stagnazione in Finlandia, l’aumento della disoccupazione in Francia, la vera e propria diaspora dei giovani spagnoli (che paradossalmente fa figurare una diminuzione della disoccupazione), l’incerta situazione statunitense dove si alternano risultati positivi a cadute inattese e il declino, lento, ma costante della produzione cinese ci pongono di fronte a un bivio. O si prende tutta la ganga ideologica accumulatasi negli ultimi trent’anni e la si butta nel suo luogo di elezione, oppure si cercano rimedi estremi ai mali estremi. Purtroppo pare di capire che sarà quest’ultima la scelta visto che essa è delegata ad elite che hanno navigato in quest’acqua e sono responsabili del declino.
Di una marcia indietro rispetto al catechismo del pensiero unico nemmeno se ne parla, si ritorna invece a una sorta di stato di guerra permanente, diverso da quella fredda e probabilmente nemmeno calda come un vero conflitto mondale. Uno stadio intermedio che consenta in qualche modo di contenere la rivolta sociale e magari sia di stimolo all’attività economica. Una guerra mondiale vera ( a parte il timore di una devastazione globale) costringerebbe, come già si è verificato nel secolo scorso, a contenere i profitti e a ridurre il potere dei centri finanziari sulla politica: così probabilmente si cercherà di mantenere la brace accesa e di cuocere a fuoco lento i brandelli delle conquiste sociali: il problema è di trovare un altro “nemico” per nascondere quello vero. Un progetto evidentemente pericoloso perché le fiamme una volta accese sono incontrollabili.
Tutto questo assume un carattere farsesco nell’Italia della diarchia Renzi – Berlusconi, quella nella quale la politica è subalterna a poteri a loro volta subalterni a diversi padroni: per cui il crollo che si sta verificando viene trattato fra ribellismo di facciata e ubbidienza incondizionata saccheggiando l’enciclopedia universale delle sciocchezze e delle ipocrisie nella sontuosa edizione mediaset, sperando che i cittadini non si accorgano che stiamo andando a sbattere. Ma che importa: a sovranità zero corrispondono zero responsabilità. E per gli uomini zero si tratta dell’habitat ideale.