“In un paese vicino a Firenze la vita quotidiana si svolge in attesa del Festival dell’Unità. Da una parte i vecchi – comunisti delusi e disorientati, se non scettici, per la svolta decisiva del partito – dall’altra i giovanissimi, mancanti di ogni supporto ideologico, fiacchi e se mai pronti a burle e scherzacci. Tra i primi c’è Elio detto Corpo, già partigiano, fedele al suo ideale in politica (falce e martello a tutto campo) e al ricordo di Passione (una ragazza della Resistenza, morta cinquant’anni fa), oggi infastidito da una figlia che giorno e notte desidera ossessivamente un figlio; Mara, che vive nella sua villa con la vecchia madre Clara, sperando di dare alle stampe un libro sul padre (un leader storico del PCI) diventato demente e che lei, pur venerandolo, uccise per compassione; Massimo, brillante compaesano, un tempo fidanzato di Mara, emigrato dalla Sezione del paese nei quadri del partito a Roma, arrivato per l’apertura del Festival”
Difficile focalizzare la natura stessa della pellicola: lo stile di Benvenuti è riconoscibile e più maturo che mai, sempre sicuro ma interrotto da sprazzi di lunare comicità ed efficaci soluzioni drammatiche (il monologo della Cenci sul padre ne è un esempio strepitoso). L’insieme tuttavia, inficiato dal pretesto politico della vicenda funziona ad intermittenza, come se la sceneggiatura rispecchiasse una differente sensibilità degli autori (del regista e del co-autore Ugo Chiti).
Il film, che nella prima mezz’ora decolla con palese difficoltà, affastella vicissitudini frutto di probabili ricordi personali: fatti e volti ben caratterizzati che divengono, logicamente, azzeccata metafora di un microcosmo verace, in rotta di collisione con i mutamenti politici ed ideologici del Paese. Alcune ingenuità stemperano l’armonia complessiva, ma non privano il risultato finale di una forza critica, amara e disincantata. Il personaggio di Ivo – interpretato dallo stesso Benvenuti e poi assurto a protagonista assoluto in Ivo il tardivo (1995) – è la “figura estranea”, semplice ed innocente, che apre il film e lega, poeticamente, le vite insoddisfatte o superficiali che lo circondano. Un approccio, se non una chiave analitica ben precisa, che segnerà indelebilmente tutta la filmografia del regista toscano. Attenzione infine ai numerosi personaggi di contorno, tra cui è possibile riconoscere Giorgio Ariani (Pierino la Peste alla riscossa) e due giovanissimi Massimo Ceccherini e Leonardo Pieraccioni, quest’ultimo al proprio esordio cinematografico.
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