Zero Renzi

Creato il 13 agosto 2014 da Albertocapece

Un minimo di diritti sul lavoro è, come saprete dall’ineffabile e instancabile bocca del premier, un totem ideologico. Raschiando la morchia anni ’80 e ’90 sul fondo del barile si cerca di vendere agli italiani l’idea politicamente miserabile ed economicamente sbugiardata che l’abolizione dell’Articolo 18 possa aprire le porte alla crescita. Certo l’apparato fonatorio del premier è un device totalmente autonomo dal cervello, ma proprio per questo ciò che ne esce è molto significativo della congerie di ideuzze economiche messe a guardia di un progetto destinato a trasformare la democrazia in oligarchia e rendere durevole un capitalismo finanziario che non avrebbe chanches in un mondo dove le masse, le classi, le popolazioni – usiamo il termine che vogliamo -fossero ancora chiamate a decidere del loro futuro e non solo a scegliere tra personaggi mediatici e false alternative di un solo potere.

Purtroppo il progetto è contraddittorio poiché un capitalismo basato sulla produzione di massa di beni e/o denaro ha bisogno assoluto della distribuzione di reddito (e della relativa distribuzione di partecipazione) di cui il profitto è una variabile dipendente e non il motore primo da cui discende tutto il resto. Un’evidenza che è risaltata con sempre maggiore evidenza da quando i concetti neo liberisti sono sfociati nella crisi: al calo della domanda non si può rispondere con meno investimenti, meno stato, meno diritti, meno welfare tentando cerando di riconquistare la mitica competitività attraverso la lotta ai salari: è un suicidio, un circolo vizioso che adesso sta venendo al pettine.

E infatti le situazioni di sofferenza economica cominciano ad estendersi  dai piigs ai cosiddetti Paesi ricchi, lasciando di stucco la prosopopea degli analisti i cui strumenti sono totalmente forgiati dall’ideologia e dal culto in un eterno ciclo mitralico dell’economia: il calo industriale in Germania, l’arretramento del pil italiano, olandese e giapponese, la stagnazione in Finlandia, l’aumento della disoccupazione in Francia, la vera e propria diaspora dei giovani spagnoli (che paradossalmente fa figurare una diminuzione della disoccupazione), l’incerta situazione statunitense dove si alternano risultati positivi a cadute inattese e il declino, lento, ma costante della produzione cinese ci pongono di fronte a un bivio. O si prende tutta la ganga ideologica accumulatasi negli ultimi trent’anni e la si butta nel suo luogo di elezione, oppure si cercano rimedi estremi ai mali estremi. Purtroppo pare di capire che sarà quest’ultima la scelta visto che essa è delegata ad elite che hanno navigato in quest’acqua e sono responsabili del declino.

Di una marcia indietro rispetto al catechismo del pensiero unico nemmeno se ne parla, si ritorna invece a una sorta di stato di guerra permanente, diverso da quella fredda e probabilmente nemmeno calda come un vero conflitto mondale. Uno stadio intermedio che consenta in qualche modo di contenere la rivolta sociale e magari sia di stimolo all’attività economica. Una guerra mondiale vera ( a parte il timore di una devastazione globale) costringerebbe, come già si è verificato nel secolo scorso, a contenere i profitti e a ridurre il potere dei centri finanziari sulla politica: così probabilmente si cercherà di mantenere la brace accesa e di cuocere a fuoco lento i brandelli delle conquiste sociali: il problema è di trovare un altro “nemico” per nascondere quello vero. Un progetto evidentemente pericoloso perché le fiamme una volta accese sono incontrollabili.

Tutto questo assume un carattere farsesco nell’Italia della diarchia Renzi – Berlusconi, quella nella quale  la politica è subalterna a poteri a loro volta subalterni a diversi padroni: per cui il crollo che si sta verificando viene trattato fra ribellismo di facciata e ubbidienza incondizionata saccheggiando l’enciclopedia universale delle sciocchezze e delle ipocrisie nella sontuosa edizione mediaset, sperando che i cittadini non si accorgano che stiamo andando a sbattere. Ma che importa: a sovranità zero corrispondono zero responsabilità. E per gli uomini zero si tratta dell’habitat ideale.


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