Mentre le agenzie di stampa ci informano abbastanza regolarmente di fatti e misfatti che accadono nello Zimbabwe di Mugabe, e dei progressi (o regressi) del nuovo iter politico nel Paese,e questo specie dopo l’entrata in vigore della nuova Costituzione e dopo le ultimissime elezioni, poco e niente ci raccontano invece del sud-ovest, dove la gente comune sta vivendo e ha vissuto, alcuni giorni addietro, momenti particolarmente difficili.
Quello cioé che, senza tema di smentita, potremmo definire essere stato un vero e proprio disastro epocale.
Mi riferisco al cedimento della diga Tokwe-Mukosi, opera faraonica ma colosso dai piedi d’argilla, che ha prodotto laggiù un danno di notevole portata con la fuga in massa precipitosa e l’evacuazione, mediante elicotteri, di quasi tutti gli abitanti della zona.
E, come non bastasse, il trasferimento successivo degli stessi in una specie di campo profughi, che tale non è, a Chingwizi, e che ha solo aumentato i disagi della gente.
Gente ovviamente molto provata dalla perdita delle proprie cose.
Le persone, se tali sono da considerare, non possono conservare la propria dignità se si trovano a vivere un contesto assolutamente privo d’acqua e di servizi igienici.
Le conseguenze di un tale stato di residenzialità possiamo immaginarle tanto sotto il profilo medico-sanitario che, soprattutto, della tranquillità personale.
Conosciamo i frutti della promiscuità in ambienti del genere e sappiamo che, proprio nel rispetto della persona, essi non possono essere sottovalutati.
E c’è da aggiungere che la rabbia, più i giorni passano, più aumenta e con esito decisamente imprevedibile.
E, se accadesse l'impensabile contro il "padre- padrone" dello Zimbabwe e la sua ghenga, non ci sarebbe da meravigliarsi troppo.
Nell’Africa del Maghreb, in Algeria, nella valle dello M’Zab, in cui coabitano comunità musulmane di differenti orientamenti, anche lì ,di questi tempi, pare non ci sia pace.
E non c’è pace, a differenza che in passato, tra i mozabiti, cioè i berberi appartenenti alla corrente islamica degli ibaditi, e le popolazioni arabe stanziali della zona.
E anche di questa conflittualità etnica, che pure c’è, i “media” nostrani ci informano poco.
Contrariamente sappiamo tutto delle ultime elezioni politiche e della rielezione dell’inossidabile presidente della Repubblica e degli interessi politici sottesi all’ "affaire”.
Intanto lì si combatte con spietatezza e ferocia inaudita e ci sono morti, feriti, saccheggi e distruzione di case, uffici e negozi.
Un’esistenza per i residenti che ogni giorno è più difficile del precedente a meno che non prevalga tra le genti il cosiddetto buon senso.
E, ancora, se l’opinione pubblica internazionale, che un tempo contava qualcosa, informata dei fatti, facesse ascoltare marcatamente tutto il proprio sdegno.
E, cosa più importante, non si accontentasse della solita "etichetta" di comodo,che recita di scontro etnico.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)